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Continua il dibattito

Creato il 16 settembre 2010 da Federicobollettin
Una lettera, una risposta
Carissimo Federico,
dopo aver letto le notizie su don Romano Frigo avevo deciso di mantenere il silenzio sia per rispetto verso un confratello che dignitosamente sta riflettendo sul futuro della propria vita, sia perché la reazione ufficiale della diocesi, pur contraddistinta da espressioni di rammarico e di sofferenza, mi è sembrata pur essa rispettosa. E soprattutto perché il problema del celibato non è l’unico problema della Chiesa, di questa Chiesa così pronta a dichiarare e intervenire quando si tratta della società civile, inerte e muta quando si tratta di giudicare e di fare scelte al proprio interno. Poi ho letto il tuo intervento sul Mattino di mercoledì 8 settembre e la tua provocatoria domanda di organizzare un incontro sul tema del celibato dei preti o, comunque, perché qualcuno abbia il coraggio di uscire allo scoperto e di battere un colpo. Chi pensi che ti risponda?
Non penso che ti risponderanno i preti che amministrano o che ambiscono di amministrare grosse parrocchie. Tu sai bene che il requisito essenziale per raggiungere simili traguardi è che queste persone siano “sicure”, perfettamente consone con la sensibilità e la visione pastorale di chi sta in alto.
Non penso nemmeno che ti risponderanno gli altri sacerdoti, abituati magari ad esprimersi liberamente e spesso pure criticamente su questo e su molti altri temi quando si trovano tra di loro o in mezzo alla gente. Alcuni non lo faranno perché, a entrare in questo discorso, si sentiranno a disagio come se stessero mettendo in pericolo la loro vocazione; altri sceglieranno il silenzio perché, a intervenire pubblicamente, avranno paura di incorrere nei richiami dei superiori; altri poi non vorranno rischiare di scoprirsi, altri infine non ti risponderanno perché convinti dell’inutilità di mettersi a parlare con una gerarchia che invece di affrontare i problemi li nega o li elude.
Il problema, vedi, sta proprio qui, in una gerarchia che da circa tre decenni ha scelto di vivere di nostalgie e di conservazione delle forme del passato e che, impaurita, non è in grado di leggere il presente e tanto meno di progettare il futuro. D’altra parte, salvo qualche comprensibile e augurabile errore, quali sono i criteri con i quali a partire da Giovanni Paolo II sono stati scelti i nostri vescovi? Non certo quelli della competenza, della capacità di leggere il presente e di rinnovare coraggiosamente la pastorale, ma piuttosto di essere esecutori obbedienti e silenziosi delle direttive impartite da una autoreferenziale e conservatrice curia romana che, strada facendo, si è liberata del peso ingombrante del Concilio. Per non parlare delle nostre curie locali.
Pensi che questi ti risponderanno, che risponderanno a te che hai mancato di parola? Pensi che organizzeranno degli incontri in cui discutere di celibato, di preti sposati e non sposati rischiando così di incorrere nella censura vaticana, visto che la discussione di questo e di altri argomenti è severamente vietata? Pensi che organizzeranno degli incontri per dibattere su questo tema, importante ma anche secondario, quando su molti altri temi della pastorale sia a livello generale che locale non si muove una foglia? Forse io sono un pessimista. Ma è pessimista l’obiettivo che si limita a fotografare il panorama che gli sta davanti?
Con questo non voglio dire che la tua domanda sia sbagliata. Ti auguro anzi che qualcuno ti risponda e si faccia vivo. Ma se non vorrai continuare a essere una voce che grida nel deserto, non aspettare che qualcuno dall’alto si metta a organizzare qualcosa. Incomincia a formare un gruppo stabile di laici e di sacerdoti che sui vari problemi della Chiesa e della diocesi (non solo sul celibato) abbiano il coraggio di far sentire la loro voce.
Don Pietro Milan
(pubblicata martedì scorso su Il Mattino di Padova)
Carissimo Pietro,
ti ringrazio per la tua lettera-reazione al mio articolo, tutto questo serve per tenere acceso il dibattito, anche se lettere come quella di ieri, di una signora credo, pubblicata nella pagina dei lettori, ci dicono come molta gente voglia dei preti funzionari del sacro.
Apprezzo il tuo intervento, anche se vorrei fare alcune precisazioni.
La mia proposta, già fatta in precedenza, non è quella di un convegno sul tema del celibato, ma di un incontro dove preti, celibi e sposati, donne e membri di comunità... possano raccontarsi liberamente davanti al vescovo, e responsabili vari. Non un convegno dunque, ma un'occasione di incontro vero. Informale se vuoi, non pubblicizzato.
In secondo luogo, caro Pietro, ci tengo a dirti che il celibato non è un tema da dibattere... Un prete che si innamora e costruisce un sano rapporto di coppia, e magari forma una famiglia, comincia a vedere tutto il resto con occhi altri. Dalla Chiesa in generale ai sacramenti, alla pastorale, al Vangelo stesso. Lavoro, economia, scuola... Tutto ha colori nuovi. Non si tratta dunque di discutere su una precisa norma disciplinare della dottrina cattolica, ma di ri-pensare il modo di fare chiesa, di leggere e mettere in pratica il vangelo. Non con occhi maschilisti, clericali e sessuofobici... ma alla luce di relazioni d'amore che allargano gli orizzonti. In questo senso le donne dei preti in carica, vorrebbero essere ascoltate, ma senza mettere nei guai il loro irraggiungibile amato.
Infine, vorrei proporti di usare meno possibile il termine veterotestamentario “sacerdote” che si fonda sulla cultura del sacro come separazione dal mondo. Meglio il semplice prete o presbitero, che indica il ministero, il ruolo di coordinatore all'interno di una comunità. Sono sottigliezze lo so, ma se riuscissimo a togliere quel “don” davanti al nome (a me lo tolgono volentieri, per fortuna!), quando ci firmiamo, per comparire come tutti gli altri, compresi dottori e professori... sarebbe un segno di incarnazione e non di separazione. In effetti, se non siamo noi ad educare la gente ad un linguaggio più preciso e coerente al messaggio di Gesù, chi dovrebbe farlo?
All'interno del gruppo biblico che coordino, dove sono presenti persone belle e differenti, certe riflessioni già le faccio, c'è un forte senso critico e nello stesso tempo propositivo... chissà magari col tempo ci faremo sentire! Ma la strada è ancora lunga, e di questo ne sono terribilmente consapevole. Il titolo-giudizio che la redazione ha messo alla tua lettera è severo, ma realistico: questa Chiesa, intesa come gerarchia, non sa ascoltare.
Con affetto e stima,
Federico

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