Durante una breve passeggiata col Maestro Marco Ferrini (Matsyavatara) gli ho sottoposto la mia resistenza nel sentir parlare di reincarnazione: se da una parte mi appare più logica e convincente l’idea della vita che scorre anziché del blocco e dell’ex novo tabula rasa, qualcosa, inesplicabilmente, dentro di me si oppone alla piena ricezione di quest’idea che pure la ragione accetterebbe volentieri.
Nella ricerca spirituale, come nell’analisi psicologica, sembra che si debbano indagare quali siano le convinzioni profonde che ispirano un desiderio, un pensiero e, infine, l’azione, conoscere i paradigmi sui quali poggiano le nostre convinzioni.
Personalmente ho sempre pensato di essere un laico, parola che contiene una realtà molto composita, Personalmente ho sempre pensato di essere un laico, parola che contiene una realtà molto composita, pertanto spiegherò che in questa mia laicità è sempre stata prevista un’idea non solo tollerante verso le tradizioni religiose, ma di sincero ed ammirato interesse. Ovviamente mi ripugnano i comportamenti non compassionevoli e mi indignano
le lotte di e per il potere da parte di chi dovrebbe portare la luce dello Spirito. Aggiungiamoci una mentalità spostata più sullo scetticismo che sull’abbandono e forse la cornice di riferimento è tratteggiata.
Questo premesso, faccio fatica a capire da dove arrivi la mia difficoltà nell’accettare ciò che ragionevolmente dovrebbe essere facilmente assimilabile.
Credo di non essere un caso isolato, ed è per questo che scrivo questa riflessione, per condividere e per chiedere la vostra opinione.
Due sono i condizionamenti operanti che, con l’aiuto del Maestro, mi pare siano venuti a galla: quello scientista e quello cattolico.
Eppure io non sono né un cattolico né mi considero un fanatico del positivismo!
Ma ci sono vissuto dentro come un pesce nell’acqua: ho filtrato la conoscenza e l’esperienza con i paradigmi di una religione che non ho condiviso e tantomeno praticata e con una semplificazione popolare e primitiva della scienza che attribuisce lo status di realtà solo a ciò che si può misurare.
E’ un riflesso pavloviano: il cane che saliva quando si accende la lampadina perché per un certo periodo quella lampada è stata associata al cibo!
Quindi, per metafora, anche se razionalmente so che la lampadina accesa non si può mangiare, le mia ghiandole salivari si mettono automaticamente in moto non appena si accende.
Nello specifico, conosco bene che in nessuno dei quattro vangeli sinottici viene affermata o negata la metempsicosi, mentre in alcuni di quelli apocrifi vi è chiaramente esposta. Fino al II concilio di Costantinopoli, nel 553, non pochi cristiani, tra cui Origene, poi dichiarato eretico, davano per cosa del tutto assimilata la reincarnazione, tradizione che in occidente si è mantenuta viva fino ai “buoni cristiani” Catari, passati a fil di spada nel XIII secolo dalla crociata indetta da Innocenzo III. I padri del pensiero occidentale come Pitagora, Eraclito, Socrate, Platone, Aristotele, aderivano senza riserve all’idea che la vita non fosse un semplice segmento che va dalla nascita alla morte biologica di un corpo. Il cristianesimo si è appropriato di questo pensiero attraverso i più illustri dottori della Chiesa, tanto da poter affermare che il platonismo, estirpato della reincarnazione, sia la base filosofica del cristianesimo.
Così anche per la scienza.
Se la matematica è la forma più elegante nella quale esporre la natura (i “desideri di Dio” secondo I. Newton), allora è dimostrato che materia ed energia sono la stessa cosa, con la non secondaria conseguenza che ciò che determina il visibile è con molte probabilità un ordine che sfugge alla percezione dei cinque sensi ed anche alla ragione.
Se tutto ciò mi è chiaro, da cosa deriva la difficoltà?
Prima della passeggiata parlavamo dell’efficacia di quelle scritte terrorizzanti sui pacchetti delle sigarette. Chi fuma sa bene che quello che vede scritto corrisponde alla realtà, ma razionalizza pensando che sia un’esagerazione che non lo riguarderà mai; è appunto un tentativo di giustificare a sé stesso il proprio comportamento palesemente nocivo: ciò che lo spinge a farsi del male è più forte dell’evidente realtà perché è radicato in una zona in ombra dell’essere, tanto più potente quanto più inaccessibile, e la conoscenza oggettiva di come stanno le cose può aiutare a fare il primo passo, ma se non viene affrontata la radice da cui nasce il pregiudizio, se non si guarda in faccia la paura del mettersi in discussione, saremo comunque agiti non da ciò che riteniamo razionale e giusto, ma da convinzioni profonde incontrollabili che non ci permettono di dichiararci veramente liberi.
Come sempre è la lotta tra la libera scelta e gli automatismi.
E allora: come si fa a liberarci da queste corde invisibili?
Alla prossima passeggiata…
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