La natura in rovina
di Robert Kurz
La scienza moderna, a quanto ne sappiamo, è il progetto di maggior successo della storia dell'umanità. Ma anche, e di gran lunga, il più catastrofico. Successo e catastrofe non si escludono, necessariamente, a vicenda, piuttosto il contrario: il più grande dei successi può racchiudere il maggior potenziale di catastrofe. Ora, a partire dal XVII secolo, è stata accumulata più conoscenza sulla natura di quanto era stato fatto in tutti i secoli precedenti, ma alla stragrande maggioranza delle persone, fino ad oggi, tale conoscenza è stata mostrata, in termini generali, solo in forma negativa. Con l'aiuto della scienza applicata alla tecnologia, il mondo non è diventato più bello, ma semmai più brutto. E la minaccia della natura sulle persone non è diminuita, in una natura rimodellata tecnologicamente dalle persone stesse, ma è invece aumentata.
Disastrosa alleanza
Se la "prima natura" della persona biologica è stata da sempre modellata e rimodellata dalla cultura, che ha così prodotto una "seconda natura" sociale, tale "seconda natura", nella modernità, è intervenuta sulla "prima natura" con una violenza senza precedenti, modellandola a sua immagine. Il risultato è stato quello di una violenza naturale del secondo ordine che è diventata ancora più incalcolabile della violenza naturale del primo ordine, con la quale avevamo familiarità. Si tratta di un'alleanza disastrosa dominante fra economisti, scienziati, tecnici e politici, la quale amministra il processo di sviluppo scientifico-tecnologico nella forma del sistema sociale moderno e che - non solo con ignoranza, ma senza nemmeno tener conto dei danni - difende contro ogni critica, la dinamica in essa implicita, e la perpetua nel tempo. D'altra parte, la critica della scienza, da parte degli emarginati e dei dissidenti, è doppiamente condannata al fallimento, in quanto non riesce a mettere al centro della questione né la forma sociale né la struttura della conoscenza scientifica, cioè la questione etica della "responsabilità". In opposizione a questa mancanza etica, la nuova corrente femminista della critica della scienza va molto più a fondo. Tale critica dimostra che il paradigma epistemologico della scienza modera è ben lontano dall'essere "neutro", in quanto rivela soprattutto una certa matrice culturale, sessualmente definita. Il concetto di obiettività, come si evidenzia in Francis Bacon (1561-1626), agli albori della storia scientifica moderna, è determinato unilateralmente dall'uomo, e la sua pretesa non è diretta innanzitutto alla conoscenza ed al miglioramento della vita umana, ma all'assoggettamento ed al dominio. Teoriche nordamericane, come la biologa molecolare Evelyn Fox Keller o come la filosofa Sandra Harding, traggono la conclusione che la rigida separazione fra soggetto ed oggetto, così com'è alla base della scienza moderna, dev'essere messa in discussione. Ma qui non si tratta di una critica romantica della scienza, bensì di una "altra scienza", che liberi il suo processo cognitivo dall'esigenza di sottomissione. E' in tal senso che tracciano un parallelo tra la razionalità scientifico-tecnologica e quella economica, nella modernità, dove entrambe riconducono agli interessi di dominio e di sfruttamento. La scienza naturale moderna e la moderna economia capitalista non sono assolutamente identiche, ma mantengono stretti legami di parentela. Oltre il principio femminista di Fox Keller ed Harding, tale parentela si rivela sia in una prospettiva storica quanto in una prospettiva culturale. Scienza, economia ed apparato statale, nella modernità, rimandano ad una radice comune, ossia, alla rivoluzione militare delle armi da fuoco all'inizio dell'era moderna. Da lì proviene anche la polarizzazione specificamente maschile della modernità. La rivoluzione sociale che ha avuto origine dai cannoni ha rotto le strutture dell'economia agraria con la formazione di eserciti regolari e di una grande industria delle armi fino ad allora sconosciuta e con l'espansione del settore minerario. Non solo viene così generato il capitalismo, ma anche un'immagine della natura ad esso adeguata. La rigida separazione fra soggetto ed oggetto, fenomeno specificamente moderno, è il prodotto di questa storia: così come il soggetto maschile della rivoluzione militare ha definito il mondo letteralmente come "carne da cannone", come puro oggetto di annichilimento, così l'apparato statale e la razionalità economica hanno definito l'individuo come oggetto di gestione, come oggetto della scienza imprenditoriale. La nascita della scienza è stata fin dall'inizio integrata a questo sviluppo. Non c'è da stupirsi che le invenzione tecnologiche proto-moderne presiedano, in molti modi, alle innovazioni militari delle armi da fuoco, come i progetti di Leonardo da Vinci, che, come tanti altri studiosi suoi contemporanei, costruiva cannoni, anticipando anche, come sappiamo, lo sviluppo di sottomarini e di elicotteri da guerra.
