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Conversazione in Sicilia

Creato il 13 gennaio 2012 da Alboino
“Cantava, dico, ma sottovoce, vecchi motivi senza parole, metà mugolio, metà fischiettio, e un gorgheggio a tratti; ed era una buffa donna coi suoi cinquant’anni o poco meno, e la sua faccia non vecchia ancora, asciugata dagli anni, ma non vecchia, giovane anzi, e coi capelli castani quasi biondi, con la coperta rossa sulle spalle, con gli scarponi del babbo ai piedi. Vidi le sue mani, ed erano grandi, consumate, nodose, completamente diverse dalla faccia, perché potevano anche essere di uomo che abbatte alberi o lavora la terra mentre la sua faccia era  qualche modo. “Queste nostre donne!” pensai, e non volevo dire le siciliane  ma le donne in genere senza dolcezza per la notte sulle mani, e forse, alle volte, infelici di questo, gelose e selvagge per questo, non avere di odalische le mani come pure avevano il cuore e la faccia e non poter tenere i loro uomini legati a loro con le mani. Pensai mio padre e me, tutti gli uomini, col nostro bisogno di mani morbide su di noi, e credetti capire qualcosa della nostra inquietudine con le donne; di come eravamo pronti a disertare da loro, le donne nostre con le mani rudi e spicce, quasi maschili, dure nella notte; e di come si cadeva in schiavitù a chiamar regina una donna che fosse donna, odalisca, quando toccava. Era così, pensai, che si amava l’idea della gente di lusso, e di tutta la società civile-militare, le gerarchie, le dinastie, i principi e re anche nelle favole; per l’idea della donna che allevasse alla tenerezza le mani. Bastava sapere della esistenza loro, poter sapere che c’erano, queste donne, e vederle, al di là per noi dai cavalli e le insegne e gli eunuchi loro; ed era così, pensai, che si amava tutta la festa e il gran serraglio, gli uomini loro pure, e le trombe, le insegne, e che si stava al gioco e si distoglieva lo sguardo dalle donne e ragazze nostre pari cercando altre io, mio padre, ogni uomo, e cercando altro in altre senza mai supporre che si cercava un contatto di mani tenere su di noi. Questo pensai; e pensai vigliacchi noi, guardando le mani di mia madre, informi, e pensando ai suoi piedi anch’essi informi nelle vecchie scarpe da uomo, e che bisognava ignorare come parti di un’altra natura in lei, innominabili. Ma mia madre cantava ed era uccello cantando, mugolii, fischiettii e un gorgheggio a tratti, e le sue mani e i suoi piedi non importavano, e nemmeno i suoi anni importavano, e importava solo che cantasse, fosse uccello, la madre-uccello dell’aria e, nelle sue uova, della luce, che dà la luce”.  
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