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Corrado Ricci, Volterra – Le Balze

Da Paolorossi

[...] Non sappiamo staccare il pensiero e l'occhio dalle grandi voragini conosciute sotto il nome di Balze e che dalla Badia si mostrano in tutta la loro paurosa ampiezza. Questa terribile e progressiva corrosione del terreno friabile, che s'avanza ed ingoia alberi, mura, sepolcri, case, chiese ha qualcosa del diabolico, quasi fosse opera d'un " mal voler che pur mal chiede con l'intelletto " e fa pensare ai miti antichi dei mostri che esigevano ad ora ad ora una vittima per placarsi.

Tornerà un Perseo, un S.Giorgio, un Ruggiero, a liberar Volterra dalla perpetua minaccia ?

Quando tali frane cominciassero a palesarsi non è noto. Abbiamo però visto che nel sec. XII s'erano già avanzate tanto da danneggiare la chiesa di S.Clemente, e sappiamo che fra il 1617 e il 1627 rovinò pressoché totalmente quella di S.Giusto. Del pari, prima e dopo, s'ingolfarono nei profondi botri buon tratto delle mura etrusche, secreti ipogei, il monastero di San Marco e le casupole del borgo medioevale più avanzate verso le chiese. Così purtroppo un giorno il terreno s'avallerà ancora trascinando seco, se non l'arco rozzamente gentile di Porta Menseri e le vecchie case del borgo di S.Giusto, certo i massi etruschi della Guerruccia e la diruta Badia.
I falchi intanto roteano sugli abissi con volo lento e solenne, e i fiori ondeggiano al vento sull'orlo dell'immenso sepolcro.

" Dall'acque piovute sopra del monte di Volterra - scriveva Targioni Tozzetti nelle sue Relazioni d'alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana (Firenze, 1719) - una parte scola verso il mare per le pendici del monte ed una parte si va profondando verso le viscere del monte e passando sotto all'alto ammasso di strati di tufo e panchina, giunge fino agl'inferiori strati di creta o mattaione che servono di base e di fondamento al monte, dove si raccoglie in fonti. Ora questi scoli e queste fonti, facendosi strada verso l'Era e verso la Cecina, hanno talmente roso l'ammasso degli strati suddetti composti di terra floscia come ceneracciolo, che hanno prodotto frane e dirupi perpendicolari così orribili che non si può riguardare quelle profondità senza patire di vertigine.
Di queste frane o lavine che i paesani chiamano grotte, se ne trovano dappertutto alle radici del monte di Volterra, particolarmente lungo la strada fiorentina, piene d'acquitrini che 1'hanno prodotte. Le maggiori di tutte quante le grotte di Volterra e maggiori, credo io, di quante se ne dà al mondo sono quelle dette di S. Giusto, che principiando dall'alto, quasi rasente alle antiche mura dette di S. Marco, si dilatarono nel 1590... e da sessantanni in qua si sono irremediabilmente ampliate e tutto giorno si allamano e si profondano. Esse riconoscono la loro origine per la crosta del monte da rigagnoli e scoli di Volterra, ma nelle viscere poi da molti gemitivi ed acquitrini sparsi per gli strati della creta e principalmente da un fonte assai copioso che serve di principio ad un torrente detto Arpino, il quale si scarica nell'Era. È stato più volte tentato di riunire in un solo fonte tutti questi gemitivi ed acquitrini, affinchè, incanalati, non facessero tanto guasto ; ma non è riuscito, atteso che il terreno è troppo sciolto e floscio o sia non unito insieme da alcun vincolo lapideo, e perciò inzuppa e trattiene moltissimo tempo l'umidità ; il caso 'oggimai è troppo disperato e queste rosure anderanno sempre crescendo ".

Non è mai mancata ai Volterrani la buona volontà di cercar rimedi a tanta ruina, ma purtroppo ai loro progetti, buoni o cattivi, o è succeduta l' impossibilità economica di provvedere o, se attuati in parte, di continuare. Di qui una fatalistica per quanto penosa rassegnazione.

Sin dal 1588 una commissione nominata dal Consiglio suggerì di costruire nel botro sottoposto alla chiesa di S.Giusto quattro o sei palafitte " per ritenere la terra e l'acqua che in detto botro frana e corre; dove anderanno circa cento pali di quercia e somme dugento di stipe ". Più tardi (1691) un ingegnere inviato da Firenze, per vedere se era possibile evitare " lo scroscio " del convento di S.Marco, proponeva di costruire un muraglione nel fondo della voragine. Ma questo non fu fatto e il convento invece fu abbattuto. Tre quarti di secolo dopo si cominciò ad elevare un muro di sostegno " nelle balze dell'Arpino dalla parte di ponente sotto le mura vecchie " . Ma, non proseguito o trascurato, finì per esser a sua volta sospinto in basso e sepolto. Altri progetti, altri brevi lavori seguirono, ma il mostro continuò la sua spaventosa opera di corrosione: invisibile a tutti; non forse, soltanto, al cavallo che Giuseppe Tacconi colto da disperata voglia di morire lanciò a corsa verso l'abisso. Il cavallo guatando nel buio sostò improvviso sull'orlo, ricalcitrò nitrendo alcuni passi, né più si mosse ai fieri urti dello sprone e dello scudiscio. Dal basso della voragine, col fragore del vento e dell'acqua, forse saliva l'urlo del mostro.

[...]

( Corrado Ricci, brano tratto dal libro "Volterra", 1905 - Istituto Italiano d'Arti Grafiche )

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