Saranno infatti incontri brevi, i suoi, ma sono decisamente intensi. Perché lo sono le personalità intervistate, in primo luogo. Perché qualche incontro è di per sé potente, magari pure per l'eccentricità del personaggio. Klaus Kinski ad esempio non si fa intervistare: si intervista da solo, di fronte a una Bignardi stupita e immersa nell'aura vampiresca (parole sue) che la circonda. E, come se non bastasse, l'attore decide: «Tiriamo le tende». Lei, coperta da un immenso abito rosso che nasconde la sua gravidanza, è invitata a sedersi ai piedi dell'artista, che solo ora è pronto a iniziare il suo monologo.
Leni Riefensthal
Sono incontri intensi anche perché non possiamo non sentirci scossi da emozioni e memorie quando, ad esempio, leggiamo le parole della regista novantenne Leni Riefensthal, logorata da un feroce senso di colpa per aver servito inconsapevolmente, se prestiamo fede alle sue parole, la causa nazista. «Io ero sempre in cima a una montagna o attaccata a una telecamera», ha confessato alla giornalista, davanti alla quale non è riuscita a trattenere le lacrime. Quando l'egocentrismo artistico acceca, sembrerebbe. Ciò che mi spinge infatti a consigliare la lettura di Brevi incontri è la capacità di Irene Bignardi di instaurare quella comunicazione autentica e quasi intima che le permette di penetrare nelle intimità più imbarazzanti, anzi di condurre i suoi intervistati a svelarsi. È che la nostra giornalista non si poneva come scopo primario l'estorsione di esclusive. Lei voleva incontrare e conoscere il suo interlocutore, con la curiosità, il garbo, la cultura, l'attenzione vigile, la profondità e la riservatezza che non tutti possiedono o sanno gestire. E nel libro tutto ciò è perfettamente restituito. Se aggiungiamo che la ricchezza dei dettagli contribuisce a restituire ambientazioni e atmosfere, capiamo perché al lettore sembri quasi di essere presente a quegli incontri riservati. C'è poi un'altra ragione per cui parlo qui di Brevi incontri. Irene Bignardi ci offre una lezione di giornalismo. Quello dei tempi in cui l'intervistatore si preparava, cioè studiava e a fondo, prima dell'incontro con l'intervistato più o meno disperatamente inseguito. Quando al giornalismo all'inglese veniva ancora lasciato spazio. Erano i tempi in cui non si puntava solo e/o soprattutto alla rivelazione da scoop, ma a investigare, conoscere e capire, magari stupendosi. Accade così che il giornalismo "alla Bignardi" non sia quello del "quotidiano" che si butta appena letto. Oltre che fonte di piacere e riflessione, è documento storico. Brevi incontri è infatti - e lo sottolineo - anche un affascinante viaggio nella storia del cinema internazionale. Ho avuto occasione di assistere alla presentazione del volume in una libreria bolognese. Accanto all'autrice sedeva il Gian Luca Farinelli Direttore della Cineteca di Bologna, il quale ha subito invitato i presenti a "centellinare" la lettura di Brevi incontri. Insomma, a non bruciarlo in una notte. Concordo. Un'intervista al giorno, è il mio consiglio. Io, godendomi il libro a piccoli sorsi, ho provato (e dilazionato, non perdendone una goccia) il piacere della discesa negli angoli più nascosti, esilaranti, comici o drammatici degli uomini che Irene Bignardi ha intervistato. Passo dopo passo, ho ripercorso certi sentieri della storia del cinema. E ho imparato cosa significa intervistare. E credo che mi intrufolerò di nuovo in quelle conversazioni spalla a spalla che, lo so, hanno ancora molto da dirmi.