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Coppia in crisi (3): quando finisce in tragedia

Creato il 10 febbraio 2012 da Virginia Less

” La tragedia familiare di  Palermo conferma il trend negativo secondo cui in Italia si consuma una tragedia in famiglia ogni due giorni, 2 ore, 20 minuti e 41 secondi”

Coppia in crisi (3): quando finisce in tragedia

Così nel sito dell’ Ami, gli avvocati matrimonialisti italiani. Questo ennesimo fatto di sangue ci sconvolge anche come nonne – ma non è la prima volta, purtroppo – perché erano presenti le figlie dalla coppia.

Un carabiniere di 37 anni ha ucciso sua moglie (che aveva chiesto la separazione) con cinque colpi di pistola, suicidandosi subito dopo. Durante l’ennesimo litigio, i due si erano chiusi nella camera da letto dell’alloggio di servizio. Uditi gli spari, la bambina più grande, undici anni, ha usato un attrezzo per forzare la porta; il padre era morto e la madre agonizzava nel sangue. Dopo aver chiamato il 118 descrivendo l’orribile scena, ha condotto fuori casa la sorellina di cinque anni – che non era entrata nella stanza – perché non vedesse i corpi. Insieme hanno atteso l’arrivo dei carabinieri. Ho letto che le bambine sono ospiti della famiglia di un collega del padre e che il tribunale dei minori dovrebbe affidarle a una sorella della mamma. La maggiore è sotto shock, si attende per interrogarla.

La nostra sensibilità, per quanto messa alla prova dalla frequenza di notizie tragiche , rifiuta con orrore anche la più fugace fantasia sulle nostre nipotine coinvolte in un dramma del genere. Proviamo per le due piccine una pena infinita, ma la sciagura rimane, per fortuna, fuori del nostro orizzonte. E tuttavia, considerando la statistica, esiste un numero di nonne – piccolo ma non insignificante – che non viene a trovarsi semplicemente in presenza di “normali” crisi di coppia. C’è qualcuno in famiglia, un figlio o un genero ( si tratta quasi sempre di maschi), il cui equilibrio risulta compromesso in modo grave. Un serio intervento di sostegno – professionale, si capisce – eviterebbe in molti casi il peggio.

A fattaccio avvenuto, le telecamere impietose mostrano familiari e amici sempre stupefatti; i segnali che un soggetto in grave crisi inevitabilmente emette sono passati inosservati. Però poi – ascoltando le frasi banali del poveretto “arpionato” dai media – viene spesso da pensare che qualcosa non lo convincesse in quell’apparente normalità e forse, ripensandoci… Certo, si tratta del solito “senno di poi”: i rapporti di causa- effetto si chiariscono di solito a posteriori.

Dove vado a parare? Al consiglio di avere, noi nonne, lo sguardo acuto e la mente fredda. Non certo per uscire dalla discrezione che ci compete: per cogliere – se appena è possibile – le avvisaglie peggiori provenienti della coppia che ha problemi di un certo peso. Non spetta a noi imporre l’assistenza psicologica, però possiamo proporre il problema almeno alla cerchia familiare ristretta… Non è semplice, si capisce.

L’AMI auspica giustamente: “l’introduzione obbligatoria della mediazione famigliare prima, durante e dopo le separazioni e i divorzi e comunque percorsi gratuiti di sostegno psicologico nei confronti di chi dà segnali di squilibrio o richiede espressamente un aiuto. L’aumento delle separazioni e dei divorzi nel nostro Paese è infatti direttamente proporzionale all’aumento delle stragi in famiglia”.

Per ora l’obbligo non c’è e pochi prendono l’iniziativa di chiedere aiuto. Almeno in un caso, però, credo che esso competa proprio a noi: quando la figliola è vittima del marito o compagno possessivo e violento. Anche se – fa parte della “sindrome” della donna maltrattata – tende a minimizzare e giustificarlo. Non accade mai che alla scenata del primo ceffone non segua un crescendo di angherie morali e fisiche ( d’accordo, il delitto è minoritario, ma perché rischiare?) e a quell’amore malato è giustificato sottrarre pur suo malgrado la nostra “bambina”.


Filed under: Attualità, Riflessioni


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