Magazine Architettura e Design

contemporary - #02 Architetture resistenti

Creato il 24 ottobre 2013 da Luisellazeri @ARCHIzonzo
Le incursioni domenicali in libreria, portano ad interessanti scoperte. Nello specifico abbiamo scovato un libriccino che ha condotto la redazione di ARCHIzonzo ad addentrarsi in una nuova avventura nel mondo delle architetture contemporanee. Il testo in oggetto, in realtà, è una graphic novel, ovvero un fumetto che affronta tematiche di approfondimento più complesse rispetto alle favolette di “Topolino” o simili.
Il titolo di questa piacevole scoperta è “Architetture Resistenti. Per una bellezza civile e democratica”, a cura di tamassociati.

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http://main.beccogiallo.net/

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“Viaggio nei luoghi e negli edifici italiani simbolodi un'architettura diversa, militante, coraggiosa, visionaria.”
La trama è semplice e scorrevole: una giovane reporter freelance, viene incaricata di seguire una rubrica di Architettura. L’incombenza pare inizialmente impossibile. Beni non è esattamente un “addetta ai lavori” e i super direttori del giornale si aspettano da lei qualcosa fuori dal comune. In realtà lo scopo dell’operazione è eliminarla: la giovane giornalista è intelligente ed acuta, troppo per i comuni canoni. Si occupa generalmente di denuncia sociale: insomma è una collaboratrice decisamente ingombrante. La rubrica però sarà un successo sin dalla prima uscita. Con l’aiuto di un fidanzato architetto e di esperti del settore, la giovane Beni redige, uno dopo l’altro, intelligenti “dialoghi” con le architetture che incontra: esse infatti, oltre alle forme interessanti, portano con se significati e valori alti.
Qui potete trovare un approfondimento relativo a tutte le opere di cui Beni parla nel suo viaggio.
Come termina il fumetto? Probabilmente nella maniera che ogni giornalista e curatore di Blog sogna per il proprio futuro.
Questo testo, in alcune parti giocoso, è un pretesto per parlare di un modo di progettare e costruire che oltre all'immagine da copertina patinata può raccontare qualcosa. Tutti gli edifici, prima visitati e poi narrati da Beni, hanno interessanti storie da testimoniare. Proprio per questo motivo, la rubrica si intitola Architetture Resistenti.
Le architetture Resistenti sono fatte per vivere meglio e vivere più felici. Sono tali perché ci permettono e hanno permesso ad intere generazioni, di resistere. Resistere a soprusi, persecuzioni e ingiustizie; ad andare oltre, attraverso la memoria, a grandi e immani tragedie. Gli esempi riportati sono temporalmente trasversali e ci portano a pensare che la necessità nella costruzione e progettazione di tali edifici, sia quasi un bisogno ancestrale nel processo vitale del uomo. Forse, la ricostruzione dell'Italia in crisi, in termini economici e sociali, potrebbe passare anche attraverso concetti come questo.
Un architettura resistente parla, abbiamo detto, ma lo fa perché nel momento in cui è stata ideata, il pensiero del progettista o del committente era illuminato. E’ il caso degli stabilimenti Olivetti e del loro lungimirante imprenditore: l’equilibrio fra solidarietà sociale e profitto, fu una politica rispecchiata nella progettazione delle fabbriche e degli edifici ad esse annessi.
Anche noi ci siamo voluti mettere sulle tracce di un’Architettura resistente. Armati di tutti i numeri arretrati della rivista dell’ordine degli Architetti di Verona, abbiamo intrapreso un’indagine su quanto il panorama Veronese possa offre in tema di costruire contemporaneo.

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http://europaconcorsi.com/
Photo by Giovanni Peretti

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La Casa Mario Pettoello, per lavoratori immigrati, progettata da A.c.M.e. studio di Verona , sorge nella periferia della città, all'interno di un tessuto molto denso in termini di edificazione residenziale. “Verona sud” rappresenta il vero nodo dello sviluppo della città, qui si concentrano e si concentreranno nei prossimi anni le maggiori trasformazioni urbanistiche al fine di insediare il cosiddetto polo finanziario e culturale.
La casa per lavoratori immigrati è manifesto di un interessante politica di Social Housing. L’intervento è stato promosso dalla cooperativa “La Casa per gli Immigrati” che partecipa attivamente a tutte le azioni di tutela degli immigrati in riferimento al diritto nell'ottenimento di un luogo dignitoso in cui vivere. Tale politica viene messa in atto acquistando o prendendo in locazione immobili da destinare ad immigrati in condizione di senzatetto. Gli edifici vengono predisposti in unità abitative per piccole convivenze o per famiglie, curando gli aspetti organizzativi della fruizione dei posti alloggio in relazione alla tipologia del bisogno.
La politica è molto lungimirante anche dal punto di vista architettonico, in quanto, al di là del lodevole aspetto sociale, la cooperativa cerca di preservare un azione che cura e preserva la qualità stilistica dei fabbricati. Dimostrazione di questo è la quantità di segnalazioni e premi vinti dagli edifici costruiti, recuperati e riqualificati da questa organizzazione. La stessa Casa Mario Pettoello è stata segnalata nel 2007 all'interno del Premio Europeo di architettura Ugo Rivolta, indetto dall'ordine degli architetti di Milano. Il progetto e’ stato selezionato come uno dei 18 migliori, fra i 46 partecipanti. La stessa cooperativa, sempre con A.c.M.e. studio è stata protagonista del Premio ArchitettiVerona 2013, vedendo selezionato fra i migliori progetti, l’intervento di recupero "Come a Ca’ Tua", a San Martino Buon Albergo.