Oggetti di manipolazione
Ma non è stata una mera finalità esterna che ha imprigionato l'ascesa della scienza nella rivoluzione militare e nel capitalismo nascente, ma è stato semmai il fondamento epistemologico della scienza stessa. La razionalità scientifica ha definito il suo oggetto anche come oggetto da assoggettare, cosa che già si ritrova nell'eloquente metafora di un linguaggio scientifico "oggettivo", come ha dimostrato Evelyn Fox Keller. L'abbandono dei dogmi della teologia non è stata una vera emancipazione della conoscenza, è stato un atto che è rimasto sotto il segno del nascente complesso militare-industriale e della sua teologia economica secolarizzata. In questo contesto, era inevitabile che la natura apparisse come un oggetto strano ed ostile. L'oggettività divenne oggettivazione, la conoscenza divenne violazione. La visione del mondo comune, soggiacente alle diverse forme di oggettivazione, è una visione meccanicistica. Questo perché solamente oggetti meccanici si lasciano oggettivare e manipolare completamente. Così come lo Stato moderno riduce l'individuo vivo ad un'astrazione giuridica, così come la logica dell'economia esige che la società venga ridotta alla materia morta del denaro, anche la scienza riduce i processi naturali ad un nesso meccanico. Un tale riduzionismo non consegue forzatamente dalla conoscenza della natura in sé, ma è innanzitutto un prodotto della tendenza storica dell'oggettivazione soggiogatrice. Nella prassi sociale, il riduzionismo economico, politico e scientifico hanno sposato una struttura totalitaria nella quale la persona ed il mondo sono definiti come oggetti ostili alla manipolazione. L'economia industriale può fare un uso tanto rigoroso della scienza solamente perché la razionalità scientifica procede dalla stessa radice ed obbedisce fin dalla culla ad un analogo imperativo meccanicistico. Anche oggi abbiamo a che fare con un complesso di carattere militare, economico e scientifico. Era inevitabile, poi, che il soggetto manipolatore, qualcuno che, come scienziato, politico ed economista, si separasse in termini assoluti dai suoi oggetti, che finisse egli stesso oggettivato e manipolato - un semplice servo, ridotto ad esecutore dei complessi militar-industriali ed economico-tecnologici.
Carattere distruttivo
La forza distruttiva di questi complessi interlacciati, e la loro dinamica allucinata, ha da molto tempo superato la linea rossa oltre la quale iniziano le "catastrofi naturali" causate dall'economia e dalla scienza. Dopo che il capitalismo scientifico e la scienza capitalista hanno raggiunto certe frontiere naturali, e dopo che hanno tentato di romperle a forza, la loro logica riduzionista e meccanicistica minaccia di dare luogo, oltre la distruzione insidiosa dei fondamenti naturali della vita, alla creazione di tecnologie di distruzione realmente apocalittiche.
Fino a metà del XX secolo, il complesso economico-scientifico si era limitato a sottomettere alla sua logica di oggettivazione la materia esistente in natura e a consumarla come oggetto. Il carattere distruttivo non era niente di più che un effetto secondario, indiretto. Negli ultimi cinquant'anni, al contrario, il sistema è passato non solo ad intervenire sulla natura, ma a produrre una "altra natura", di aspetto fisico e biologico interamente diverso, dal momento che la semplice manipolazione esterna della natura si era esaurita. Non riconoscendo nessun'altra logica se non la propria, e quindi nessun limite naturale, il complesso economico-scientifico è abbastanza insensato per cercare di emanciparsi pienamente dalla natura.
