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Corrado Bagnoli - Casa di vetro, nota di Rita Pacilio

Da Ellisse


Corrado Bagnoli – Casa di vetroCorrado Bagnoli – Casa di vetro - La Vita Felice 2012

Bruno Bandini ne ‘I linguaggi della critica’ (FaraEditore 1996) parla di pensare e fissare, percepire e presentare, sentire ed esaurire la sensazione in un’immagine, in un’azione, in un oggetto, arte e vita, un procedere per binari paralleli che aspira al suo punto all’infinito. Nel ‘vuoto’ esistente tra arte e vita, il libero progettarsi dell’uomo, il legarsi, creativo, al cielo evolutivo della vita (siamo all’osmosi dei due momenti) per un’affermazione del presente e del contingente. Indicazioni di questo tipo spingono il lettore a prendere in considerazione aspetti ontologici e deontologici di un’opera poetica che in sé racchiude molteplici significati creativi e fecondi elementi sociolinguistici. E’ questo il caso del volume di Corrado Bagnoli Casa di vetro - poema in Tre quadri, edito La Vita Felice 2012, che, stabilendo le pluralità di senso e dei nessi venutisi a stabilire tra le immagini, le parole, gli spazi e le cose, traduce una forte concentrazione poetica interagendo con la vita e il mondo. L’andamento narrante che sembra sfociare in un prosimetro, pur sempre controllato e raffinatamente ritmato, racchiude tutta la sua liricità nella matura intuizione della lingua poetica magistralmente utilizzata concretizzandola in un testo dialogico che produce concretezza di rifiniture e la capacità di svelare i diversi volti del reale. Le esperienze impresse nelle immagini sono attraversate dall’autore per mezzo di coscienze che testimoniano l’appartenenza di un secolo di vita che non si indebolisce, ma che sono presenti nell’esistenza di chi osserva, di chi si esprime e di chi si trasforma attraverso la contemporaneità del riconoscibile, del vissuto, del quotidiano. Le tracce dello scarto del tempo mobilitano il fluttuare del percorso fascinoso nelle tre fasi esplosive e implosive del poema connotando il gesto poetico di simbolismo analogico. Le sovrapposizioni della necessità visivo/reale, in qualche modo motivate dalla genialità blakiana, svelano l’intenzione a rapportarsi alla visione intrigante della simbologia alchemica quasi come per affidarsi a soluzioni rivelatrici del significato autentico della parola poetica. La lettura del reale si configura in un quadro o in quadri liberati dai loro confini: l’essere umano rimane inevitabilmente addolorato dalla sua condizione precaria, fragile, esposta alla ferita, alla delusione. Solamente il poeta sa che lo smarrimento è condizione di ricerca, di domanda, di enigma, di urgenza, di stupore, di risalita. Ecco perché si mescolano le energie cosmiche e ci si libera dai vincoli, dai limiti: è la stessa fine che assicura il nuovo inizio La casa, adesso,/è il poeta; il poeta, adesso, è questa/casa di vetro, ferita, aperta, voce./Pietà necessaria, profezia inutile./Ricominciare. (rita pacilio)

da QUADRO UNO

È un francobollo incollato al lenzuolo,
una macchia raggrinzita, un gomitolo
di carne che si sta asciugando dentro
il mondo bianco che è il suo mondo;
solo gli occhi acqua, trasparenza liquida
che ci navigano dentro gli anni che non sa
più nemmeno. Solo lui che la gira di lato,
sollevandola come una cosa che gli si può
rompere in mano, come una carta secca
di tempo e di niente, solo lui le scorge
giù in fondo, nel poco colore scuro rimasto
dentro quel lago di dimenticanza, di vivere
respirando soltanto, le parole che non sa dire,
la faccia che aveva quando era nel campo,
il gramo odore d’estate e l’umido inverno
che le aveva cominciato a strappare le fibre,
a farla già piccola quando doveva crescere
ancora, ma non le aveva tolto nemmeno
un filo della sua bellezza, della sua voglia
di andarsene via, di qualcuno che la venisse
a rubare tra i pioppi ed il grano, che la portasse
a conoscere cos’era davvero quella parola
– lontano – che aveva sempre ascoltato la sera
e che pensava con un odore più buono.
Adesso è lui che va via, il corridoio come
una strada di anni che si porta incollati
alla schiena, negli occhi, attaccati alle mani
che la sentono ancora nel suo venire
meno, eppure nel suo essere ancora.

