di Stefano Fait
C’è un libro non particolarmente brillante ma che contiene una grandissima intuizione. E’ “The Comedy of Survival: Studies in Literary Ecology”, di Joseph W. Meeker (New York: Scribner’s, 1972). Ecco una sintesi: la cultura occidentale si fonda sulla una visione tragica del mondo (patriarcale) in cui il conflitto è inevitabile, così come la necessità di una sua risoluzione attraverso una morte eroica che contribuisce alla disfatta della polarità antagonistica. La commedia invece insegna che la sopravvivenza dipende dal nostro adattamento alla realtà, dalla nostra capacità di trasformare noi stessi invece di trasformare l’ambiente, di accettare limiti invece di imprecare contro il destino che ci limita. La commedia cerca di risolvere i conflitti senza distruggere chi ne è coinvolto (riconciliazione). L’eroe tragico prende il conflitto in modo dannatamente serio e si sente obbligato a riaffermare la sua supremazia e grandezza anche a costo della sua stessa distruzione. L’uomo comico è come “Il buon soldato Sc’vèik”, di Jaroslav Hašek, tira avanti anche se è considerato debole, stupido, picaresco e poco dignitoso. La sua umiltà e tenacia lo fanno trionfare laddove gli “uomini superiori” perdono completamente il senso della realtà. La tragedia è la lotta tra l’eroe e forze più vaste e potenti di lui (la natura, il fato, gli dèi, l’ingiustizia, ecc.). L’eroe alla fine muore, inevitabilmente, ma il suo sacrificio non è futile, perché si trasforma in un modello e spesso riceve una ricompensa celeste. Dunque l’autoimmolazione è utile, gode della massima considerazione lassù in alto e quaggiù, sulla Terra. Il senso tragico dell’esistenza premia un comportamento violento se questo è “giusto” ed “altruistico” e si sovrappone, annullandolo, all’istito di sopravvivenza. Per Meeker, invece, infinitamente più auspicabile è il senso comico della vita, che invita ad evitare i conflitti, a cercare il compromesso, ad impiegare una buona dose di autoironia (e perciò autocritica) a beneficio della sopravvivenza di tutti. Il senso tragico dell’esistenza spinge a sacrificare il prossimo per un presunto Bene Superiore. Al contrario, il senso comico della vita non prevede alcuna causa per cui sia giusto uccidere il prossimo o autoimmolarsi attivamente (cercare la “bella morte”, come dicevano i fascisti). Purtroppo l’eroicismo domina ancora oggi la mentalità occidentale e ci induce a scegliere la strada della forza e della violenza a percepire noi stessi come un Davide (che in quanto piccolo e baldanzoso è nel giusto per definizione) e la realtà avversa come un Golia (che è troppo potente per non avere torto). Di qui la proliferazione di metafore militaristiche (o di film come 300 di Zack Snyder) e di propensioni ad assolutizzare il Nemico, ingigantendo la sua insidiosità e potenza a detrimento di ogni tentativo di dialogo, di superamento delle barriere, dei ruoli, della prospettiva egocentrica. Mentre la tragedia si conclude con la morte, la commedia si conclude con la vita, molto spesso con delle nozze e la nascita di eredi.
Ecco, in Alto Adige occorrerebbe che venisse acuita la sensibilità per il comico e si riducesse quella per il tragico. Però c’è un paradosso: Eva Klotz, assieme a tanti altri politici locali dell’una e dell’altra lingua/etnia, è una figura tragica per una parte e comica per l’altra. Come uscirne?