Come forse sapete se leggete il mio blog abitualmente, io ho un passato da simpatizzante della destra religiosa. Sì, è un passato moooolto passato; parliamo di quando andavo al liceo, una decina di anni fa. Ma vedete, gira voce che io sia un po’ più brillante della media, per cui a quei tempi, al livello intellettuale, potevo essere considerato un pericolo pubblico per il tipico sinistroide radical chic, dato che le mie argomentazioni erano estremamente riflettute e ben strutturate (almeno per quanto possa consentirlo il pessimo materiale di partenza).
Quello che mi è successo nel tempo, però, è che, avendo uno stile di ragionamento da intellettuale di destra di una certa levatura già quando andavo a scuola, nel tempo sono andato ad approfondire sempre di più le mie stesse argomentazioni. Immaginate cosa è successo: via via che approfondisci ti convinci sempre di più che tu sei un ganzo che ha capito tutto, fino a che arrivi al punto di rottura: le hai approfondite così tanto che ti sei accorto che sono merda rimasticata, vomitata, rimangiata e cagata di nuovo.
Sostanzialmente, certe argomentazioni mi sono diventate così chiare in testa che mi sono accorto di quanto facessero chiaramente schifo. E, Popper docet, non c’è possibilità di tornare indietro, perché una teoria falsificata è falsificata una volta per tutte.
Quindi quando discuto con estremisti di destra cattolici mi trovo in una situazione molto dolce: io riconosco esattamente ogni singolo passaggio delle loro argomentazioni, perché le avevo già elaborate in forma molto più elegante quando ero un liceale. Quindi non solo le conosco, ma le conosco meglio di quanto le conoscono loro.
Questo è un vantaggio dialettico che generalmente l’intellettuale di sinistra non può vantare, perché di solito è sempre stato sinistrorso e quelle argomentazioni non gli sono mai sembrate sensate; dunque non ne capisce la struttura intima, non ne capisce il senso, non capisce perché persuadono. Quindi non può comunicare con la destra religiosa, nemmeno capisce i suoi argomenti.
È quello che accade, per esempio, quando gli integralisti dicono che l’omosessualità sarebbe “contro natura”.
Ora, consideriamo che quello che essi dicono è in gran parte determinato da considerazioni di convenienza comunicativa, dunque non dicono sempre quello che pensano. Ma pensano determinate cose, questo è garantito. E pensano sempre, sempre, SEMPRE, che l’omosessualità sia “contro natura”.
Noi non capiamo cosa intendano, e loro non ce lo spiegano mai, quindi l’incomunicabilità è garantita.
Non capiamo cosa intendano perché dalla prospettiva degli scienziati per noi “natura” ha un significato estremamente preciso e definito: l’insieme delle inesorabili leggi che regolano il cosmo. La gravità, la relatività, la termodinamica. Da questa definizione chiarissima e lineare emerge con chiarezza l’insensatezza a priori del concetto di “contro natura”. Ciò che esiste, esiste in quanto reso possibile dalle leggi di natura. Ciò che è contrario alle leggi di natura, semplicemente non esiste.
Dunque su base razionale non capiamo nemmeno cosa diavolo possano voler intendere quando dicono che è “contro natura”. Se fosse contro natura, sarebbe impossibile; è invece possibile l’omosessualità, è invece possibile l’adozione a coppie omosessuali. Queste cose sono così possibili che essi le vogliono vietare, nel tentativo di renderle impossibili. Dunque che i gay si accoppiano può essere, e che crescano dei bambini anch’esso può realizzarsi, dunque è secondo natura. Se uno mi dicesse che vuole curare il cancro con l’omeopatia gli direi: “no, è contro natura; puoi provarci ma non puoi riuscirci”; ma se uno mi dice: “sono gay e voglio crescere un bambino col mio partner”, io devo dirgli: “la natura lo consente; bisogna vedere se te lo consente la nostra cultura”.
È evidente che non c’è molto spazio di dibattito dal punto di vista etico sulla base delle leggi di natura: ciò che è contro di esse, banalmente, non può accadere, dunque non è oggetto di dibattito etico.
Dunque è evidente che gli omofobi non intendono il termine “natura” in senso scientifico.
Ma allora in che senso?
Provate a domandarglielo: panico assicurato. Non lo sanno dire.
Eppure il concetto lo usano, altroché! Continuamente ne parlano, oserei dire che è un cardine filosofico del loro pensiero! Com’è possibile che non sappiano dare una semplice definizione operativa di un termine a cui, in modo implicito o esplicito, si riferiscono continuamente?