da QUADRO DUE

Il primo giorno, quel primo giorno e poi tutti
i primi giorni della settimana, doveva passare
al colorificio Nord, in Carducci o Magenta,
a ritirare le tele e l’idropittura che il maestro
aveva scelto. Poi, con gli altri tre o quattro
che stavano in bottega con lui, preparava
il fondo dei quadri. Non provava la stessa cosa
quando, alla scuola dove il maestro lo aveva
mandato, prendeva in mano i suoi fogli.
Aveva caldo, e questo era bello, e le ragazze
anche erano belle. Ma lì, davanti a una tela
rossa o bianca di idropittura, sapeva che di lì
a poco qualcosa sarebbe accaduto. Accadere
era il verbo esatto per dire l’opera e l’istante
in cui il mondo intero ci finiva dentro,
dentro il taglio netto di Fontana e della sua
lama. Impeccabile sempre, controllava e finiva
la stesura del fondo. Guardava da lontano
la tela, come se ci vedesse già dentro la ferita
che le stava inchiodando. Si avvicinava
lentamente e poi lasciava partire il braccio
e la mano. E il mondo intero si squarciava,
come una gola, una terra che doveva dare
ancora risposte. Soltanto chi non era lì
poteva pensare che quell’uomo elegante
voleva andare oltre la pittura. Non lui,
non Pierantonio che quell’istante capiva
come un tempo e uno spazio convocati
insieme in un atto che era come una nascita,
un procreare, un diventare la terra come
un germoglio, una speranza. Un giorno
Fontana gli disse che era contento del verde
che aveva steso, che era già un prato,
un accogliere, una custodia segreta. E quando
ci sprofondò dentro la lama, disse che
il campo era suo, che lo poteva tenere.
Pierantonio lo guardò, come a chiedere se
era vero davvero. Sì. Ma non ebbe il coraggio
di portarselo via. E quando il maestro
si tolse il grembiule, per chissà quale mostra
lanciato tra le strade di Brera, Pierantonio
nascose il prato ferito sotto il mucchio
dei quadri. Scappò via, ancora quel tremore
lo prese, sempre, forse portò a casa qualcosa
di più, un regalo che nessuno gli poteva
portare via dalle mani, dalla testa, dal cuore.

Corrado Bagnoli è laureato in Filosofia ed è attualmente insegnante di Lettere nella scuola media. Dal 2004 è curatore della collana di libri d’arte “Fiori di Torchio” editi dal Circolo Culturale “Seregn de la Memoria” per il quale ha scritto e curato i libri fotografici della collana Pomm Granà Inventario quotidiano, 2005; Brianza, un paese in viaggio, 2006; Brianza, un paese in piazza. Tra memoria e desiderio, 2007. È redattore della rivista «La Mosca di Milano» e della collana di poesia, saggi e traduzioni “Sguardi” delle edizioni La Vita Felice. Tra le sue pubblicazioni ricordiamo il romanzoUichendtuttoattaccato, Edizioni Joker, 2003; le raccolte poetiche Terra bianca, Book Editore, 2000 (premio Caput Gauri 2001);Nel vero delle cose, Book Editore, 2003 (finalista premio S. Domenichino 2003, finalista premio Contini Bonacossi 2003); La scatola dei chiodi, La Vita Felice, 2008 (selezionato premio Pascoli 2009); In tasca e dentro gli occhi, Raffaelli Editore (premio Clandestino 2009). Sue poesie e suoi saggi compaiono in numerose riviste e in varie opere antologiche tra cui ricordiamo qui La poesia e la carne a cura di Mario Fresa e Tiziano Salari, La Vita Felice, 2009.


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