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Calleja de las Flores, tutta tappezzata di vasi blu e gerani rossi, così stretta che più stretta non si può, Calle de los Judios, un nome fin troppo esplicito, fin dal II° secolo dell'era volgare è attestata in Spagna la presenza di una delle più grandi comunità ebraiche d'Europa. Dopo la conquista araba si sviluppa una proficua integrazione con il mondo mussulmano; nel X° secolo, come banchieri, medici, giuristi, filosofi, poeti, funzionari pubblici, vengono riconosciuti tra i membri più attivi della società. Ed è propria la prossimità del quartiere della Juderia alla Mezquita, cuore di Cordova, a testimoniare dell'importanza assunta dalla comunità ebraica in seno alla società locale e alla vita cittadina. Visitiamo la sinagoga, uno dei soli tre luoghi di culto rimasti in Spagna, gli altri due si trovano a Toledo. La sua costruzione risale al 1315, ma è dal 1492, il famigerato anno dell'espulsione, che non vi si officiano più funzioni religiose. La sinagoga è stata poi sede di vari ordini religiosi cristiani e anche di un ospedale. Si ammirano pareti con sofisticate decorazioni a stucco, la stella mudéjar, iscrizioni in ebraico e motivi floreali, si intuisce l'antico prestigio del luogo, ma nel presente la visita riveste solo interesse storico e museale perché ormai da secoli è un luogo morto, abbandonato com'è dalla vivacità di una comunità attiva. Nel cuore della Juderia anche la "Casa de Sepharad", un tempo collegata alla sinagoga da una galleria sotterranea. Oggi è sede di un piccolo museo dedicato alla cultura sefardita, la musica, le tradizioni, le donne, poetesse e intellettuali dei periodi fasti di Al-Andalus; anche a Cordova, come abbiamo già visto a Granada, ci sono fortunatamente spazi che recuperano frammenti a testimonianza e ricordo di un mondo scomparso.
Interessante nel museo la spiegazione di "Hamsa", questo talismano portafortuna a forma di mano che ho visto tante volte e di cui ignoravo esattamente il significato. Hamsa in arabo significa "cinque". Di origine preislamica è diventato un amuleto molto diffuso sia nel mondo mussulmano come in quello ebraico. Gli arabi lo chiamano "Mano di Fatima" , la figlia del profeta Maometto e gli ebrei lo chiamano "Mano di Miriam", la sorella di Mosé; per gli uni quel numero cinque simboleggia le cinque regole-pilastro dell'Islam, per gli altri i cinque libri della Torah, il Pentateuco appunto. La Casa de Sepharad presenta anche una ricca documentazione sulla vita e le opere, filosofiche, teologiche, mediche e giuridiche di Maimonide, un gigante del pensiero ebraico. E' nato qui, il Rambam, nella Juderia di Cordova, città che dovrà poi lasciare con la famiglia per l'intolleranza degli Almohadi, rifugiandosi prima in Marocco e poi in Egitto, al Cairo, dove scriverà la famosissima "Guida dei perplessi", testo chiave della riflessione filosofica-teologica del pensatore. A lui dedicata una piazza con una scultura e proprio accanto in Calle Averroé, l'omonima Università Internazionale di Studi Islamici. Averroé, altro gigante di scienza e pensiero, anche lui nato a Cordova negli stessi anni di Maimonide, anche lui filosofo, medico, matematico, giurista, anche lui costretto all'esilio a Marrakech durante l'ondata di fanatismo religioso mussulmano che colpisce Al-Andalus alla fine del XII° secolo e che non risparmia nemmeno i suoi uomini migliori. Vita grama per i grandi liberi pensatori, ma interessante constatare quale humus culturale abbia rappresentato Cordova a quell'epoca. Ho sempre letto che è raro il genio solitario, è nel contesto sinergico di fruttuosi scambi che si alimenta la ricchezza del pensiero. Passando a soggetti più futili, devo raccontare della grande gioia di cenare quel giorno a Casa Mazal, secondo la Lonely Planet, e a ragione, il miglior ristorante della Juderia nonché indirizzo DOC di "diaspora culinaria". Prima di tutto per il nome del ristorante, Mazal, che in ebraico vuol dire "fortuna", difatti "Mazal Tov" il corrente augurio di buona fortuna in Israele. Papà mi raccontava sempre molti aneddoti di una sua zia, matta come un cavallo, che si chiamava Mazal, la "tia Mazal" a cui secondo papà io assomigliavo proprio in quanto a stranezze. La seconda cosa che mi ha fatto grande piacere è stato trovare sul menù la voce "Yaprakis". Sono le foglie di vite ripiene di riso, il mio piatto preferito in assoluto. In Grecia le chiamano "dolmades", ma in Turchia, Yaprakis, proprio come un tempo a casa mia. Due semplici parole che mi hanno fatto fare un bel tuffo nel passato e nei ricordi. .
Non documento con foto, per ovvie ragioni di riservatezza, le benefiche tre ore passate ai bagni arabi con tanto di massaggio, tè alla menta e piscine di abluzioni varie, con quel caldo torrido fra l'una e le quattro del pomeriggio è quanto di meglio si possa fare, ma condivido invece il bellissimo tablao dove alla sera abbiamo assistito a uno spettacolo di musica e flamenco interpretati da artisti giovani e bravissimi. Mi ha colpito molto, e ritornerò a tempo debito sull'argomento, la drammaticità del loro modo di cantare e questo benedetto flamenco che sembra esprimere rabbia, fierezza, sfida, quasi una lotta all'ultimo sangue con non so bene chi piuttosto che un sereno ballo di divertimento.
Olé, la tappa dell'indomani è Siviglia!!
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