È possibile, lo è per le ragioni che spiegavo in questo articolo. Una parola non è altro che uno strumento che induce uno stato cerebrale. A volte, la parola induce uno stato estremamente ben definito; es. “rosso” ci fa pensare al naso dei pagliacci, a certe varietà di rosa, al semaforo e simili. “Albero” ci fa pensare a pini, querce, abeti, betulle e via dicendo. Con queste parole si formano immagini molto chiare nella nostra mente. Ma a volte queste immagini non sono così chiare: “la dignità”, “l’energia”, “la morale” …
Difficile mettere in parole cosa siano: il padre di Milhouse, ne “I Simpson”, fallisce quando deve disegnare la “dignità”. Perché è un concetto astratto, fumoso; e diciamola tutta, non tutti abbiamo la stessa idea di che cosa sia effettivamente la dignità. Non parliamo nemmeno della morale …
Ecco, tuttavia, quella fumosità non sempre preclude il verificarsi di quel fenomeno essenziale della comunicazione che io chiamavo “intesa”. Quando un omofobo scrive che “le adozioni gay sono contro natura”, le menti più raffinate non capiscono, proprio perché sono raffinate e hanno bisogno di concetti molto definiti e rigorosi per comprendere; ma se dici “i gay sono contro natura” al Family Day tutti gridano “Yeeeh! Sìiii! Contro-naturaaaa! Maleeee!”
Questa intesa che si crea anche in assenza di un significato definito vivifica l’illusione, che costoro nutrono, che quel significato chiaro esista. “Ok, io non ho un’idea chiarissima di cosa voglia dire, ma siccome quello lì mi capisce quando lo uso, allora il significato ci sarà!”
Non avete idea di quanta incompetenza si autoalimenti attraverso il reciproco supporto che si danno le persone confuse: si “intendono”, ovverosia agiscono all’unisono. Questo li induce a pensare di avere per le mani qualcosa di chiaro, che in realtà non hanno: sono semplicemente tutti confusi.
Questa illusione è molto potente. Se prendete in disparte uno di loro e lo tartassate un po’, accadrà una cosa così (ripetutamente testato, garantito): continuerà ad usare il termine “natura” come se nulla fosse, ignorando completamente le vostre richiesta di una denotazione chiara di che cosa sia. Non si raccapezzerà proprio del fatto che non lo capiate; per lui è come se gli steste chiedendo che cos’è il rosso! Non lo sa dire, ma tu devi intendere comunque! Alla lunga il confronto con una realtà diversa potrebbe incrinare la sua stoica fede che quel termine, ma sarà un effetto temporaneo: appena tornerà a confrontarsi con persone con cui “si intende”, ovvero confuse come lui, la fede nella parola “natura” e nel suo significato tornerà più solida e indistruttibile di prima.
L’intesa permette loro di credere che un significato chiaro ci sia anche se non c’è. Ma poiché agiscono all’unisono, in qualche modo questa sintonia di menti deve fondarsi su qualcosa … solo che quel qualcosa deve restare vago.
Perché?
Perché è un’idea debolissima. Un’idea così debole che anche solo vederla per come è demolisce la fede in essa. Essi si tengono lontani per istinto dalla chiarificazione del significato del termine, come gli animali si tengono lontani dal fuoco: percepiscono “a pelle” il pericolo per ciò in cui credono, e la persistence of belief fa il resto.
Ma io, visto che di quella magica e silenziosa intesa un tempo ho fatto parte, so bene su cosa si fonda e posso rivelarlo agevolmente. Si tratta di un’immagine vaga, ma non pensiamo che la vaghezza la renda meno efficace, anzi! Proprio nella vaghezza sta la sua forza, come nell’intangibilità sta la capacità dei fantasmi di cagionare terrore.
La natura, per loro, è uno spirito antropomorfizzato che sorveglia gli uomini e valuta i loro comportamenti, stabilendo delle regole che essi devono seguire pena ritorsioni (terremoti, malattie, disastri naturali e altri mali il più delle volte imprecisati, tanto più terrificanti quanto più indefiniti). Se infrangi le imprecisate leggi che questo imprecisato spirito decide, imprecisate malvagie conseguenze ricadranno sulla tua testa per imprecisate ragioni, “la natura si vendica”. Un po’ la sindrome di Frankenstein, “ci saranno conseguenze”, perché l’uomo non deve “giocare a fare Dio”.
E perché non dovrebbe?
Ma perché se no Dio s’incazza, ovvio! Ovvero, la “Natura” si incazza.
Dunque questa Natura è Dio?
Sì; per i cattolici “natura” è in larga misura “Dio”, o comunque è qualcosa di estremamente simile. Ma non è interamente sovrapponibile, perché essi effettivamente non credono che “natura” sia esattamente quello che è scritto nella Bibbia; col termine essi piuttosto si riferiscono ad un insieme di consuetudini.
