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Consigli di lettura: Hermann Broch, Nicole Avril (Dora Maar)

Creato il 01 novembre 2011 da Ghostwriter

La lotta contro la fine dei valori di Broch Sonnambuli (Broch)

Tornano i Sonnambuli, chi l'avrebbe detto, grazie all'iniziativa dell'editore Mimesis (Massimo Rizzante al timone del progetto). 1931. Hermann Broch è uno scrittore quarantenne che aloggia a Vienna, di cui radiografa la decadenza sull'orlo dell'avvento del nazismo, ovvero dell'annessione dell'Austria al Reich hitleriano. Broch sarà costretto, infatti, all'esilio americano, portando con sè il manoscritto de La morte di Virgilio. Il romanzo che, molti anni dopo, lo renderà famoso almeno tra coloro che leggono la letteratura d'autore, I Sonnambuli, è un monumentale progetto diviso in tre parti, tre romanzi in qualche modo autonomi ma uniti dal tema della "disgregazione dei valori", la "barbarie dal volto umano".

La prima parte, Pasenow o il romanticismo, è già un efficace affresco di critica sociale: il "romantico" per Broch non è altri che l'irrazionale che sgorga da sotto il malessere fatto di valori sclerotizzati, di immobilismo e di reazione (vi ricorda qualcosa?) Dopo questo pannello non poteva che seguire Esch o l'anarchia, un ritratto dell'anarchico fallimentare, preso da un lato da sogni di emancipazione assoluta e di ribellione - anni dopo, a tratti, si reincarnerà nel personaggio di Erostrato ne Il muro di Sartre- e dall'altra in balia del caso e di una rivolta senza speranze. La terza parte porta il titolo di Huguenau o il realismo: qui si sondano gli effetti della guerra del '14-18, e ciò che rimane di un'etica ridotta ai soli interessi personali. 

Il risultato è che l'opera di Broch ci dice molto di più delle catastrofi del Novecento dei manuali scolastici e dei trattati politici, sociologici o filosofici che siano: il romanzo non rinuncia alla complessità né alla dimensione interiore che spesso è assente dalle impalcature concettuali che usiamo per dare un senso (sbrigativo) alla Storia. Qui si tocca con mano, forse, ciò che Bachtin aveva sostenuto sul romanzo come grande impresa polifonica: essere in grado di sondare "ciò che soltanto il romanzo può dire", al di là di tutti gli altri sistemi di pensiero, significa farlo vivere ancora a lungo, con buona pace di chi si compiace, oggi, di dire che il romanzo è morto soltanto perché gli sono venuti i capelli bianchi (povero Baricco). Un aguzzino che dipingeva come Dio

Picasso

Mi chiedo quanto scrivere significhi identificarsi, mettersi a funzionare grazie a quella capacità particolare chiamata empatia, quel "sentire l'altro" (Laura Boella intitola così uno dei suoi saggi sul tema) senza il quale mi sembra impossibile creare, pensare. Non è allora il talento il motore primo, per usare un'espressione aristotelica, della scrittura ma la mutazione dell'altro in me e dell'Io nell'altro? Di certo, Nicole Avril si è posta queste domande mentre scriveva un monologo che è quasi una biografia di Dora Maar, una delle muse inquietanti di Picasso (Io Dora Maar, ed. Colla editore).

L'artista spagnolo famoso per le sue sfuriate non soltanto pittoriche, per il sadismo e l'egocentrismo (oltre che per una crisi di mezza età rasente il suicidio, come racconta bene John Berger nel suo ormai raro Spendori e miserie di Pablo Picasso) aveva un rapporto complicato a dir poco con Dora: da un lato ne esaltava la bellezza, l'altera sequenza delle sue unghie rosse e acuminate, ma dall'altra non ammettendo di poter rompere il patto amoroso (rompere una storia era un po' come morire per lui) attaccava il personaggio, la maschera di Dora spingendola al disastro. Tutto sommato andò bene: al suo confronto, Marie-Thérèse si impiccò e l'ultima compagna e salvatrice, Jacqueline, trovò pace soltanto sparandosi alla tempia. E' storia ben nota, specialmente dopo le biografie "scandalistiche" pubblicate anni fa e le memorie, toccanti, della nipote di Picasso. Nicole Avril, oltre ad un talento insolito di questi tempi per le sfumature dell'animo, ha saputo mettere in luce un elemento importante di cui si era occupata anni fa anche Simone De Beauvoir: l'ambivalenza femminile nei confronti del "genio", del "guru", ovvero del padre-padrone di cui si ha bisogno nella stessa misura in cui occorre liberarsene per essere sè stessi (Dora Maar sembra abbia detto: "Io non sono stata l'amante di Picasso. Lui era soltanto il mio padrone"). Soltanto? Masochismo e avanguardia.  

Pubblicato da Remy71


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