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Photo by Giovanni Peretti


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Photo by Giovanni PerettI

Dalla descrizione di progetto della casa Mario Pettoello: “Adattandosi alle prescrizioni urbanistiche, il progetto “dà un ordine” alla sagoma amorfa imposta dai regolamenti edilizi, organizzandola in un gruppo di volumi costituito da due parallelepipedi a base quadrata, allineati sulla via, e uno a base rettangolare, inclinato a seguire l’andamento dell’edificio adiacente. La distribuzione interna è basata su questa articolazione volumetrica: i due corpi quadrati ospitano la zona giorno dei vari appartamenti, mentre la zona notte è ricavata nel volume rettangolare che va ad innestarsi parzialmente negli altri due. Le scale si inseriscono nello spazio lasciato libero al centro della composizione.
Il risultato è quindi un prisma sfaccettato generato dalla compenetrazione di tre solidi semplici. Questa articolazione planimetrica, accentuata nello sviluppo volumetrico della composizione, rappresenta anche una sorta di interpretazione del contesto nella sua dimensione urbanistica, storicamente caratterizzato da una pluralità di funzioni, tipologie ed usi; una sorta micro-intervento quindi che tuttavia vuole contribuire, fornendo un senso, allo sviluppo di questo parte di città. Poiché i tre piani, realizzabili in base agli indici di edificabilità previsti dal P.R.G., avrebbero ridotto il nuovo edificio ad essere sovrastato dalle fabbriche circostanti, si sono sollevati da terra i volumi di base poggiandoli su slanciati pilastri e pilotis. In questo modo si è ricavato un luminoso porticato, del quale è stata prevista solo una parziale pavimentazione; l’accesso abbondante della luce, reso possibile dall'altezza inusuale dell’interpiano, consente infatti al prato di estendersi anche al di sotto del fabbricato. Inoltre questa accentuata permeabilità del piano porticato rappresenta un’ulteriore attenzione al contesto e all'integrazione di quest’oggetto nello stesso; l’assenza di una barriera fisica a livello del piano di campagna permette allo sguardo di penetrare attraverso l’edificio e di spaziare nei lotti adiacenti interpretando così anche il tema dell’accoglienza, attraverso l’uso ludico del giardino destinato – nelle intenzioni della committenza – allo svago e al ritrovo dei figli dei locatari con i bambini del quartiere.

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Photo by Giovanni Peretti

L’unità della composizione è rafforzata dall'abbraccio della vela dei balconi che protegge i vari corpi di fabbrica, avvolgendoli in un unico movimento. L’esigenza di permettere una accentuata trasparenza della facciata, mantenendo tuttavia le sue caratteristiche di oggetto unificante, ha consigliato di adottare una soluzione che permettesse una buona visibilità, soprattutto dall'interno degli appartamenti, mantenendo invece una efficace protezione dall'esterno.”
Ecco quindi che l’edificio ci parla attraverso le scelte formali che diventano immediatamente simboliche. Si inserisce all'interno di un progetto di accoglienza e aiuto: permette a persone disorientate e in difficoltà di intravedere una speranza in un contesto diverso da quello di origine. Attraverso le scelte formali si cercano di aprire dichiaratamente vie di dialogo e socializzazione, sfatando il mito dell’immigrato come portatore di degrado e violenza. Questo edificio è un bel segnale in una città in cui determinate scelte elettorali sono manifeste. La stessa immagine colorata dell'edificio, spazza via l’uniformità delle scelte formali presenti nell'edilizia semi-intensiva delle costruzioni circostanti. Inoltre, per certi aspetti, la griglia metallica, le pareti colorate, l’apertura degli spazi al piano terra, evocano culture e tradizioni costruttive diverse dalle nostre e più in linea con chi in quelle case andrà ad abitare.

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