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Consiglio di lettura:”Why Orwell Matters”, di Christopher Hitchens. Perche’ le utopie sono pericolse chimere

Creato il 04 dicembre 2012 da Wally26

orwellOggi vi propongo la lettura di questo libro dell’ (ahime’) defunto Christopher Hitchens, intellettuale inglese dalla mente veramente aperta, dall’intelligenza fina e dal brillante senso dell’umorismo. Chi di voi segue da un po’ di tempo questo blog, avra’ probabilmente capito il mio punto di vista filosofico, culturale e politico quindi se ha in mente solo lo Hitchens apologeta dell’ateismo, potrebbe sentirsi spiazzato. Perche’ mi piace Hitchens e ve lo propongo? Perche’ era un uomo che ricercava la ‘verita” e il senso delle cose senza aggrapparsi a ideologie o temere per il suo tornaconto personale; un lusso che ben pochi intellettuali si prendono al giorno d’oggi. Hitchens pur rimanendo coerente ai suoi principi di base, durante la sua vita ha fatto un percorso umano e intellettuale che lo ha portato a ricredersi su alcune posizioni e a parlarne apertamente, senza timore di scontentare i suoi sostenitori. Una su tutte che scandalizzo’ gli ammiratori di sinistra, il suo supporto alla guerra al terrorismo avviata da George W. Bush e la sua critica ai Liberals americani che vedeva sempre piu’ obnubilati da un blob ideologico assi pericoloso, perche’ padre di tutti i totalitarismi del pensiero al pari dei fondamentalismi religiosi (soprattutto quelli islamici di cui era diventato un eloquente detrattore, come Richard Dawkins). Di questo suo cambiamento di posizione parlo’ in varie occasioni. Questo percorso lo avvicina a un altro personaggio degno di nota; il grande scrittore e futurista George Orwell a cui ha dedicato il saggio: “Why Orwell Matters“. E perche’ Orwell anche oggi conta? Ce lo spiega lo stesso Hitchens: “

When we look back on the century we have just escaped from, we survived the 20th century. The three great questions, great confrontations in that century were: Should the rest of the world be ruled by white people? Should imperialism or will imperialism be considered civilization? What to do about the threat of national socialism, fascism and nazism, being the challenge to civilization from the extreme right. And what to do about the illusion of serving communism is the answer. Well, early George Orwell seems to answer all these three question correctly.

He was very strongly against all three and he was against them I think for the right reasons and in the right way. More people ought to be able to say this, it is surprising how few, when you look back, Hemingway, H. G. Wells., George Bernard Shaw, lots of very well known and quite brave people, quite decent people, that didn’t manage to hold all these three thoughts in their minds at once, contradicting themselves often shamefully. (Intervista a Christopher Hitchens su “Why Orwell Matters”)

H.G.Wells (1866–1946), ad esempio, altro scrittore futurista brillante, uno dei padri della fantascienza, socialista, pacifista, membro della Fabian Society, come George Bernard Shaw, sosteneva nei suoi libri la bonta’ del progetto socialista e presagiva come futura fase conclusiva di una storia umana dominata dalla pessima condotta di politici avidi di potere che sottomettevano le ‘masse’ e avrebbero portato il mondo a una terza guerra mondiale, un periodo di pace in cui grazie al progresso tecnico la gente sarebbe stata sollevata dalla schiavitu’ del lavoro e avrebbe potuto dedicarsi anche ad attivita’ creative, una societa’ giusta guidata da una elites di illuminati intellettuali che aborrono la violenza e sono interessati esclusivamente al progresso dell’umanita’.

Eugenics

Wells inoltre sosteneva, come molti intellettuali suoi contemporanei, che l’eugenetica, cioe’ la scienza del perfezionamento della specie umana attraverso selezioni artificiali operate tramite la promozione dei caratteri fisici e mentali ritenuti piu’ adatti per la continuazione della specie, avrebbe aiutato a rafforzare la ‘razza bianca’ in declino demografico rispetto alla inversa tendenza delle razze meno evolute, la cui superiorita’ numerica avrebbe col tempo necessariamente implicato lo scivolamento della cultura occidentale verso la barbarie. Nel 1918 Wells fu tra i propositori della creazione di una entita’ sovrannazionale in grado di impostare un ‘nuovo ordine mondiale’ e che fungesse da garante per la pace, la stabilita’ e il progresso delle nazioni: la Lega Delle Nazioni, l’ONU.

Secondo Hitchens, Wells a differenza di Orwell, non fu in grado di prevedere i rischi che si celano dietro a questi utopici ideali, cioe’ lo svilimento della individualita’ e della liberta’ umana che diventano troppo facilmente preda dei falsi profeti, come descrive bene lo storico dell’economia e teorico politico Murray Newton Rothbard (1926–1995) in “Egalitarianism as a Revolt Against Nature and Other Essays” del 1974. Rothbard affermava che:

Almost everyone assumes that equality is a “good thing”: even proponents of the free market like Milton Friedman join this consensus. The dispute between conservatives and radicals centers on the terms of trade between equality and efficiency. Rothbard utterly rejects the assumption on which this argument turns. Why assume that equality is desirable? It is not enough, he contends, to advocate it as a mere aesthetic preference. Quite the contrary, equalitarians, like everyone else, need rationally to justify their ethical mandates.

But this at once raises a deeper issue. How can ethical premises be justified? Our author answers that correct ethics must be in accord with human nature.
When egalitarianism is measured by this commonsense criterion, the results are devastating. Everywhere in nature we find inequality. Attempts to remake human beings so that everyone fits the same mold lead inevitably to tyranny. “The great fact of individual difference and variability (that is, inequality) is evident from the long record of human experience; hence the general recognition of the antihuman nature of a world of coerced uniformity” (p. 9).

