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Controcorrente. Intervista sulla sinistra ai tempi dell’antipolitica

Creato il 26 aprile 2013 da Ilcasos @ilcasos

Massimo D’Alema, Controcorrente. Intervista sulla sinistra ai tempi dell’antipolitica, a c. di Peppino Caldarola, Roma-Bari: Laterza, 2013, pp.167.

copertina libro

Copertina del libro

1. Se ci si soffermasse solo alla prima parte del titolo – Controcorrente – e automaticamente si accostasse quest’ultima all’autore del volume – Massimo D’Alema, a cui si affianca il curatore Peppino Caldarola, giornalista ed ex direttore de l’Unità –, si potrebbe essere colti da un lieve spaesamento: collocare la figura e la storia di D’Alema all’interno di un’ immagine polemica e oppositiva rispetto al corso del tempo presente – «nuotare controcorrente», appunto – ci sembra francamente, conoscendone la biografia, un po’ azzardato. Se poi si proseguisse nella lettura del sotto titolo – Intervista sulla sinistra al tempo dell’antipolitica –, si potrebbero cogliere le ragioni (più o meno contingenti) della stesura di questo volume, nonché uno dei temi di fondo che ne percorre le pagine.
Per ciò che riguarda le ragioni, non possono non risultare lampanti i continui riferimenti alla recente (ma non ancora avviata al momento della pubblicazione) campagna elettorale e ai suoi protagonisti, vale a dire Bersani, Monti, Grillo, Berlusconi. L’Introduzione, come si può leggere, è firmata da D’Alema il 14 dicembre 2012; l’autore si domanda in che modo si chiuderà l’esperienza del cosiddetto “governo tecnico”, auspicando inoltre che l’attuale Presidente del Consiglio, Mario Monti, resti fuori dalla campagna elettorale e che offra al PD una giusta dose di “riconoscimento politico” per averlo sostenuto durante i mesi del suo governo. Mario Monti si dimette, con tutto ciò che ne consegue – e che oggettivamente D’Alema non poteva prevedere –, il 21 dello stesso mese. Come dire, si parte già male.
Le ragioni che stanno alla base di questo volume si legano quindi ai temi discussi nell’intervista condotta da Caldarola all’ex premier D’Alema, dove in sei capitoli si ripercorre la stagione politica italiana cominciata con la caduta del Muro di Berlino e con la fine del PCI, per arrivare fino alla nomina di Monti alla presidenza del Consiglio, passando attraverso le vicende del primo e secondo Governo Prodi; l’esperienza di D’Alema come primo ministro; la nascita del PD e le condizioni della Sinistra ai tempi di Beppe Grillo.

2. Una prima ed agevole chiave di lettura del volume potrebbe riferirsi alla costante rivendicazione, avanzata da D’Alema, della sua personale esperienza di «politico di professione» all’interno dei partiti (anzi, del Partito: Comunista ieri, Democratico oggi): una visione della politica di carattere weberiano, laddove questa – la politica, appunto – viene assunta alla stregua di una «vocazione» pressoché totalizzante, capace di riempire di senso lo spazio di una singola esistenza e di offrire ancor oggi un esempio virtuoso del ruolo svolto dall’«uomo politico». Questi valori, secondo D’Alema, non si esauriscono nel 1989 con la fine del «secolo breve» e con la progressiva erosione del ruolo dei partiti tradizionali, ma conservano una loro perdurante validità anche all’interno della società odierna, la quale appare segnata sempre più massicciamente da un diffuso sospetto nei confronti delle forme classiche dell’azione politica (partiti, sindacati, etc.). Quelle di D’Alema sono posizioni del tutto legittime, e per di più fondate su di una solida consapevolezza della natura dei processi politici contemporanei, che l’autore riconosce essere condizionati dalla prevalenza degli interessi esercitati – in maniera spesso opaca – dagli attori economici nazionali e internazionali. In fin dei conti D’Alema appartiene ad una storia nella quale la funzione del partito, delle organizzazioni di massa e dei loro «riti democratici» (vita di sezione, congressi) rivestono un ruolo di estrema importanza, e si può ben comprendere l’orgoglio con il quale l’autore rivendica – né nostalgicamente, né ingenuamente – tale appartenenza, soprattutto se confrontata con gli esperimenti di «partecipazione orizzontale» elaborati dai nuovi soggetti politici nati in seno alla cosiddetta “società civile” (il riferimento a Grillo e al suo uso della Rete sono costanti). Si tratta di posizioni che sono il frutto di una irriducibile “biografia”, nonché di un’analisi della realtà politica contemporanea che attribuisce al ruolo svolto dalle organizzazioni politiche “tradizionali” un profilo ancora alto e – ciò che più conta agli occhi dell’autore – valido, decisivo, concreto. Una lettura, insomma, che tende ad identificare la politica (una politica che anticipa e governa i processi; in una parola, che decide) con l’elaborazione strategica che avviene all’interno delle strutture preposte al suo funzionamento, senza che ciò si traduca – sottolinea D’Alema – in un elogio incondizionato della “vecchia politica” e in un parallelo rifiuto nei confronti di coloro che scelgono di agire al di fuori dei partiti. In questo contesto, quasi sorprendentemente, D’Alema non si dimostra sprezzante, pur rivendicando in ogni caso la sua personale visione delle cose: una dichiarazione di principio che – sebbene possa essere aspramente criticata, soprattutto alla luce delle caratteristiche del panorama politico contemporaneo – vanta il merito della chiarezza e dell’onestà intellettuale.

