Quando la cultura finisce su un manifesto vuol dire che è già morta. A fortiori, essa non potrà essere resuscitata dalle firme sul libro dei defunti di intellettuali medium la cui unica opera sono gli autografi sugli appelli contro qualsiasi cosa che non sia vagamente di sinistra, postmodernista, riformista, antisessista, antitransessualista, decrescista, ambientalista ecc. ecc. oppure favorevole all’ovvio condito col niente. I necrologi commuovono per tre giorni poi tutto torna alle solite ceneri di prima, ma a questa Italietta in preda agli spasmi culturali bastano le invocazioni in sole24ore ad Apollo, dio delle arti, delle scienze e delle banche, recitate dagli accoglienti boudoir della peggiore sottocultura dominante, per mettersi la coscienza a posto, o ancor peggio per garantirsi una funzione sociale retribuita dallo Stato vita natural durante. Sì, perché che sia il Sole24ore, giornale della Confindustria, santa protettrice dei ceti parassitari industrialmente decotti e finanziariamente squilibrati (quindi tutto il contrario di un organismo rigenerante finalizzato alla promozione della distruzione creatrice dell’apparato industriale italiano o alla sollevazione meritocratica non a capocchia), artefice insieme ai sindacati dell’attuale sfacelo nazionale, scaturente da assistenzialismo indefinito e immobilismo sociale infinito, a parlare di “una vera rivoluzione copernicana nel rapporto tra sviluppo e cultura” è davvero un colpo mortale a quel che resta della nostra intelligenza. E non saranno certo i rimandi alla Costituzione, altro papiro dei tempi dei faraoni, disatteso in tutti i suoi principi da epoche immemorabili, calpestato dai traditori della borghesia azionista oggi trasmutati in meri funzionari dello spread e del mercato, ambasciatori non ufficiali della comunità internazionale e dell’amministrazione americana, a scagionarli dal reato di presa per i fondelli ed abuso della credulità pubblica. Se la nostra decadenza in tutti i settori delle umane discipline si è fatta inarrestabile, la responsabilità è proprio di questi vergognosi banditori di cultura un tanto al chilo i quali hanno ridotto il nostro Paese ad un impero delle banalità governato da una dittatura dell’idiozia. Non a caso si dice che il sonno della ragione di un popolo intero genera mostri tecnici. Costoro vorrebbero anche avviare un processo costituente per normare e normalizzare le loro fregnacce, elaborando una carta fondamentale della cultura che nelle loro mani si trasformerebbe immediatamente in carta igienica. Dubito che sarà questo ceto semicolto e irriflessivo – residuo del ’68 e della belle époque statalista, successivamente convertitosi al liberismo dal volto umano,dopo il 1989, istupidito e “inscalfarito” da vent’anni di antiberlusconismo militante, nonché accompagnato nelle sue escursioni cammellate sui palcoscenici mediatici dai magnati del vecchio vapore confindustriale – a poter mai avviare una rivoluzione copernicana in qualsiasi ambito. Difatti, il ballo di questi poteri marci e dei loro circoli ideologici asserviti segue il ritmo della solita musica conformista che al massimo riesce a rappresentare, in una quadriglia mal eseguita, coppie contrapposte di luoghi comuni, spacciati per movenze geniali, con lo stereotipo dirimpettaio del cliché, e il preconcetto sotto braccio al pregiudizio. Ha perfettamente ragione lo scrittore Massimiliano Parente il quale sostiene che “… ci piacciono gli appelli perché ci fanno sentire colti, mobilitati, impegnati, siamo un Paese di falsi invalidi e falsi artisti, di fondazioni pubbliche che non fondano niente, di giovani autori neppure così giovani ma fra i trenta e i quarant’anni che si riuniscono chiamandosi TQ perché non hanno un capolavoro ma vogliono un posto di lavoro. Siamo un Paese di sindacalisti dell’arte che non c’è: impara l’arte e mettila da parte oppure cerca di farne una carrierina….Siamo artisticamente un Paese di salottini, di circoli, di conventicole, di premi letterari e case della cultura, siamo un Paese di massonerie frignanti, di presunti zombie amanti della cultura che al massimo dell’orgasmo sdilinquiscono per Benigni che legge la Divina Commedia e l’Inno di Mameli e quindi val bene una messa o quantomeno la messa in quel posto del canone Rai.” Ecco quanto. E non mi si venga a dire che sono il solito criticone che demolisce senza edificare, disapprova senza comprendere, spianta senza seminare. La mia proposta invece è l’unica davvero rivoluzionaria in questa accozzaglia di volgarità sedimentate, suggerisco infatti di fare tabula rasa dei semintellettuali, difensori dei settori improduttivi, attaccati alla mammella dei sovvenzionamenti pubblici, che firmano gli appelli per la costituente della cultura. E suggerisco anche di liberarci degli estensori di questi inviti pseudoculturali alleati dei predoni dei circoli banco-industriali i quali hanno ridotto il nostro Stato ad una catapecchia priva di dignità e di sovranità. Vedrete che fatti sloggiare quest’ultimi sviluppo e cultura riprenderanno a camminare insieme, senza costituenti o cure ricostituenti che sembrano salassi, restituendo alla nostra generazione la speranza perduta e il futuro negato.
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