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"Ti porto al mare" - aveva esclamato lui, scherzando, ma non troppo. E la 'povna - che oscillava tra il senso del dovere e la voglia di avventura romanzesca - si era ritrovata a rispondere un interlocutorio "perché no?".
Cellulare acceso (ché non si sa mai di che cosa ci possa essere bisogno) e musica di accompagnamento, si erano buttati nella notte alla guascona, prendendo la via della costa con finta indeterminazione. La storia era finita molto prima di arrivare in spiaggia. Una telefonata (alle 3.30) di Trudy che non riusciva a usare la tessera per rientrare in camera aveva infatti brutalmente posto il freno a qualsiasi sogno e la 'povna si era fatta riaccompagnare su su, in cima al castello, con un'ansia diversamente ossessionante che saliva dallo stomaco, e una risata amara (e un po' perplessa) allo sceneggiatore.
Anno dopo anno - mentre gli intrecci cambiavano, lo sceneggiatore prendeva una strada proprio scialba, e poi ritornava in grande spolvero, ma con suggerimenti nuovi - al mare, con il narratario o con chiunque, la 'povna non ci aveva più pensato. Forse perché, appunto, anche la trama era diversa, forse perché non era così importante, forse perché quando sta lì non ha voglia di muoversi per andare altrove.
Così, anche sabato scorso, durante una festa finale un po' loffia anche se non brutta, tutta presa da pensieri altri e dalla familiare stanchezza, quando Medea se ne era venuta con la proposta di una gita in spiaggia la 'povna l'aveva guardata per qualche minuto fissa, tirandosi indietro con stupore.
Nel frattempo, c'è da dire, lo sceneggiatore faceva i capricci, e la 'povna aveva avuto già un paio di volte la tentazione di sbaraccare la pista, un po' rotta di cazzo da una storia che, al quinto anno di fila, non è nemmeno più farsa, e dall'assurdità banale delle ripetizioni. Ovviamente, non era tanto grave (e tutto sommato oramai, se non per vestigia di qualche cosa di già morto, gliene importava il giusto) e in ogni caso - come aveva avuto modo di dire al narratario non ricorda più se nel 2007, 2008, 2009, 2010 o quando - lassù la circonda una tale quantità di cura consapevole che lei a Neverland cadrà sempre in piedi. Però il tutto la sdubbiava lo stesso - e per questo la 'povna si era messa a chiacchierare di variabili alla balaustra, insieme alla Cugina, non proprio sversa, ma di medio umore.
"Posso chiederti una cosa?" - se ne era uscita a un certo punto lei con soave leggerezza - "ma perché cazzo non vuoi andare al mare?!"
"No, ma, sai, Trilly, le pulizie, Kant, la festa" - aveva biascicato la 'povna, assai poco convincente.
"Sarebbe una rottura..." - incalzava la Cugina implacabile.
"...di palle?"
"No, di paradigma".
Certe volte bastano tre parole.
Corro, Rambaldo, aveva scandito mentalmente la 'povna (in una ripetizione, questa volta degna, del pezzo di teatro in cui si era esibita la sera precedente), afferrando rapida il telefono per chiamare all'ultimo secondo Ohibò.
"Pronto, dove siete? Quasi, quasi vi raggiungo...".
"Brava, è solo giusto, sbrigati, ti aspettiamo".
Corro, Rambaldo. Sotto gli occhi di una Cugina soddisfattissima, la 'povna afferra rapida le righe della sua borsa di stoffa, senza salutare non solo la badessa, ma nessuno dei commensali.
Il tempo di stritolare il narratario con un abbraccio (che è lezione di metodo): "Scusami, ci vediamo domani, buona notte, io vado al mare".
Quattro auto viaggiano, in fila, nella notte. La guida è attenta, la velocità è piana. Si perdono almeno cinque volte, altrettante si aspettano. Un paio si fermano (in una discarica) per pisciare.
Ma alla fine, per davvero, sono arrivati in spiaggia. E tutti si sono gettati, ubriachi di condivisione e leggerezza, in un'acqua caldissima e bassa, sotto la luce della luna, proprio in quel mare.
Ma il narratario non c'era più.
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