Allo stato attuale delle conoscenze in ambito psicologico siamo autorizzati a sostenere che il nostro cervello è programmato ad evitare la sofferenza, tutto ciò che comporta dolore istintivamente viene preso in carico dall’intelligenza emotiva allo scopo di sollevare la psiche dall’onere di sentimenti penosi anche se, nella realtà, molti provvedimenti attuati dalla psiche risultano più gravosi del nucleo evitato. Altra caratteristica della psiche umana è l’esigenza di completamento dei processi di pensiero ovvero tendenza a completare i processi mentali in termini di: apertura, svolgimento, chiusura; il processo mentale che non si completa, qualunque processo dal più semplice al più complesso, comporta distress psicologico e affaticamento mentale. Per distress intendiamo lo stress patologico ovvero il ristagnamento ad oltranza nella fase di “ svolgimento”o preparazione al traguardo, del processo stesso per la persistente mancanza della fase “chiusura” definibile anche mortificazione del bersaglio. Un esempio di questa dinamica potrebbe essere quello del porgere sistematicamente il bicchiere vuoto al bimbo che chiede acqua. Nel mondo del lavoro la mortificazione sistematica della fase di chiusura riguarda in particolare i lavoratori con contratto a termine. Nella nostra cultura un essere umano adulto, pur rimanendo fenomeno unico, è portatore ed espressione della cultura di appartenenza nel senso che il suo modo di essere e di vivere scaturisce dagli echi personali nell’impatto con l’ambiente sociale di appartenenza inteso come incontro/scontro con le tendenze culturali, modo di pensare, il modo di essere, le credenze e convinzioni condivise, i valori ecc.. Per quanto riguarda l’attività lavorativa fin dalla prima infanzia l’individuo viene educato e formato pensando al lavoro come ad un appuntamento inderogabile con la vita – cosa vuoi fare da grande?. La cultura sottolinea l’importanza di prepararsi al meglio finalizzando ogni sforzo a questo obiettivo comunicando implicitamente che sul piano pratico è proprio nel lavoro che si concretizza lo sgancio dalla dipendenza famigliare e l’evoluzione allo stato di adulti di turno. L’autonomia economica favorisce e consente l’indipendenza personale la quale sul piano psicologico si concretizza con l’assunzione della responsabilità di se stessi e sul piano materiale con la capacità di provvedere al proprio sostentamento. La metafora, di questo indirizzo verso il quale tendere, è implicitamente pregna di promesse allettanti: sarai grande, autonomo, padrone di te stesso, in condizione di esprimerti nei tuoi talenti e le tue capacità. Il lavoro con contratto a termine si presenta come un’occupazione regolare a pieno titolo, ma in realtà produce utilità soprattutto alle medie statistiche che misurano la percentuale di persone che lavorano. Il lavoratore a termine viene bloccato dal sistema nella sua zona di “svolgimento” proprio nella fase in cui il soggetto è pronto e meglio attrezzato, la tensione è alta e l’aspettativa del premio agognato (bersaglio assente) lampeggiano in rosso; sogni, progetti e propositi sono allo start di partenza, ma quel contrattino a termine, verso il quale, peraltro, viene chiesto di manifestare gratitudine, nella mente della persona ha gli effetti del muro di una diga: il corso del fiume viene abusato, le traiettorie ridefinite, la poesia della natura negata e il bacino accumula tensione. Il lavoratore a termine entra in distress, è confuso sente che deve esser grato pensando ai tanti disoccupati, ma le sue intime sensazioni sono quelle del topo in gabbia appena finito il pezzetto di formaggio.
Dr.ssa Elisabetta Vellone