Consumare un bel prosciutto
Creato il 16 febbraio 2013 da Giuseppeg
L’altro giorno, mentre stavo rovistando dentro al banco dei salumi, mi si avvicina una signora un po’ attempata che mi fa: “Questo prodotto è ottimo. Le consiglio di consumarlo come antipasto o su una fetta di pane caldo”. In quel momento, chissà come mai, mi è venuto il desiderio opposto, e cioè di allontanarmi in tutta fretta dal bancone. Questo non tanto perché non mi fidassi di lei, che sembrava anzi al contrario in buona fede. Il fatto vero invece è un altro: non mi era mai passato per la testa di doverla consumare, quella fetta di prosciutto, come si consuma una suola di scarpa o un temperino da matita. Avevo davanti agli occhi l’immagine di me stesso chino sopra il piatto, con lo sguardo famelico e le mani protese in avanti, mentre esaurivo a poco a poco quel prodotto – un altro termine che non sopporto, ‘quel prodotto’! -, lo corrodevo come fa la ruggine coi tubi, lo sciupavo e lo guastavo fino a renderlo irriconoscibile. A questo punto, il mio pensiero si è allargato. Possibile, mi sono detto, che lo stesso destino toccherà agli altri prodotti mangerecci quali la carne, il pesce, la frutta o che so io? Che ne sarà di una torta di mele, mi chiedevo, una volta che l’avrò consumata? Non resterà che il piattino con le briciole, o finirà male anche quello? E le uova, ad esempio? Come diventa un uovo quando lo si è consumato? Mentre l’angoscia mi afferrava il petto, l’appetito se ne andava a grandi passi, neanche a dirlo. Mi sentivo un infame, una bestia, un distruttore; ero uno di quei draghi mitologici che non facevano altro che lasciare terra bruciata ovunque andassero. Ero ancora degno di far parte di questo mondo? Mi guardai intorno per chiedere aiuto, ma incappai con lo sguardo sopra gli altri scaffali, pieni zeppi di nuovi oggetti: c’erano federe e cuscini – mi sarebbe anche passato il sonno! -, c’erano pentole e posate, zuccheriere e caffettiere: tutta roba da consumare, ovvio, da usurare senza troppi scrupoli. Come fare allora? Come muoversi in un mondo in cui gli oggetti sono già programmati per la loro estinzione? Il nostro mondo non è altro che un’immensa pattumiera potenziale, anzi già quasi effettiva: nella data di scadenza, nei certificati di garanzia c’è il destino di tutte le cose, c’è la loro aspettativa di vita. Arrivato alla cassa, mi sono affrettato a pagare quel poco che mi era rimasto nel carrello. Ho tirato fuori i contanti, e mi sono chiesto veramente se anche loro mi si sarebbero consumati tra le mani, se sarebbero evaporati come l’acqua. Invece no, ecco la sorpresa! Sulle mie banconote non ho letto alcuna data di scadenza, anzi il contrario! Sembrava dovessero durare una vita, se non queste che avevo in mano tutte le altre dello stesso valore. Tutto intorno si consuma tranne i soldi. Loro sono solo il mezzo su cui scorre la sostanza delle cose, ma non sono le cose stesse. Non essendo terminali di alcunché, non si consumano: possono durare in eterno perché possono tramutarsi in tutto, senza avere addosso il peso di un’esistenza determinata. Ecco ho effettuato il pagamento. Lo scontrino, grazie; c’è anche il resto. Me ne torno dritto a casa più contento, sollevato. Aveva ragione Aristotele, aveva ragione Platone: in questo mondo dove tutto passa, dove tutto si consuma e decompone esiste almeno un cielo fisso, un Primo Immobile, un’Idea benedetta che ci illumina e ci segue dalla nascita fino alla morte. Anche chi non ce l’ha in tasca può sorridere al pensiero che essa esiste, che c’è, non importa in quali altri portafogli! Lunga vita al dio denaro, allora! La sostanza che permuta e non trasmuta, la speranza di tutti noi consumatori!
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