Continuità e salti: la chiusura ideologica del mondo biologico

Creato il 21 dicembre 2011 da Uccronline


 
di Alessandro Giuliani*
*biostatistico e primo ricercatore presso l’Istituto Superiore di Sanità

 
 

Nel suo bellissimo libro ‘Ai miei figli’ , Pavel Florenskij, martire nei Gulag staliniani e insieme una delle menti più lucide del ventesimo secolo che spaziava dalla matematica, alla storia dell’arte, alla teologia ed alla chimica, coglieva con chiarezza la potenza disumanizzante del positivismo nel concetto di ‘continuismo’. Se ogni forma della natura (vivente o non vivente) poteva essere totalmente compresa in termini di variabili e leggi evolutive che variavano con continuità (in matematica si dice differenziabili), senza punti singolari, catastrofi, brusche discontinuità, allora semplicemente tali forme erano solo un’illusione o al più una gradevole curiosità senza valore conoscitivo e tutte le nostre idee di bellezza, di vita buona, di giustizia puri accidenti storici.

Non casualmente Florenskij prende le mosse dal concetto matematico degli ‘infiniti di diversa potenza’, sviluppando alcune idee del matematico Georg Cantor e curiosamente convergendo con il concetto di ‘diversi ordini di realtà’ che aveva affascinato secoli prima un altro genio profondamente cristiano e a lui sorprendentemente simile: Blaise Pascal. La cosa può sembrare astrusa ma non lo è affatto: se una particolare legge di crescita a spirale (si pensi ad esempio a certe conchiglie, ma anche a certe reazioni chimiche oscillanti che generano delle spirali nel mezzo in cui avvengono, o a certe formazioni rocciose..) non è un puro accidente di una continuum di forme tutte ugualmente possibili ma risponde invece a dei criteri di ottimalità nella sua relazione con l’ambiente e/o nella sua formazione, allora, indipendentemente da variazioni del sostrato (mutazioni che influenzano i ritmi di espressione genica per la conchiglia, cambiamenti nella concentrazione di prodotti e reagenti nella reazione chimica oscillante, variazioni di temperatura e pressione nell’orogenesi nel caso delle rocce) la spirale rimarrà praticamente identica a sé stessa. In fisica un tale comportamento si denota con la fascinosa parola ‘attrattore’, una certa forma, una certa modalità o ritmo è un ‘attrattore’ se il sistema continua ad adottarlo anche quando sottoposto a perturbazioni. Tanto più vasto è ‘il bacino di attrazione’ di un certo attrattore, tanto più resistente (e frequente) sarà la modalità corrispondente. In presenza di ‘attrattori’ il costante ed immemore flusso della continuità che tutto travolge e tutto trasforma si spezza e deve ‘chinare la testa’ a dei vincoli generali di ottimalità che ‘impongono certe soluzioni’ rispetto ad altre, il progresso non è più un flusso continuo ma un ‘saltabeccare’ da una ‘forma ammessa’ ad un’altra. La causalità ‘top-down’ (il finalismo avrebbe detto Aristotele, ma non ci impelaghiamo in termini sdrucciolevoli) si sovrappone al puro ‘costruire dal basso’ in termini di ‘forme privilegiate’ che indicano semplicemente delle ‘condizioni globali’ favorite dall’ambiente. Allora non avrà molto senso elucubrare sull’effetto di quel piccolo cambiamento (gene in più o in meno, mutazione X o Y) che con tutta probabilità verrà ‘riassorbito’ dal vincolo ‘top-down’, dalla stabilità cioè della forma generale in cui si inscrive.

 Ora, se non andiamo troppo a fondo con le conseguenze generali, nessuno scienziato crede ragionevolmente ad un’ ipotesi continuista assoluta e onnipresente, vista la dovizia di contro-esempi che la natura ci propone; per rimanere nel mondo della biologia, potremmo considerare come i livelli di espressione di circa 30.000 geni, ciascuno potenzialmente variabile su quattro ordini di grandezza (e quindi con la possibilità di generare un numero praticamente infinito di configurazioni) si risolva in solo 200 ‘pattern stabili’ corrispondenti ai diversi tessuti del nostro corpo, circa mille forme ‘ideali’ di configurazioni tridimensionali di proteine spiegano l’universo praticamente infinito di possibilità di ripiegare nello spazio stringhe di una lunghezza variabile da circa trenta a diecimila aminoacidi, e potremo continuare con l’esistenza di sole tre possibili simmetrie per il corpo degli animali ecc. ecc. Quando però si entra nel campo dell’evoluzionismo questo semplice buon senso viene subito meno e l’ipotesi continuista deve essere difesa a spada tratta contro tutte le possibili evidenze contrarie.

