Magazine Europa
Ma la prima tappa del viaggio si attesta una manciata di chilometri al di fuori della Germania, una sosta di avvicinamento, oppure - se vogliamo - di ambientamento, in una terra in cui la diversità della lingua e la diffusa ignoranza di altri idiomi comuni, è la prima manifesta difficoltà. Eccomi dunque a Innsbruck - Austria, capoluogo del Tirolo Settentrionale, e perla della regione - almeno sostengono le guide - situata ai piedi di un'imponente corona di montagne. Eppure la prima impressione che ricavo avvicinandomi alla città, e che mette kaputt le mie aspettative, è quella di un contorno urbanistico industriale e cementificato. Niente di tipico o storico, insomma. Fa piuttosto venire in mente un'Abbiategrasso più montana. Dal canto suo Aosta - tanto per citare un'altra "grande" città alpina (anche se, va detto, fa un terzo degli abitanti di Innsbruck) - sembra assai più caratteristica e raccolta.
Poi, superando di gran carriera qualche squallido pub, un cantiere faraonico (o sono i resti di un bombardamento della II Guerra Mondiale?), un viale di vetrine scintillanti e il deja vu di qualche tempio della globalizzazione, mappa alla mano giungo finalmente nella Zona Pedonale, un tessuto di poche vie che costituiscono il centro, con il Tetto d'Oro e il quartiere storico con le case a graticcio e gli affreschi, ma anche la via crucis di bar, ristoranti e negozi di souvenir (per il turista che vuole fare penitenza), la sola area in cui in fin dei conti - nonostante tutto - vale davvero la pena gironzolare. Roba, insomma, che in un'oretta ti sei abbondantemente levato il pensiero. A meno che tu non sia un amante dello speck e dei wurstel, naturalmente. Per il resto, confesso, mi suona del tutto fuori luogo pensare di venire qui apposta per più di mezza giornata. Poi però, dopo una cena che funge da preludio iperproteico alla dieta che mi toccherà nei prossimi giorni, accade quello che non mi aspetto e che cambia le carte in tavola e dà un senso a tutto quanto. A volte basta poco.
Basta salire i pochi gradini che conducono all'ingresso del Café Sacher dove si può gustare una fetta di Sacher-Torte originale, per capire perché Nanni Moretti in Bianca si scandalizzava così tanto. L'atmosfera è viennese, anche se Strauss non c'è. Candelabri e tappezzeria arabescata. Tavolini in marmo e poltroncine un filo troppo soffici. Mentre mi accomodo, resisto all'impulso di controllare se ho con me la carta di credito, che se il mio portafoglio uscirà indenne da qui sarà un miracolo.
Quindi ordino e in meno di trenta secondi il cameriere/sacerdote pone sul mio tavolo ciò che ho richiesto. Un'originale, unica, deglobalizzata fetta di Sacher-Torte. Con un bel fiore di panna montata a impreziosire la composizione. Apprendo che la ricetta della Sacher-Torte, inventata il 9 luglio 1832 dall'allora sedicenne apprendista cuoco Franz Sacher per il celebre Wenzel Clemens principe di Metternich - poiché quel giorno il cuoco di corte era malato -, è tenuta rigorosamente segreta, un po' come quella della Coca Cola. Però, al contrario della bevanda del colosso di Atlanta, vi sono solo cinque luoghi al mondo, in cui è possibile gustare la Sacher-Torte originale: Vienna, Innsbruck, Salisburgo, Graz, e il Sacher Shop di Bolzano. Certo, ci sono le innumerevoli imitazioni di pasticceria che schifo in genere non fanno, tutt'altro. Ma quella originale, gente, parola di marziano, è tutt'altra faccenda. Nella consistenza e nella morbidezza vellutata della glassa, per esempio, ma soprattutto nella trama della pasta della torta, che sembra quasi non lievitata e conferisce in questo modo al palato un'esperienza di rotondità del tutto inedita rispetto a una torta convenzionale. Finisce così, con la Sacher-Torte (a soli 4,90€ seduto al tavolo) che mi salva Innsbruck da un'inaspettata débâcle. Senza contare che questo straordinario carico di dolcezza mi sarà d'aiuto per mitigare l'asprezza che, non ho dubbi, mi sta aspettando dietro l'angolo della prossima tappa.
/continua
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