Se ben ricorderete, il "Salva Italia" del governo Monti (che ha distrutto anziché salvare) conteneva una norma che stabiliva il blocco delle rivalutazioni di quei trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo INPS, in "considerazione della contingente situazione finanziaria del paese". In pratica, per via di quella norma, i titolari di trattamenti pensionistici superiori a 1443 euro lordi (tre volte il minimo), dal 2012 sono stati costretti a rinunciare all'adeguamento delle loro pensioni al costo della vita. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 70/2015 depositata oggi, ha bocciato l'l'art. 24 del decreto legge 201/2011 in materia di perequazione delle pensioni, dichiarandolo incostituzionale. L'impatto sui conti pubblici, stimato dall'Avvocatura dello Stato quando si tenne l'udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013, per un totale di quasi 5 miliardi.
Da ItaliaOggi:
La Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il blocco della perequazione all'inflazione delle pensioni imposta dal governo Monti. Con la sentenza n. 70/2015, depositata oggi, è stato infatti ritenuta in contrasto con la Costituzione la cosiddetta norma Fornero contenuto nel «Salva Italia», art. 24 del decreto legge 201/2011, che prevedeva che, «in considerazione della contingente situazione finanziaria», sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps scattasse il blocco del meccanismo di adeguamento automatico al costo della vita. L'impatto della sentenza sui conti pubblici potrebbe essere pesante: l'Avvocatura dello Stato, quando si tenne l'udienza pubblica, aveva stimato che l'effetto dello sblocco vale circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013. «L'interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio», afferma la sentenza che porta la firma del giudice-giuslavorista Silvana Sciarra.
Da Ansa
La legge bocciata oggi dalla Corte Costituzionale in materia di perequazione delle pensioni è la cosiddetta norma Fornero contenuto nel ''Salva Italia''. L'impatto sui conti pubblici, stimato dall'Avvocatura dello Stato quando si tenne l'udienza pubblica, sarebbe di circa 1,8 miliardi per il 2012 e circa 3 miliardi per il 2013.La norma che, per il 2012 e 2013, ha stabilito, "in considerazione della contingente situazione finanziaria", che sui trattamenti pensionistici di importo superiore a tre volte il minimo Inps scattasse il blocco della perequazione, ossia il meccanismo che adegua le pensione al costo della vita, è incostituzionale. Lo ha deciso la Corte Costituzionale, 'bocciando' l'art. 24 del decreto legge 201/2011. "L'interesse dei pensionati, in particolar modo i titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio", afferma la Corte nella sentenza 70 depositata oggi, di cui è relatore il giudice Silvana Sciarra.
A sollevare la questione di legittimità costituzionale erano stati, con varie ordinanze tra il 2013 e il 2014, il Tribunale di Palermo, sezione lavoro; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Emilia-Romagna; la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale per la Regione Liguria. Secondo la Consulta, le motivazioni indicate alla base del decreto sono blande e generiche, mentre l'esito che si produce per i pensionati è pesante. "Deve rammentarsi - si legge nella sentenza - che, per le modalità con cui opera il meccanismo della perequazione, ogni eventuale perdita del potere di acquisto del trattamento, anche se limitata a periodi brevi, è, per sua natura, definitiva. Le successive rivalutazioni saranno, infatti, calcolate non sul valore reale originario, bensì sull'ultimo importo nominale, che dal mancato adeguamento è già stato intaccato". "La censura relativa al comma 25 dell'art. 24 del decreto legge n. 201 del 2011, se vagliata sotto i profili della proporzionalità e adeguatezza del trattamento pensionistico - dice ancora la sentenza - induce a ritenere che siano stati valicati i limiti di ragionevolezza e proporzionalità, con conseguente pregiudizio per il potere di acquisto del trattamento stesso e con irrimediabile vanificazione delle aspettative legittimamente nutrite dal lavoratore per il tempo successivo alla cessazione della propria attività". "Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (art. 36 Costituzione) e l'adeguatezza (art. 38). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà" (art. 2) e "al contempo attuazione del principio di eguaglianza", (art. 3).