Dopo la seconda guerra mondiale, era diventato evidente che l'energia fossile, conservatasi per milioni di anni nella Terra, si sarebbe esaurita, almeno nella sua forma economicamente utilizzabile, a causa del saccheggio moderno. La cultura della combustione minacciava, quindi, di raggiungere il suo limite naturale. La risposta fu pertanto la tecnologia atomica, ossia, il tentativo di liberare una forma di energia non esistente nella natura terrena, e da essa indipendente. Autodistruttiva, non solo per la minaccia di catastrofe come a Chernobyl o ad Harrisburg, questa tecnologia, anche quando senza incidenti, accumula montagne di rifiuti radioattivi, i cui effetti nocivi non possono più essere ovviati e neutralizzati per messo di processi naturali, perdurando per decine di migliaia di anni - un intervallo culturale inconcepibile. Questa dimensione apocalittica della tecnologia atomica, tuttavia, non si deve alla necessità della conoscenza della natura in sé, ma alla pretesa imperiosa della scienza moderna di oggettivare la natura e ridurre a rovine tutto quanto si oppone ad una tale oggettivazione. La stessa logica riferita alla base energetica viene attuata sul piano della trasformazione delle materie prime. Fino alla fine del XX secolo, l'uso tecnologico della scienza nello spazio economico del capitale si era concentrato nelle trasformazioni fisiche e chimiche della produzione industriale. L'agronomia, intesa come "agrobusiness", è stata sempre più organizzata secondo lo standard industriale della linea di montaggio, ma gli interventi diretti sul "materiale" biologico si erano limitati in buona parte ai metodi tradizionali di creazione di animali e piante. Non c'è da stupirsi che, al termine del XX secolo, anche questa frontiera sia stata violata. Per la terza rivoluzione industriale della microelettronica divenne chiaro che il consumo industriale di materia inorganica si esauriva come supporto della crescita economica - né la cosiddetta società dei servizi era in grado di compensare un tale esaurimento. La risposta del sistema è, da parte sua, irragionevole ed irrazionale: la natura organica, la vita stessa, dev'essere decomposta nei suoi elementi costitutivi e trasformata per creare una "altra biologia", indipendente dall'evoluzione naturale terrestre.
Creature del capitale
Il complesso economico-scientifico, con l'ausilio della tecnologia genetica, intende produrre piante ed animali a sua immagine e, in ultima istanza, persone che siano, anche sul piano biologico elementare, "seconda natura", e pertanto creature del capitale, sputate e scatarrate.
Dalla pura e semplice conoscenza scientifica del genoma non ne consegue automaticamente la tecnologia genetica. Questo in quanto buona parte delle connessioni non indagate sono troppo complesse perché possano essere dominate. Non si tratta più di un procedimento scientifico limitato a materiali esemplari sparsi; è tutto il contesto vitale che viene trasformato in oggetto da laboratorio.
Errori, contrattempi o meccanismi sconosciuti, possono portate in ogni momento ad impreviste reazioni biologiche a catena, a deformazioni genetiche e a nuove epidemie incurabili. L'umanità stessa diventa una cavia collettiva per rischiosi esperimenti biotecnologici. E non c'è bisogno che la scienza si assoggetti esternamente all'imperativo economico, basta applicare la tecnologia genetica, frutto della sua stessa logica di oggettivazione ed assoggettamento della natura.
Il lampo di lucidità della coscienza ecologica si è spento da tempo. Col programma energetico del presidente Bush, la superpotenza capitalista americana torna alla costruzione sfrenata di tecnologia atomica; il resto del mondo seguirà un tale programma. E dappertutto diminuiscono le resistenza all'applicazione rigorosa della tecnologia genetica, dappertutto i governi abbassano gli standard di sicurezza, dappertutto si indebolisce il discorso "etico", a fronte delle "ingiunzioni" economico-tecnologiche. Per arginare le tecnologie apocalittiche non solo è necessaria un'altra forma di società, ma occorre anche un'altra scienza, nel senso di cui ne parlano Evelyn Fox Keller e Sandra Harding.
Se la conoscenza scientifica non si emancipa dalla logica di un'oggettivazione disumana della natura, il complesso economico-scientifico arriverà a trasformare la Terra in un deserto della fisica.
- Robert Kurz - su "Folha de São Paulo", domenica, 17 giugno 2001 -
fonte: EXIT!