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Corruzione, l’Italia migliora ma resta al 61° posto

Creato il 18 febbraio 2016 da Retrò Online Magazine @retr_online

Alla fine di gennaio, Transparency International – un’organizzazione non governativa che si prefigge l’obiettivo di combattere la corruzione nel mondo – ha pubblicato, come ogni anno, il Corruption Perception Index (CPI). Il rapporto indica il grado di corruzione percepito nelle istituzioni pubbliche e politiche delle centosessantotto nazioni censite. Esso si basa sulle opinioni di uomini d’affari ed esperti del settore: si tratta, quindi, di stime, visto che in materia di corruzione non esistono dati che possano essere ritenuti assolutamente certi.

Analizzando la mappa elaborata da Transparency, la prima informazione che salta subito all’occhio è che non esiste paese al mondo che sia completamente immune dal fenomeno corruttivo. Difatti, ben il 68% delle nazioni dell’intero pianeta – si legge – «ha dei gravi problemi di corruzione». Come direbbero gli antichi Romani: ubi societas ibi corruptio. Tuttavia, c’è chi la contrasta con ottimi risultati e chi, invece, un po’ meno. Al vertice della classifica – parliamo quindi del paese considerato più virtuoso – troviamo la Danimarca, seguita da Finlandia, Svezia, Nuova Zelanda e Paesi Bassi (a pari punti con la Norvegia). Queste le prime cinque posizioni: si può notare come il Nord Europa sia una delle zone più “pulite”. Sul fondo troviamo invece Angola (dove il 70% dell’intera popolazione vive con meno di due euro al giorno), Sudan, Afghanistan (in cui diversi milioni di dollari stanziati per la ricostruzione del paese sono andati perduti o rubati), Corea del Nord e Somalia. La corruzione sembra colpire maggiormente le zone devastate dai conflitti e quelle nelle quali larghe parti delle popolazioni vivono in condizioni di estrema povertà: spesso i due casi coincidono. Nel Sud America si registra il forte calo del Brasile, che scivola al settantaseiesimo posto, in seguito allo scandalo Petrobras: i dirigenti della nota multinazionale petrolifera sono accusati di aver gonfiato l’importo di alcuni contratti per la costruzione di infrastrutture petrolifere, e di avere utilizzato i soldi così ricavati sia per fini personali che per il finanziamento della campagna elettorale del Partito dei Lavoratori, che governa il paese dal 2003. La Germania, al contrario, sembra non aver minimamente risentito dello scandalo dieselgate che ha colpito la Volkswagen: guadagnando addirittura due punti percentuali, si conferma uno dei paesi più solidi. Per concludere, in Europa centrale ed Asia non si segnalano particolari variazioni rispetto all’anno precedente: la media di punteggio è di 54 punti su 100, che significa il raggiungimento della sufficienza.

Veniamo ora all’Italia. Il nostro paese si classifica in sessantunesima posizione, a pari merito con Montenegro, Lesotho, Senegal e Sudafrica. Rispetto all’anno precedente si registra un avanzamento di otto posizioni: nel 2014 aveva ottenuto una valutazione di 43 su 100, mentre quella relativa al 2015 corrisponde a 44 su 100. Un aumento, dunque, quasi impercettibile: il fatto che l’Italia abbia scalato la classifica è, più che altro, dovuto al retrocedere di altre nazioni. Il raffronto in ambito europeo è preoccupante e non lascia spazio ad interpretazioni: confrontando i dati con gli altri ventisette paesi che compongono l’Unione Europea soltanto la Bulgaria, fanalino di coda, ha ottenuto un punteggio peggiore. Davanti restano ancora Romania e Grecia, che nell’immaginario collettivo vengono identificati dai più come stati molto corrotti.

Tuttavia, il Presidente dell’Autorità Nazionale Anticorruzione cerca di vedere il lato positivo: «Otto posizioni in graduatoria non è un numero elevatissimo, ma non è neppure insignificante, – spiega Raffaele Cantone – soprattutto in un anno nel corso del quale ci sono comunque stati grossi scandali corruttivi, come Mafia Capitale. C’è un’inversione, – prosegue – un passo avanti che si registra per la prima volta e che ritengo vada letto anche come un riconoscimento del lavoro svolto». Tuttavia, come ammette lo stesso Cantone, si deve constatare che «l’Italia resta un paese con un livello di corruzione molto alto», anche se subito dopo ci tiene a precisare che, comunque, questa è una battaglia che «si fa in modo molto graduale, molto lento e questi risultati sono un po’ la testimonianza che bisogna andare avanti su questa strada». Anche Virginio Carnevali, Presidente di Transapency Internation Italia, è sulla stessa lunghezza d’onda, accogliendo con piacere il cambio di rotta che, «seppur minimo, ci fa sperare in un ulteriore miglioramento per i prossimi anni». Ivan Lo Bello, Presidente di Unioncamere, fa notare che «per compiere un salto di qualità importante occorre, però, un ruolo più forte della società civile, che deve acquisire la consapevolezza che un sistema dove è grande la corruzione non crea ricchezza e alimenta profonde distorsioni del mercato».

