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Conversazione in Sicilia di Elio Vittorini

Creato il 11 ottobre 2012 da Spaceoddity
Conversazione in Sicilia di Elio VittoriniNe parlavo proprio l'altra sera con una mia amica: Conversazione in Sicilia è un romanzo? Giunto alla seconda rilettura (negli anni) del capolavoro di Elio Vittorini, sono sempre più propenso a considerarlo tale, pur rimanendo affascinato dallo slancio lirico, innanzitutto, e poi mitico che lo pervade. Ovvero, se la sua struttura - come se ne è detto - di nouveau roman mi si va dischiudendo poco alla volta, non è per quello che continuo a rimanere irretito nelle maglie di una scrittura tersa, quasi spigolosa, solida; nell'inverosimile sole ancestrale che pur nel dicembre delle sue pagine arriva fino a me e ne costituisce la vera memoria.
Il viaggio di Silvestro per andare a trovare la madre Concezione in occasione del suo onomastico, l'8 dicembre, sembra come congelato nell'estate assolata di De Chirico, ma in una realtà extraurbana, senza quelle architetture che hanno reso celebre il pittore greco, anzi addirittura rifuggendo qualsiasi planimetria alla ricerca di un paesaggio arcadico e sonoro. Sonoro di suoni, appunto, di parole che ruzzolano e riecheggiano, come passato di soppiatto in un gioco guardingo - eppure plateale - tra due amici e complici che non vogliano prendere un pallone e dare dei calci; ma parole che sfondano comunque la porta dell'altro - del lettore - e la sua sordità.
Ma parole per dire cosa? Di cosa parlano Silvestro e Concezione, Silvestro e l'arrotino, Silvestro e il panniere, Silvestro e gli abitanti di questa Sicilia affamata e ruvida, persa nel suo dire, dire, ridire il mondo? In un romanzo che è conversazione, il dialogo sfugge alla dialettica platonica, alle fondamenta dell'interloquire dotto e razionale così come le tradizioni "illuministiche" antiche e moderne ce la restituiscono. Le parole, le pause e le interiezioni evocative sfuggono a una presa sicura, in queste pagine di Elio Vittorini c'è come un riverbero, un risuonare del mondo in un suo angolo stordito, lontanissimo e assorto nell'immenso dolore - e orrore - del vivere, alla ricerca di ciò che un uomo è, quando è un uomo, e dell'intero genere umano in un viaggio di ritorno a sé.

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