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Ma andiamo con ordine. Vorrei che qualcuno mi spiegasse, come se avessi due anni, per quale ragione la classe insegnante debba essere continuamente sottoposta a prove e verifiche dall'alto, sia chiaro senza un esito concreto, mentre poi si verificano nel concreto situazioni aberranti con colleghi che non svolgono il loro lavoro. Vorrei che qualcuno mi spiegasse, in sostanza, per quale ragione l'aver superato prove su prove - lasciamo perdere le circostanze che ci hanno portato a superarle - non basti mai a garantirci una posizione diversa da chi non le ha superate. Ciò non è forse la prova che l'esito positivo nelle diverse prove è indifferente per chi ce le ha imposte?
O, per essere più radicali: vorrei anche capire per quale ragione un docente che non sia stato "in grado" di vincere un posto, pur avendo avuto risultati più che buoni durante tutte le prove di un concorso, ora possa essere ammesso al concorso immediatamente successivo: o si tiene all'eccellenza o non ci si tiene. Evidentemente siamo persone che nei nostri studi non abbiamo maturato quelle abilità necessarie a svolgere una professione.
Lasciateci pure un solo canale, quello delle graduatorie a esaurimento, ovvero il meccanismo basato su titoli e servizio tramite il quale si sono sempre reclutati i professori. Ma è proprio la procedura di avanzamento automatico che al ministro Stefania Giannini non va bene. Lo prova la vicenda degli scatti stipendiali per noi professori: definirli un sistema anacronistico e comunque impraticabile significa esautorare coloro che dovrebbero garantire la qualità del mio insegnamento e comunque del mio lavoro. L'indolenza nella verifica della funzionalità di un sistema provoca poi un rigetto del sistema stesso e una sua ingiustificabile squalifica: si passa così all'arbitrio del controllo autoritario e nodale.
In definitiva, pare non vadano quei meccanismi per i quali un docente di scuola possa fare "carriera". Ovvero: si mira a colpire la carriera e si mina alla base ogni possibile stabilità. L'inserimento di ruolo - a differenza di quasi tutte le altre situazioni lavorative - rappresenta ormai il più significativo gradino di questa fantomatica carriera: non possiamo andare oltre, se si escludono i ciechi adeguamenti all'inflazione chiamati in modo piuttosto discutibile "scatti di anzianità". Sai che scatto. Ma va bene, gli insegnanti di religione potranno averli, per gli altri è tutto da vedere.
Ora, se c'è un aspetto che nelle graduatorie era chiaro (opinabile, più che opinabile, ma chiaro) era proprio il cammino - per alcuni più breve, per altri più lungo - che portava dopo un certo numero di anni al ruolo, ovvero all'assunzione a tempo indeterminato. Ci si poteva regolare e decidere di conseguenza. Negli ultimi anni si sono sfornate sempre nuove procedure per abilitare persone, per ingolfare il mercato all'insegna del "lavoro ai giovani e ai migliori". L'università fa cassa (per non parlare delle università telematiche, emanazione diretta di quest'obbrobrio baronale che è l'accademia italiana), ma la scuola stabilizza sempre meno.
Si creano graduatorie su graduatorie, mentre si blinda con paletti draconiani ogni nostra decisione: non puoi più cambiare idea, anche se dall'alto ci cambiano tutte le carte in tavola. E non possiamo cambiare strada (classe di concorso, provincia ecc.), anche se cambiarla significa adeguarci obtorto collo alle esigenze concrete del mondo del lavoro. La situazione è fluida per via della confusione che creano i governi, incapaci anche di farsi i conti, perché così intendono il far politica: puntare tutto sull'emergenza elettorale. Far chiasso per non far nulla di utile e concreto nella situazione reale.
Quante persone avrebbero potuto stabilizzarsi con un'accelerazione delle immissioni in ruolo sfruttando gli stessi soldi usati per il concorso precedente e per quello già annunciato? E per di più, i soldi necessari alle nuove immissioni dovrebbero essere stanziati nel tempo, non in un'unica soluzione, ci sarebbe più agio per procurarseli e si punterebbe a stabilizzare persone che già conoscono e svolgono in concreto - di fatto - questo lavoro.
Non entrerei subito di ruolo io, ma le cose comincerebbero a muoversi davvero e si muoverebbero ancora di più se nel frattempo si valutassero davvero e con ordine e con onestà i colleghi già di ruolo o si facessero dei corsi reali per i neoimmessi; se, insomma, tutto l'avanzamento fosse impostato sul merito di ciò che in effetti si fa, non di nuovi titoli o di nuovi criteri. Sarebbe tutto più facile se al posto delle procedure automatiche lasciate alla routine noi potessimo contare su un sistema che funziona. Ma un sistema che funziona funziona, appunto, dall'inizio alla fine, non solo nella lotteria che determina l'accesso alle sue ruote dentate.
C'è troppa enfasi - un'enfasi elettorale - intorno ai meccanismi di accesso e di carriera dell'insegnante, e pochissimo amore per la scuola nel suo insieme, per una scuola che serva. Il punto non sta soltanto nel definire chi sarà insegnante, ma cosa deve fare, cosa si vuole per i - e dai - ragazzi che si istruiranno. La confusione creata dal Ministero - per incapacità di ascolto o pervicacia - è quella di un bambino capriccioso che per ogni nuovo compito apre un nuovo quaderno, azzerando tutto il resto.
Non c'è nessuna volontà di inserirsi nella storia, modificando quel che non va, correggendo, ripulendo. Si riscrive, si riformula, ma non si legge mai. Tutto deve sempre ripartire dal primo ministro che passa.
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