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[...] Antonio [vissuto tra il 251 e il 355 circa, è considerato il fondatore del monachesimo] raccomandava ai suoi discepoli di annotare per iscritto le azioni e i moti della loro anima. E’ probabile che la pratica dell’esame di coscienza scritto esistesse già nella tradizione filosofica. Era utile, se non necessaria, per rendere l’indagine più precisa. Ma in Antonio si tratta, questa volta, in certo qual modo, di un valore terapeutico della scrittura. «Che ciascuno annoti per iscritto le azioni e i moti della sua anima, come se li dovesse fare conoscere agli altri», consiglia Antonio. Infatti – continua – non oseremmo commettere colpe in pubblico, davanti agli altri. «Che la scrittura stia dunque al posto dell’occhio altrui». Il fatto di scrivere dà l’impressione di essere in pubblico, secondo Antonio, di essere sulla scena. Questo valore terapeutico della scrittura sembra comparire parimenti nel testo in cui Doroteo di Gaza riferisce che sentiva «conforto e beneficio» per il semplice fatto di avere scritto al suo direttore spirituale. – PIERRE HADOT, Esercizi spirituali e filosofia antica (2002), EINAUDI 2005, pag.80
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