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Contro il mondo, contro la vita la biografia del genio di Providence

Creato il 16 dicembre 2010 da Iannozzigiuseppe @iannozzi

di Iannozzi Giuseppe

Contro il mondo, contro la vita la biografia del genio di Providence H.P. Lovecraft in un saggio Michel Houellebecq

Solo dopo la morte, Howard Phillips Lovecraft è stato riconosciuto dalla critica come scrittore, scrittore dotato di notevole intelligenza e di una smisurata fantasia paranoica, ma assolutamente privo di stile; e in molti si sono pronunciati sulla sua opera con parole tutt’altro che benevole, accusandolo di aver ignorato le più elementari regole sintattiche, grammaticali e stilistiche nel creare i suoi racconti.
Oggi, la critica non è poi molto più ben disposta nei confronti di HPL rispetto a quando proponeva agli editori i suoi scritti su invito dei pochi estimatori del suo tempo, difatti si esprime in termini pressoché uguali a quando ancora era in vita, nonostante il pubblico dei suoi ammiratori sia sconfinato. H.P. Lovecraft, un gentleman vittoriano, oggi è più oggetto di discussione biografica e agiografica, mentre, poco o nulla, è valutato a livello letterario; non a caso tutti sembrano esser interessati a conoscere le tappe della sua vita, però pochi conoscono appieno le sue mirabili opere anticipatrici dell’orrore cosmico.
H.P. Lovecraft è stato un genio: ha scritto centinaia di racconti, e nei confronti di molti giovani scrittori si è dimostrato un maestro, apportando sui loro scritti correzioni e revisioni senza nulla pretendere in cambio; ha dato nuovo smalto all’horror ed è morto in solitudine.
Su H.P. Lovecraft si può dire, con tutta sicurezza, che è stato fondamentalmente un solitario, una sorta di misantropo antropologico, che troppo conosceva dell’animo umano così come dell’uomo perché potesse nutrire amore o interesse nei confronti dell’umanità e del mondo in generale. Per HPL il mondo era un nemico da combattere; e quando si rese conto che mai e poi mai avrebbe potuto riportare una vittoria sù di esso, si è limitato a schifare l’umanità con ‘gentilezza razzista’. Pur non nutrendo ambizioni di alcuna sorta, Lovecraft ha visto nell’uomo un mostro, un incidente genetico, qualcosa che non poteva nutrire in seno alcuna sorta di poesia. I suoi più accaniti detrattori vedono nella sua figura oggi un discepolo del razzismo nietzschiano; ad onor del vero, occorre ammettere che il genio di Providence era un puritano tout court: ad esempio, il sesso per lui era qualcosa di così banale che non meritava neanche d’esser considerato; eppure se l’argomento veniva tirato in ballo da qualche suo raro amico venuto a fargli visita, Howard non poteva fare a meno di arrossire. E poi, la confusione delle razze per HPL era un autentico abominio: il meticcio era ancora più orribile del negro puro, che se non altro, pur essendo nero di pelle, manteneva la purezza della sua razza. Non è un mistero: HPL è stato per lungo tempo un fanatico sostenitore di Hitler, anche se in seguito ha quasi rinnegato i propositi ariani del pazzoide tedesco. Ma cosa o chi ha condotto H.P. Lovecraft a diventare razzista? E soprattutto è stato veramente un razzista? Sono domande a cui è difficile rispondere: Howard Phillips per lungo tempo della sua vita è stato un solitario che ha guardato al mondo con assoluto disinteresse, prendendo più volte in considerazione l’idea del suicidio come ‘uscita di sicurezza’, anche se, in realtà, non ha mai tentato di suicidarsi per quanto ci è dato di sapere. Tra i 17 e i 22 anni HPL è stato come assente dal mondo: in questo periodo non ha scritto nulla, non ha fatto nulla, non ha letto alcunché, poi, ad un certo punto, si è risvegliato, per così dire, ed ha trovato rifugio nella scrittura. Ha cominciato a scrivere, ma a lavoro ultimato non era mai soddisfatto: riteneva che i suoi racconti fossero piatti e privi di stile.
Il genio di Providence visse la sua vita senza mai guadagnare un quattrino dal suo lavoro artistico: in pratica, con una parsimonia estrema, grazie ai pochi soldi lasciatigli dalla famiglia, riesce a sbarcare il lunario, un patrimonio che con estremi sacrifici gli basterà per tutta la sua breve vita. Raggiunti i trent’anni e passa, Providence è diventata parte integrante del suo subconscio: HPL sognava di fare un viaggio in Europa, ma le ristrettezze economiche non glielo permisero così come non gli permisero tante e tante altre cose. Si innamora, o sarebbe meglio dire che viene fatto innamorare; e per qualche anno lo stesso Lovecraft ha finito col credere d’esser seriamente innamorato… un perfetto borghese, tant’è che finisce con lo sposarsi. Poteva esser la sua felicità il matrimonio, ma pochi anni lontano da Providence e Lovecraft si rende conto che non è uomo capace di regger la parte del marito, quindi divorzia. Negli anni in cui fu sposato le ristrettezze finanziarie si fecero sentire come pondo insostenibile tanto da costringere Lovecraft a cercarsi un lavoro, un lavoro che non troverà: dovunque bussò, la porta gli fu sbattuta brutalmente in faccia adducendo la scusa, forse neanche poi troppo lontana dalla verità, che non era tagliato per il mondo degli affari. Lovecraft ancora innamorato non si arrende e si dichiara ben disposto a svolgere anche la più umile delle mansioni, nessuno gli offre però un lavoro, neanche come netturbino.
