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Corrispondenze

Creato il 02 marzo 2015 da Malvino
Questo post è una lettera aperta in risposta a chi mi ha scritto dicendo che mi stima tanto, mi legge sempre con piacere, bla bla bla, ma s’incazza quando nego che le radici d’Europa siano cristiane, perché gli sembra che io voglia chiudere gli occhi su una realtà di fatto, e questo gli dispiace, perché gli pare che in questo modo io faccia torto alla mia intelligenza. Capirete bene che non posso lasciare nell’afflizione un lettore che mi insulta in modo così carino, dunque eccomi qui. Sarà un post lungo e noioso, che almeno a chi mi legge già da tempo consiglio di saltare senza indugio, perché qui ripeterò cose già dette. Ciò premesso, caro ***, vogliamo innanzitutto metterci d’accordo su quello che debba intendersi con «cristiano»? Da quello che mi scrivi («in Europa ogni due passi c’è una chiesa, l’arte è piena di cristi e di madonne…») devo supporre tu voglia intendere quanto attiene al cristianesimo, dunque si tratterebbe di radici non più vecchie di venti secoli. Ammesso e non concesso che prima, col mondo greco e con quello romano, non si potesse propriamente parlare di Europa o che, in subordine, il mondo greco e quello romano siano stati solo il terreno dal quale le radici di cui parliamo abbiano tratto un qualche nutrimento, di quale cristianesimo parliamo? Non di quello primitivo, suppongo, che nasce in Palestina, terra che con l’Europa c’entra assai poco, come corrente dell’ebraismo, in opposizione alla gerarchia che reggeva il Tempio di Gerusalemme, e nemmeno è detto ancora cristianesimo. Ti risparmio la sinossi delle convinzioni che nutrivano i primi seguaci del movimento, d’altronde ci sarebbe da perderci la testa per le differenze anche marcate riscontrabili tra una comunità e l’altra. Mi limito a dirti che solo un buontempone potrebbe intravvedere in quell’embrione qualcosa che abbia a che fare con quella che a quei tempi già si chiamava Europa, men che meno con quella che sarà l’Europa nei secoli successivi, e perfino con lo stesso cristianesimo di là a qualche decennio. E allora sarà che le radici cristiane dell’Europa debbano essere cercate nel cristianesimo del II secolo? Nemmeno. In quel secolo il cristianesimo è ben diverso da quello che verrà dopo: è religione di classi agiate che si predispongono alla fine dei tempi, che è attesa da un momento all’altro. Ha già avuto qualche contaminazione con l’ellenismo, ma rimane ancora una profezia biblica, nella quale nessuna Europa precedente o da venire è neppure rappresentabile. Solo verso l’inizio del III secolo, visto che la fine dei tempi non arriva, i cristiani tornano a una vita più o meno normale, mentre si dovrà aspettare ancora un altro secolo perché il cristianesimo si faccia cristianità, comunità unitaria e gerarchizzata che mira a un’espansione senza limiti e a un controllo pieno di tutte le attività sociali. Fino a qualche decennio prima, i cristiani si disponevano sereni al martirio pur di non essere reclutati in un esercito, mentre da qui in poi sarà prevista la scomunica per quelli che abbandonano il servizio militare. È in questo periodo, con Costantino, che il cristianesimo si fa europeo, innestandosi sul mondo romano, sulle sue tradizioni, la sua cultura, la sua storia, parassitando radici che erano già lì da almeno una dozzina di secoli. A parte, potremmo discutere di quanto il cristianesimo sia realmente cosa nuova o originale: in realtà, nasce già come momento sincretico tra l’ebraismo e i movimenti religiosi del più vicino oriente. Altrettanto a lungo si potrebbe discutere di quanto questo parassitamento abbia cambiato la natura delle radici greche e romane dell’Europa, ma, se dobbiamo leggere la storia senza usare la lente dal verso sbagliato, dal III secolo in poi troviamo più romanità nel cristianesimo che viceversa, d’altronde tutta la Patristica altro non è esegesi evangelica funzionale alla sovrapposizione della Chiesa sull’Impero. È da questo punto in poi che viene meno la tolleranza verso le innumerevoli varianti dottrinarie che convivono nel mondo cristiano e che inizia la lotta a quelle che così diventano eresie. Di pari passo comincia a prender forma quella imperializzazione del cristianesimo che sarà fatto compiuto solo tra il V e il VI secolo, quando, neutralizzato per assorbimento quanto è riutilizzabile e non sopprimibile del paganesimo, la cristianità assume i caratteri distintivi che, con gli aggiustamenti del caso, manterrà fino a quando non si comincerà a metterla in discussione. Il cristianesimo impone il suo segno sulle bandiere d’Europa per soli dieci secoli, dodici a volerci mantenere larghi. Dieci-dodici secoli nei quali può godere della pienezza dei mezzi necessari a impregnare di sé la vita di milioni di individui, dalla culla alla tomba, con la pervasività di una violenza che non risparmia niente. Non si tratta di «radici», caro ***, si tratta di rami e foglie che non lasciano spazio ad altro, e fra i quali ogni nido assume la forma del bozzolo, fuori dal quale è semplicemente negata la possibilità di vita e di pensiero. Nessuno nega che lo spazio storico e geografico detto Europa sia ingombro di questa vegetazione – non io, mai fatto, anzi – ma affermare che l’Europa o sia cristiana o non sia, onestamente, mi pare una bestialità. In quanto al fatto che la sostanza antropologica solitamente detta Europa rechi il segno indelebile del cristianesimo, che neanche il suo avanzato stadio di secolarizzazione è fin qui riuscito a rendere indistinguibile, nulla quaestio: si tratta di quanto resta di una conquista, di tratta nel marchio a fuoco impresso sulle carni dell’animale. Cosa diversa è voler dare a questo segno un senso diverso: le assurdità, le ambiguità e le contraddizioni che usque ab ovo troviamo nel cristianesimo, e che pure acquistano una loro logica nel darsi in elementi dialettici all’interno di una storia, restano quel che sono anche nel loro precipitato, e dunque prefigurano la crisi del cristianesimo per cause che gli sono intrinseche, prima fra tutte il nodo tra immanenza e trascendenza stretto nel dogma dell’incarnazione, perché un Dio che s’incarna non può che fare una brutta fine, anche dichiarandone la resurrezione. In secondo luogo, dare al Dio unico un carattere trinitario: torna utile a inverare nella storia il suo corpo mistico, ma lo espone pure a pulsioni disgreganti. Come vedi, caro ***, parlare di «radici cristiane dell’Europa» è un’operazione storiografica – insieme – ingenua e strumentale. Che di tanto in tanto venga riproposta, francamente, che palle. P.S. Ho cercato di contattarti per avere il permesso di riprodurre il testo della tua lettera insieme a questa risposta, ma non mi hai dato cenno, così mi sono risolto a sintetizzarne il contenuto della premessa e a lasciarti nell’anonimato.   

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