Magazine Cultura
di Pierluigi Montalbano
Uno studioso francese scomparso il secolo scorso, Pierre Cintas, riteneva che le maschere fossero un prodotto occidentale. Gli scavi recenti hanno posto in evidenza una forte somiglianza fra le raffigurazioni delle maschere e un mostro mesopotamico: Kumbaba, un personaggio che compare nel poema sumero-accadico Gilgamesh. Il mostro è sconfitto dall’eroe, con l’aiuto del compagno Enkidu e del dio mesopotamico del sole, Shamash. La maschera più antica dell’area siro-palestinese, inquadrabile intorno al 1400 a.C., fu portata alla luce ad Hazor, nell’Alta Galilea. Più recente è quella scoperta nel 1966 nella necropoli di Khan Khaldé, a Beirut. Altre maschere del 700 a.C. sono state trovate a Tiro in una necropoli (Akhziv). Dunque le maschere sono un prodotto orientale che si diffuse in buona parte dell’Occidente, ma con una differenza sostanziale: nel mondo accadico, Kumbaba era legata al male, soggetta pertanto a scongiuri. Nel mondo occidentale la maschera che deriva da quel mostro aveva, invece, una funzione apotropaica e protettiva. Le indagini svolte nella necropoli di Tharros dal 1850 al 1950 hanno subìto la dispersione dei rinvenimenti, dunque è difficile datare secondo contesto. Alcune maschere rappresentano divinità minori, come quella rinvenuta nella necropoli di Sulky: un mostro con barba nera e baffi in rilievo. Una maschera scoperta a Tharros mostra una capigliatura folta, occhi, barba e baffi incisi, mentre la bocca pare sorridere. Le dimensioni sono più piccole del naturale, quindi non erano destinate a essere indossate. A volte si presentano sotto forma di amuleti, miniaturizzate, databili a partire dal 700 a.C. Lo scopo era forse quello di spaventare i rephaim, ossia le ombre che disturbavano la pace della nephesh, l’anima che rimaneva nel sepolcro.
Fra gli oggetti più importanti del mondo sacro abbiamo lo scarabeo, simbolo dell’immortalità dell’anima nell’antico Egitto. L’oggetto rappresenta il dorso di un coleottero, mentre il piano d’appoggio riporta una figura che costituisce il sigillo del proprietario quando era in vita, una sorta di firma che veniva impressa sui globetti di argilla noti come cretule. Queste palline argillose, erano legate con un laccio ai documenti contabili e ai contratti. Gli scarabei sardi antichi erano di pietra tenera, incisa e poi cotta. Quelli più tardi erano in diaspro verde, proveniente anche dal Monte Arci.
La religiosità aveva un duplice aspetto e gli amuleti seguivano la stessa sorte: c’erano divinità principali e altre minori, queste ultime forse più disposte ad ascoltare le suppliche dei fedeli. Gli amuleti sono piccoli oggetti in pasta vitrea o in avorio o osso.
Monete
di Pierluigi Montalbano
La monetazione appare in Sardegna nel IV a.C., ma fin dalla metà del II Millennio a.C. il rame, sotto forma di lingotti ox-hide (a forma di pelle di bue), rappresentava l’elemento più utilizzato per pagare. In Sardegna gli archeologi hanno portato alla luce dei tesoretti costituiti da lingotti o panelle in rame, conservati in luoghi denominati ripostigli. Gli oggetti in bronzo, spesso ritrovati nei templi a pozzo, sono realizzati con la lega fra rame e stagno e il loro valore non era legato solo all’aspetto estetico. Questi manufatti sono pregiati anche dal punto di vista del peso. In alcune tombe sarde e siciliane, cronologicamente inquadrabili al 550 a.C., sono stati rinvenuti numerosi orecchini in argento a canestrello. Nell’area orientale, l’argento era il metallo di riferimento e l’unità di misura era lo shekel, il siclo, che corrisponde a 7.2 grammi.
Cartagine coniò le prime monete in argento dopo il 500 a.C. per esigenze militari, e a seguire troviamo monete coniate in Sicilia. Durante le guerre che coinvolgevano Siracusa, erano utilizzati mercenari provenienti dal mondo greco, pertanto la forma di pagamento era in dracme d’argento emesse dalla madrepatria. E’ per questo motivo che le prime monete coniate da Cartagine hanno l’aspetto di quelle siracusane. In Sardegna non abbiamo monete d’argento attribuibili a una zecca isolana, e le prime monete sono in bronzo di piccolo diametro e notevole spessore. Le prime monete coniate nell’isola appartengono a sette serie. Il conio avveniva confezionando dischetti di bronzo (per fusione) dell’unità di peso nominale. Le monete erano collocate su una base in ferro, sulla cui sommità era incisa una delle facce. L’altra faccia era su un martello destinato a percuotere, incidendola, la moneta. Sul dritto, dalla prima alla sesta serie, compare il profilo della dea Kore, ma nella settima c’è un personaggio giovane. Sul rovescio, invece, nella prima serie c’è la testa di un cavallo, che compare a figura intera nella seconda, terza e quarta serie. Nella quinta ci sono tre spighe di grano, mentre nella sesta e settima compare un toro.
Nelle immagini:
Sopra, la maschera di Mozia
Sotto , una collana di amuleti al Museo di Cagliari (Foto Cristiano Cani)..
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