Not only do biology and history make human beings inherently different from one another, but civilization depends on the existence of these differences. A developed economic system has as its linchpin the division of labor; and this, in turn, springs from the fact that human beings vary in their abilities.

Marx spoke of an end to “alienation” caused by the division of labor; but were his fantasies put into effect, civilized life would collapse. Why, then, do many intellectuals claim that the division of labor dehumanizes?

La Feltrinelli ha tradotto il titolo del libro in: “La vittoria di Orwell“, che ha un senso molto diverso a parere mio dal titolo originale e recensisce il libro cosi’:

“Negli ultimi decenni negli Stati Uniti prendersela con lo stile e le opere di Orwell è diventato un luogo comune tanto radicato e diffuso da essere citato persino nelle puntate de I Simpson. Poche reputazioni letterarie hanno conosciuto un così sistematico e radicale ridimensionamento o suscitato tanta ostilità. Il “senso comune” di Orwell, considerato autore di apologhi ingenui e datati, criticato da Raymond Williams e Claude Simon, è considerato improponibile quanto l’ipotetica “società di patrizi” cui avrebbe l’aspirazione di rivolgersi la sua opera. Socialisti, conservatori, filosofi post-moderni, critici dell’imperialismo, femministe… tutti furono concordemente ostili all’autore della Fattoria degli animali. Divenuto celebre per aver criticato figure più o meno inattaccabili (Henry Kissinger, Bill Clinton, Madre Teresa) questa volta Hitchens si trova a difendere uno scrittore come Orwell partendo dalla sua capacità di leggere il contesto storico-politico nel quale si trovò ad agire, dal suo essere stato, oltre che romanziere, anche un grande giornalista in grado di affrontare le questioni più spiacevoli nella maniera più realistica, rinunciando al sempre facile appeal di mode e correnti. Hitchens difende Orwell nella maniera a lui più congeniale: con un attacco al presente della cultura americana.”

Leggiamo anche la piu’ approfondita recensione pubblicata su Il Corriere della Sera:

Anche se il titolo del libro di Christopher Hitchens è La vittoria di Orwell (Scheiwiller, pagine 248, 18) questa vittoria, per l’ autore e per i suoi commentatori, non è ancora così netta. Lo hanno affermato ieri alla Scala di Milano in occasione della presentazione del libro, avvenuta in coincidenza con la messa in scena del capolavoro di Orwell 1984 in teatro, nella riduzione lirica di Lorin Maazel («Sono rimasto impressionato dell’ opera» ha detto Hitchens e «gli spettatori l’ hanno sempre applaudita» ha aggiunto, dietro le quinte, un soddisfatto sovrintendente Stéphane Lissner). «Se la vittoria di Orwell non è ancora netta, vorrà dire che la lotta continua», ha affermato il saggista inglese. «Siamo di fronte più alla sconfitta dei suoi nemici, i totalitarismi, che a un successo pieno di Orwell» ha commentato il vicedirettore del Corriere Pierluigi Battista e anche il fatto che «sono passati sei anni prima che in Italia un editore pubblicasse il libro di Hitchens» evidenzia, ha detto il saggista Salvatore Carrubba, «una vittoria ancora da testimoniare».

Il disinteresse storico per Orwell fu determinato, afferma Carrubba, «dal fatto che non piaceva alla sinistra, perché non fu complice dei suoi progetti e svelò anzitempo la parabola brutale dello stalinismo».

«Orwell nasce come di sinistra e antimperialista, ma con una passione per la verità – aggiunge Battista -, una passione assente nel furore ideologico degli anni Trenta. Per questo, al pari delle testimonianze sull’ Urss di André Gide e Margarete Buber Neumann, non venne creduto.

Orwell non è stato ancora risarcito in Italia per gli insulti di Palmiro Togliatti e il giudizio di Italo Calvino, che lo definì una “infezione morale”».

Secondo Hitchens, l’ opera di Orwell contro i totalitarismi mostra «l’ istinto servile dell’ essere umano di fronte al potere del Grande Fratello», ovvero il «partito» che controlla ogni aspetto della vita di un individuo (il riferimento figurativo può andare al film Le vite degli Altri). E aggiunge che non gli dispiacerebbe attualizzare il suo libro con tre aspetti.

1) «Vorrei ricordare anche la vita di Victor Klemperer», cugino di Otto, direttore d’ orchestra e compositore, e figlio di un rabbino. Che visse una esperienza quasi come quella della Buber Neumann: «Negli anni Trenta, in Germania, Klemperer tenne un diario sul nazismo; poi finì a Berlino Est e ne tenne uno sul comunismo: una vita vissuta come quella di Winston Smith», il protagonista di 1984 che, dopo la «rieducazione» (torture) deve rinunciare alla scelta d’ amore personale.

2) «Quindi vorrei evidenziare la brutalità del regime birmano, che mantiene in schiavitù il suo popolo senza nemmeno riuscire a sfamarlo».

3) Il terzo aspetto è «il rifiuto, nei Paesi islamici, di pubblicare La fattoria degli animali, perché mostra come la teocrazia sia la forma originaria del totalitarismo». Ma forse, aggiunge, alcuni oppositori al «regime iraniano ne faranno una edizione in lingua farsi». (citazione necessaria * * * Protagonisti Qui sopra Christopher Hitchens. In alto George Orwell, autore di «1984»

Bene, spero di aver suscitato la vostra curiosita’ per questo libro del compianto Hitchens. Ci ritroviamo presto con un articolo ad hoc su H.G. Wells. A presto.


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