Lontano da Providence, trapiantato momentaneamente a New York, vede il mondo strisciare subdolamente davanti a sé: ben presto si rende conto che a tutti viene offerta un’opportunità lavorativa: i meticci come i negri trovano un lavoro, gli atei e tutta la schiuma della società riesce là dove lui non riesce, ovvero ad avere un’occupazione seppur temporanea. HPL non prende la cosa filosoficamente: il suo puritanesimo diventa razzismo, il suo odio nei confronti dell’umanità diventa un dolore insopportabile, diventa poesia. Una volta presa coscienza che il mondo non è in grado di accettarlo, anche il matrimonio finisce col naufragare, e Lovecraft torna a Providence pieno di poetico rancore; ormai è ben radicata in lui l’idea che la società è composita da razze aliene geneticamente sporche e per questo non può fare a meno di odiare e il mondo e la società in toto.
L’orrore cosmico, ingrediente principe dei suoi migliori lavori, diventa il leit-motiv della sua produzione maggiore: scrive con abnegazione anche se non mancano momenti di forte scoraggiamento, o meglio di disinteresse; ad un certo punto anche il solo fatto di scrivere per suo personale piacere finisce col diventare una sorta di ‘accessorio’ inutile. Pur non avendo mai nutrito mire artistiche ad onor della fama, alla fine la sconfitta è totale: l’uomo come l’artista sono una sola entità, un fallimento; tuttavia H.P. Lovecraft non è disposto ad accettare questa terribile, crudele verità. Sarà la morte a toglierlo dall’imbarazzo di dover ammettere che forse non è stato capace di gestire la propria vita: un cancro all’intestino stronca la sua infelice vita. In ospedale, nonostante l’enorme sofferenza, si comportò come sempre, da perfetto gentleman, e fino all’ultimo non ebbe mai una parola cattiva sulle labbra nei confronti di infermiere e medici. La sua vita finì così.
Difficile credere alla luce di tutto ciò che H. P. Lovecraft sia stato realmente un razzista; se lo è stato, lui non ne fu umanamente consapevole, anche se è inconfutabile il fatto che, almeno artisticamente, questa consapevolezza era certezza nel suo modo d’esser artista.
Come si è già accennato la vita di H.P. Lovecraft è per il pubblico affamato di pettegolezzi assai più interessante delle sue opere letterarie: oggi, rivalutato dalla critica come artista di grande estro immaginativo, il genio di Providence è comunque ritenuto uno scrittore minore, uno di quelli che non avevano né stile né grammatica dalla sua. I suoi personaggi sono tali in quanto ‘essi stessi’ sono parte integrante dell’orrore cosmico lovecraftiano, e questo è tutto, questo affascina ancor oggi l’attento lettore.
Michel Houellebecq, scrittore e poeta francese, ha pubblicato qualche anno fa una sorta di biografia sul HPL dal titolo Contre le monde, contre la vie, oggi riproposta al pubblico con una postfazione firmata da Stephen King. Questo scritto si differenzia dalle tante biografie in commercio per la sua analisi poetica del genio di Providence. E’ uno scritto che si legge come un romanzo, anzi nutro quasi il dubbio che non può che essere un romanzo sulla vita e l’opera di HPL, a tutti gli effetti. Per la prima volta Michel Houellebecq ci restituisce Lovecraft senza falsi moralismi, mostrandoci il suo lato umano e artistico; leggendo Contro il mondo, contro la vita non si può fare a meno di notare l’abilità e la sensibilità di M. Houellebecq, che descrive soprattutto l’uomo e l’artista nella sua essenzialità, senza assumere posizioni critiche nei suoi confronti.
Per Houellebecq, H. P. Lovecraft era un genio, punto e basta. Se poi la critica vuole dargli addosso, purtroppo la critica esiste, ma c’è di buono che ogni critico è un artista mancato o fallito: insomma la critica è destinata a morire, magari rinnovata da altri epigoni, anzi sicuramente, però anche questi moriranno dimenticati da tutti alla fine, mentre HPL rimarrà per sempre immortale al di là del fatto che avesse stile o meno.
E’ il caso di dire: finalmente una biografia che non ha la presunzione di esser tale, un mirabile lavoro scritto da Michel Houellebecq che dà a Cesare quel che è di Cesare. Pardon! Di Lovecraft.


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