Massimo D'Alema

Massimo D’Alema

3. I problemi, però, iniziano proprio qui. Se, da un lato, la via d’uscita dalla perenne crisi della politica (italiana ed europea) viene individuata da D’Alema nel rilancio di una non meglio precisata «prospettiva riformista» – che dovrebbe consistere nella saldatura programmatica tra le forze progressiste e quelle d’ispirazione liberale e cattolica – non si capisce in che modo tale sodalizio possa condurci fuori dalla palude; o, meglio, non si capisce quali siano i concreti obiettivi politici e sociali che questa “santa alleanza” dovrebbe essere in grado di realizzare. Limitandoci al solo contesto italiano, la logica di questa proposta si situerebbe, secondo D’Alema, nella semplice constatazione dell’impossibilità per la Sinistra di «governare da sola», in virtù del fatto che l’Italia, Paese «sostanzialmente di destra», non riuscirebbe mai ad esprimere un consenso maggioritario per una coalizione politica di stampo esplicitamente progressista (mentre scriviamo le macerie post-elettorali sono ancora fumanti…).
Anche nel caso in cui questa analisi si rivelasse corretta, resta comunque aperto un interrogativo: alla luce di quale idea di mondo le «forze progressiste» dovrebbero candidarsi a guidare l’Italia (e l’Europa)? Qui i nodi vengono al pettine. Non basta infatti rivendicare una visione della politica fondata sulla lettura dei rapporti di forza attuali – sfavorevoli alla Sinistra “classica”, e D’Alema lo riconosce – per individuare automaticamente la soluzione più adatta all’impasse politica dei nostri tempi, perché in questo modo l’autore mette a nudo tutte le contraddizioni e le lacune della cultura politica di cui il PD e il centrosinistra italiano sono vittime. Leggendo il volume si notano molti passaggi nei quali D’Alema descrive con parole nette il modo in cui dovrebbe configurarsi l’orizzonte politico della sinistra: in questo senso, però, l’autore auspica l’elaborazione di un programma politico-economico-istituzionale aderente – a nostro avviso – ai dettami di una «onesta» cultura liberal-democratica europea, fondata sull’imperativo della crescita (parola quanto mai inflazionata), sul rispetto dei «vincoli europei» (p. 140), a cui si affiancherebbero però la critica e la «correzione» della globalizzazione neoliberista (p. 127). Ad esempio: in che modo la globalizzazione neoliberista possa essere anche solo «criticata», se poi si mantengono intatti i sacrosanti «vincoli europei», non ci è dato sapere. Ed è in ragione di queste brevi osservazioni che gli elementi di fondo della concezione della politica (delle sue strutture, del suo funzionamento, dei suoi obiettivi) espressa da D’Alema, e descritta poco sopra, sembra ridursi ad un guscio vuoto: nelle parole dell’autore, non sembra emergere una visione realmente alternativa – e, aggiungiamo, culturalmente autonoma – della politica rispetto a quella prospettata dagli esponenti (quelli seri, perlomeno) delle varie aree conservatrici e moderate, convinti sostenitori della necessità di proseguire nella folle corsa verso lo “schianto sociale” che le politiche di austerità stanno rovinosamente alimentando da un trentennio a questa parte. Nel momento in cui l’a-priori delle scelte politiche possibili si racchiude all’interno di un immaginario governato dagli slogan – perché di questo oramai si tratta – dell’«austerità», del «pareggio di bilancio», del «rispetto degli impegni presi con l’Europa» (come se l’Italia e i suoi vertici istituzionali facessero parte di un altro continente), l’idea stessa di una Sinistra (anche solo intesa à la D’Alema) credibile e riconoscibile viene meno: non se ne percepisce la ragion d’essere, ma soltanto la superfluità. Cosicché, quando le “strutture” – per nobili e valide che siano – non vengono attraversate da una progettualità politica concretamente autonoma e altra rispetto allo stato di cose presenti, il rischio che si corre è, appunto, quello di soffocare sotto le macerie.

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