
Il viaggio di Silvestro per andare a trovare la madre Concezione in occasione del suo onomastico, l'8 dicembre, sembra come congelato nell'estate assolata di De Chirico, ma in una realtà extraurbana, senza quelle architetture che hanno reso celebre il pittore greco, anzi addirittura rifuggendo qualsiasi planimetria alla ricerca di un paesaggio arcadico e sonoro. Sonoro di suoni, appunto, di parole che ruzzolano e riecheggiano, come passato di soppiatto in un gioco guardingo - eppure plateale - tra due amici e complici che non vogliano prendere un pallone e dare dei calci; ma parole che sfondano comunque la porta dell'altro - del lettore - e la sua sordità.
Ma parole per dire cosa? Di cosa parlano Silvestro e Concezione, Silvestro e l'arrotino, Silvestro e il panniere, Silvestro e gli abitanti di questa Sicilia affamata e ruvida, persa nel suo dire, dire, ridire il mondo? In un romanzo che è conversazione, il dialogo sfugge alla dialettica platonica, alle fondamenta dell'interloquire dotto e razionale così come le tradizioni "illuministiche" antiche e moderne ce la restituiscono. Le parole, le pause e le interiezioni evocative sfuggono a una presa sicura, in queste pagine di Elio Vittorini c'è come un riverbero, un risuonare del mondo in un suo angolo stordito, lontanissimo e assorto nell'immenso dolore - e orrore - del vivere, alla ricerca di ciò che un uomo è, quando è un uomo, e dell'intero genere umano in un viaggio di ritorno a sé.