Questo termine è evidenziato perché è fondamentale nella psicologia del conservatore, è il non detto alla base di tutto. Essi sono abituati ad osservare una certa cosa con estrema regolarità. Per esempio, è una consuetudine rigidissima, nella società occidentale, che i genitori biologici crescano il figlio in regime di esclusività (almeno formale, sappiamo che in pratica nonni, zii, padrini etc. prendono parte all’opera molto potentemente); quando ciò non è possibile, si utilizzano istituti che simulino la stessa situazione: dunque genitori adottivi rigorosamente di sesso diverso.
Ovviamente, due genitori adottivi di sesso diverso non sono più vicino alla genitorialità biologica di quanto non lo sarebbero due gay. Genitore biologico o ci sei o non ci sei, tertium non datur; affermazioni tipo che “la differenza fra una coppia gay e una etero è che la coppia etero potenzialmente avrebbe potuto generare figli” sono esattamente inconcludenti come suonano: se i nostri etero erano sterili, non avrebbero potuto neanche loro, quindi la potenzialità dove la vediamo? Se non lo erano, comunque non hanno voluto generare figli, quindi genitori biologici non lo sono. Due genitori etero sterili avrebbero potuto avere un figlio se la biologia non li avesse resi sterili, come due genitori etero non sterili avrebbero potuto se avessero voluto, come due gay avrebbero potuto se la biologia non l’avesse impedito. Nelle ipotesi ci si può divertire molto, ma il discorso omofobico suona giustamente come il classico “se mio nonno aveva le ruote era un carretto”; una fantasia non è una “potenza”, è solo una fantasia.
La ragione per cui essi trovano convincente un discorso così idiota non è che esso abbia una qualche forza logica, che evidentemente non possiede; ma è solo ed esclusivamente nel fatto che riproduce una rassicurante consuetudine. E la consuetudine è l’oasi nel deserto della vita, per il conservatore.
Dunque abbiamo capito perfettamente che cos’è per loro la natura: si tratta dell’ente antropomorfico che si fa guardiano delle consuetudini. Quando affermano che questa idea non sia religiosa, mentono, forse non sapendolo; quando dicono che non ha nulla a che fare con il loro credo, mentono, ipotizzo che ne siano consapevoli solo a metà; quando dicono che non è esattamente sovrapponibile al loro specifico credo religioso, dicono la verità: la consuetudine non ha strettamente a che fare con la Bibbia, che è piena così di incesti e massacri e concubinato e poligamia e chi più ne ha più ne metta; ha principalmente a che fare con la rigorosa consuetudine cui sono abituati.
Quando una consuetudine diventa molto rigida e radicata, il pensiero tende a strutturarsi intorno ad essa, per cui all’idea che quella consuetudine sia una cosa che hanno visto e vissuto solo loro, e che solo in loro è un fondamento capitale dell’esistenza, vanno in crash. Non concettualizzano questo pensiero. Se uno di loro è arrivato fin qui nella lettura, qui è dove smette di leggere, e ha smesso di seguirmi pensando che io sia pazzo molte righe fa.
Perché, chiaramente, nel momento in cui si realizzi che questo fondamento capitale è semplicemente un’abitudine, come prendere il caffè macchiato la mattina, resti per forza un po’ smarrito. In qualsiasi momento potresti decidere che preferisci un cappuccino.
E quel che è peggio, resti senza parole!
Un tipo cattolico con cui dibattevo anni addietro una volta si rifiutò esplicitamente di riconoscere la sola esistenza delle mie critiche al concetto di natura. Interruppe sostanzialmente il dibattito iniziando a usare la parola natura a ripetizione, a mo’ di sfottò ma con nervosismo evidente. Una chiara reazione di rifiuto: l’animale che ha paura del fuoco. Un auto-confortarsi sulla solidità di quella zatterina da quattro soldi.
Ammettendo che si parla solo di consuetudine, gli argomenti utilizzati si rivelano per quello che sono, ovvero appelli alla tradizione: “s’è sempre fatto così”, o per meglio dire, “l’ho sempre visto fare così”.
E nel chiuso della sua stanzetta l’omofobo crede davvero che “l’ho visto sempre fare così” sia un buon argomento. Se non si è compreso questo, non si è compreso l’omofobo; peggio, non si è compreso il conservatore: l’appello alla tradizione è la sua fallacia logica, quella che sta alla base di ogni suo errore, la pietra d’angolo.
Chi volete mai che ammetta una debolezza del genere? Se lo fa, allora fa come ho fatto io: cambia idea.
E non possiamo aspettarci che ciò accada di frequente …
Ossequi