Fra i provvedimenti legislativi più recenti, da segnalare è l’approvazione della legge sul “whistleblowing”. La proposta di legge porta la firma di Francesca Businarolo, parlamentare Cinque Stelle. Decisiva si è rivelata, in questo senso, l’intesa fra il PD e il movimento fondato da Beppe Grillo. Il testo normativo andrà ad integrare e ad ampliare l’attuale disciplina anticorruzione prevista dalla Severino. Lo scopo è quello di offrire una più ampia tutela al cosiddetto “whistleblower”, ossia il lavoratore che denuncia eventuali comportamenti illeciti di cui sia venuto a conoscenza sul luogo di lavoro, garantendone il segreto sul nome fino alla chiusura delle indagini preliminari e invertendo l’onere della prova a carico del datore di lavoro. La normativa è stata estesa anche agli enti pubblici economici e agli enti di diritto privato sotto controllo pubblico. Anche il settore privato viene coinvolto, attraverso l’introduzione di norme all’interno dei modelli organizzativi e di gestione delle società, volte a proteggere il soggetto che segnali eventuali illeciti. Le denunce dovranno, in ogni caso, essere documentate e circostanziate, e potranno essere inviate al responsabile anticorruzione dell’ente, all’Autorità nazionale anticorruzione oppure direttamente alla magistratura.

Proprio in questi giorni, in Consiglio dei Ministri, si stanno discutendo gli ultimi ritocchi per ultimare il decreto legislativo che riformerà la disciplina degli appalti, come stabilito dalla legge delega emanata dal Parlamento. Fra le novità che verranno con tutta probabilità introdotte si parla di: maggiori poteri per l’Autorità Nazionale anticorruzione guidata da Raffaele Cantone, limitazione di adottare il criterio del ribasso per quanto riguarda i piccoli contratti di manutenzione, una soglia (1 milione di euro per i lavori, 150 mila euro per forniture e servizi) sotto la quale gli appalti potranno essere affidati tramite procedure negoziate.

Da marzo 2015, invece, giace al Senato una proposta di legge per aumentare della metà i termini di prescrizione per i reati di corruzione – ritenuti dai più troppo brevi, a fronte dei lunghi tempi solitamente richiesti per fare emergere tali illeciti – e per introdurre nuove cause di sospensione degli stessi: oltre ai casi di sentenza di condanna non definitiva in primo o secondo grado, verrebbero introdotti i casi di rogatoria all’estero, di accertamenti di particolare complessità e quelli in cui l’imputato faccia istanza di ricusazione del giudice. Un provvedimento che sarebbe di aiuto dato che, in buona parte a causa del trascorrere del tempo, il numero delle sentenze definitive di condanna per corruzione rappresenta soltanto lo 0,48% del totale, mentre i soggetti che si trovano in stato detentivo, sempre per ragioni legate al fenomeno corruttivo, sono lo 0,31% dell’intera popolazione carceraria. Governo e Parlamento dovranno, inoltre, lavorare sinergicamente per contrastare più efficacemente non solo corruzione, ma anche riciclaggio ed evasione fiscale. Tre mali, questi, fra di loro connessi, che affondano le loro radici indietro nel tempo: a partire dal quel 17 febbraio 1992, giorno in cui il “mariuolo” Mario Chiesa fu beccato in flagrante a intascare mazzette nel proprio ufficio del Pio Albergo Trivulzio, quando fu aperto un vero e proprio vaso di Pandora, a cui ancora non si è riusciti a mettere il coperchio.

Forse, però, più opportuno sarebbe non tanto allungare i termini, quanto far sì che la prescrizione si interrompa nel momento in cui prende il via il processo penale, come attualmente avviene in alcuni paesi europei quali Spagna, Francia e Germania. Di sicuro c’è che l’Italia, per il raggiungimento di un livello di corruzione quantomeno in linea con la media europea, ha di fronte a sé una vera e propria montagna da scalare. Quello di oggi non rappresenta che un piccolo passo, ma è altrettanto vero che da qualche parte si deve pur iniziare: che questo possa essere il punto di partenza.

Tags:appalti,Cantone,cinque stelle,corruption perception index,corruzione,Italia,prescrizione,Renzi,riciclaggio,Transparency International,Unione Europea,Whistleblowing

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