Ho potuto sperimentare di persona la forza di questo pregiudizio in quasi due anni di ‘contesa’ con gli anonimi revisori di un saggio scientifico che ho scritto in collaborazione con il mio amico israeliano Eli Reuvenidal titolo: “Emergent properties of gene evolution: species as attractors in phenotypic space”: il fatto che il saggio sia stato alla fine accettato da una rivista di fisica e non da una di biologia non è per nulla casuale, infatti solo i revisori di Physica A (una rivista di meccanica statistica) hanno avuto un atteggiamento ‘laico’ nei confronti del nostro lavoro sollevando obiezioni e commenti (a cui abbiamo risposto soddisfacentemente visto che poi il lavoro è stato accettato) sulla congruità tra ipotesi di lavoro e risultanze sperimentali e sulle metodiche di calcolo utilizzate e non, come i revisori di ben cinque riviste di biologia a cui era stato sottomesso in precedenza, sull’ideologia sottesa al nostro lavoro. Insomma la rivista di fisica ha avuto un atteggiamento scientifico, quelle di biologia un atteggiamento dogmatico. La conclusione della contesa ci ha fatto sicuramente piacere anche se rimane il rammarico della rigida chiusura delle riviste biologiche che sarebbero state un foro molto più rilevante per il nostro lavoro (la rilevanza non ha a che vedere con la caratura scientifica che al contrario è forse maggiore nel caso di Physica A ma della capacità di incidere del nostro lavoro nel campo della biologia dove è effettivamente innovativo, laddove sotto l’aspetto della meccanica statistica, si tratta di niente di più di un’applicazione elegante di metodi assodati).

Senza entrare troppo nei dettagli (chi fosse interessato può collegarsi al sito della rivista o chiedermi il pdf), il lavoro ha dimostrato, attraverso l’analisi di circa 1300 geni codificanti di lievito (Saccharomyces Cerevisiae) che una distanza genetica continua (misurazione delle differenze in termini di numero di mutazioni del DNA tra due diverse varietà ed un loro ibrido) andava di pari passo con un fenotipo discreto (le popolazioni ibride, indipendentemente dal genotipo assumevano solo uno di due possibili ‘pattern’ di ‘malleabilità’ delle proteine corrispondenti). La presenza di poche forme vincolate da una parte era conseguenza del fatto che un organismo funziona se e solo se le sue proteine lavorano di concerto e dall’altra indicava le specie come ‘attrattori’ (forme privilegiate) nello spazio biologico e non semplici accidenti lungo un flusso continuo di variazione. Insomma ogni specie (varietà) è una configurazione ‘ottimale’ e bilanciata tra i ruoli svolti da ogni proteina nell’armonia globale che indirizza la variabilità genetica continua di fondo. Le risposte dei revisori ‘biologici’ sono state a volte di semplice incredulità (non può essere ci deve essere qualcosa di sbagliato), di disprezzo (gli autori non capiscono niente di genetica di popolazione), di accusa (chissà dove hanno preso i dati..), a volte si alzavano obiezioni astruse ed inconsistenti (qualcuno non si è neanche accorto che la nostra distanza era sull’intero profilo dei 1300 valori di rapporto e non su uno solo..). Se si pensa che ogni rivista dava da leggere il nostro lavoro ad un numero variabile da due a quattro revisori si può immaginare quanti rospi abbiamo dovuto ingoiare… Comunque io avevo già intenzione di lasciar perdere, ma Eli che è più testardo di me (e di questo lo ringrazio) ha voluto comunque andare avanti e in qualche modo ci siamo riusciti…

Perché tanto accanimento? Nel libro del mio amico Enzo Pennetta sul darwinismo (recensito su questo sito) c’è uno specchietto molto bello sul perché l’ideologia positivista del progresso continuo abbia bisogno di un paradigma continuista e rimando il lettore interessato al bellissimo libro di Enzo. Io, in maniera un po’ subdola istillerò il dubbio che troppe imprese biotecnologiche, con troppi denari investiti, implicano un paradigma continuista di ‘piccoli cambiamenti migliorativi’ (OGM, terapia genica, singoli bersagli molecolari di farmaci, spiegazione genetica delle malattie..) perché il dubbio magari infiltratosi proprio dalla parte più ‘sacra’ (e tutto sommato meno finanziariamente rilevante) come la biologia evolutiva possa minare dalle fondamenta il castello della tecnoscienza.


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