Controra

Creato il 14 luglio 2012 da Faustodesiderio

I meteorologi sono gli scienziati del tempo che farà. Una volta c’era il colonnello Bernacca: asciutto, educato, elegante e con quel pizzico di ironia che è necessaria in una “scienza” come la meteorologia. Le previsioni del tempo di Bernacca andavano in onda la sera e tanto bastava. Oggi la rubrica del cosiddetto “meteo” è la più diffusa: dalla mattina alla sera, in televisione e sul web e sul telefonino, nazionale e regionale, cittadina e paesana e perfino di quartiere. Il meteo dice attimo per attimo che tempo fa e tutto lascia pensare che sia una presa in giro perché basterebbe guardare il cielo. Le previsioni, però, sono anche a “lunga gittata”, come quella che riguarda l’estate in corso: “Sarà torrida”. L’estate, in effetti, ci hanno insegnato le nonne e i nostri anni, fa caldo.

Le ore più calde della giornata sono quelle pomeridiane. Nel Mezzogiorno queste ore, che vanno dalle 14 alle 17, hanno un nome preciso: controra. Il nome sta indicare una cosa strana: è pieno giorno, ma è come se fosse notte ed è bene starsene a casa, sul letto, in una stanza chiusa e buia per non far entrare luce e calore. La controra è l’equivalente della siesta – ora sesta – spagnola: in quelle ore non si fa nulla perché per il gran caldo – la canicola – non è possibile far nulla se non riposarsi. La controra – l’ora contraria – è tipicamente mediterranea non potendo esistere nei Paesi senza sole. Male si sposa, però, con la vita moderna in cui l’orario di lavoro non prevede il riposo pomeridiano ma, al massimo, la pausa pranzo.
Luciano De Crescenzo, nel suo libro più famoso, Così parlò Bellavista, dedica uno dei “fattarielli” proprio alla controra. Sono le tre del pomeriggio e i due colleghi di lavoro, dopo aver consumato una buona colazione, sono usciti sotto “una tempesta di sole” dal ristorante che sta di fronte alla stazione di Mergellina per ritornare in ufficio a piedi sulla seconda rampa di via Orazio. Un chiaro intento suicida. Dopo pochi passi e le prime visioni i due collegi trovano riparo in uno chalet di Mergellina e si siedono comodamente e cotti all’ombra su un dondolo. Ordinano due granite di limone, ma senza parlare, a cenni, per il gran caldo afoso che toglie loro il respiro. Rimangono sul dondolo senza dir nulla, immobili, come dormienti. Arrivano le granite che danno un po’ di tregua, ma dura poco. I bicchieri restano vuoti sul tavolino e i due compagni di lavoro – un milanese e un napoletano, nella classica versione Nord-Sud di De Crescenzo – guardano gli oggetti dintorno e i riflessi della luce sull’acqua del mare.

A questo punto, mentre tutto è immobile, accade qualcosa: si presentano ‘e guaglione, ossia dei ragazzini. Una decina di ragazzi, tutti scalzi, in costume da bagno e con i jeans arrotolati sotto il braccio. Tornano dal mare, da Posillipo basso. Passano, scherzano, ridono. L’ultimo della fila, tredici o quattordici anni, capelli bagnati, occhi vivi, pelle nera, si ferma davanti ai due amici stravaccati e immobili sul dondolo che va leggermente avanti e indietro per provocare l’illusione dell’effetto venticello. Il resto del “fattariello” lo devo riportare pari pari o se no non rende.
Dice: «”Dotto’, ma se io adesso vi scippo questa mille lire e me ne scappo, voi che fate?”.
“Come che faccio. Ti corro appresso e ti faccio un mazzo tanto”.
“Ma dove volete correre dotto’? Voi state spaparanzato su questa sedia a dondolo e prima che vi alzate in piedi, io già sono arrivato sopra alla chiesa di S. Antonio”.
“Ma tu che vuo’?”.
“Niente, volevo solo farvi notare che praticamente avreste potuto perdere mille lire. Facciamo una cosa: me ne date duecento e non ne parliamo più”.
A questo punto il mio amico vuole dargli per forza tutta la mille lire; io mi oppongo perché penso che certe iniziative non bisogna incoraggiarle. Decidiamo per cinquecento lire e una sigaretta».

È inutile dire che Così parlò Bellavista l’ho letto per la prima volta durante la controra. Perché la controra è fatta per il riposo obbligatorio e per la lettura. Autori da controra sono quasi tutti i meridionali, dai napoletani e i siciliani, gli scrittori italiani delle Due Sicilie: Domenico Rea, Raffaele La Capria, Giovanni Verga, Leonardo Sciascia. Ma anche i classici della Grecia antica e di Roma, da Platone a Saffo a Erodoto e Tucidide, da Orazio a Ovidio o visto che c’è di mezzo il sole anche fra’ Tommaso con la sua Città del Sole. La controra è un incentivo culturale. Si riesce a leggere quei libri che a scuola sono riusciti benissimo a farti prendere in odio. Ai giorni nostri, però, la controra non è più tanto praticata perché l’invenzione dell’aria condizionata ha permesso di estendere un po’ ovunque l’orario unico di lavoro. Con l’ora legale, la controra è diventata illegale. I condizionatori d’aria sono ormai onnipresenti, sia nei luoghi di lavoro sia in casa, e con il loro frescolino – a volte si tratta di vero e proprio frigorifero – permettono di continuare a lavorare.
I condizionatori d’aria sono molto più presenti, ormai, degli antiquati ventilatori e sono più essenziali del loro contraltare: il termosifone. Per lavorare il sistema di raffreddamento è più importante del sistema di riscaldamento, soprattutto dove – come in Italia – l’estate è più calda di quanto l’inverno non sia così freddo (anche se lo scorso inverno è stato freddissimo e i nostri scienziati del tempo che farà non l’hanno previsto per tempo). Però, anche se l’aria condizionata ha sostituito l’aria dell’afa, le ore della controra continuano a esistere. Anzi, siccome il lavoro è soprattutto cittadino, la controra non è quella della campagna, del borgo e della spiaggia bensì quella dell’aria incondizionata della città bagnata dal sole (anche se in città manca un elemento tipico della controra autentica: la cicala). Il caldo è lì che aspetta tutti, appena usciti dagli uffici, dai bar, dai taxi. E se non si dovrà andare da Mergellina a via Orazio, si andrà magari da Largo Argentina a Montecitorio, che sono pochi passi ma se li fate svelti arriverete indecenti e se li fate a passo lento rischiate lo svenimento. La controra non perdona. Ecco perché è diventata una cosa che si fa ma non si dice.

A Roma, poi, non c’è la siesta, non c’è la controra ma c’è l’abitudine della pennichella o meglio detta pennica: un tempo la sia faceva a casa o nel retrobottega, dove non manca mai una brandina o un divano sistemati lì non a caso, ma oggi che non si rincasa e che non c’è più la classica bottega, la pennichella romana ha subito un’evoluzione (in realtà, involuzione) creando la mostruosità della pennichella d’ufficio. C’è, però, un luogo dove la pennichella si pratica senza soluzione di continuità: la Camera dei deputati. In particolare, nel primo pomeriggio, nella sala lettura, ricca di comode poltrone e morbidi divani, con una luce soffusa, il parlamentare italiano, da destra a sinistra, da Nord a Sud, riposa le sue stanche membra e rende omaggio a questa istituzione italiana, risorgimentale e preunitaria, fascista e comunista, repubblicana e cattolica: la controra.

tratto da Liberal del 14 luglio 2012



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