Il giudizio di uno stolto è un titolo da re. (W. Blake)
Alcuni lettori ed amici ci domandano come reagiamo alle diuturne calunnie ed aggressioni dei negazionisti. Siamo sinceri: i disinformatori sono molesti come tafani e forieri di non pochi problemi, ma, alla fine, la loro azione è poco più di un solletico.
Sono due visioni della vita inconciliabili: da un lato si trova chi impernia tutto sul denaro e sulla frode; dall’altro chi riesce a vivere con un certo distacco gli eventi anche quelli critici. Non è forse tutto effimero, destinato a sbiadire nell’ombra finale? A che serve incaponirsi? Sia la speranza sia la disperazione si inceneriscono alla fiamma dell’altrove.
Non è necessariamente saggezza, ma sentimento del tempo. E’ tutto un altro modo di pensare, radicato nell’abitudine alla coerenza. In questo modo il pensiero, anche quando non approda ad alcuna meta, può spaziare libero da catene, dalle pastoie della doppiezza e della doppia “verità”. I persecutori restano vittime di un corto circuito logico, obbligati come sono a costruire concetti che subito entrano in contraddizione con sé stessi. Essi sperimentano la lacerazione di chi mente sempre e comunque per erigere un mondo falsamente “reale”. E’ una realtà appiattita in un’esistenza bidimensionale, inutile. E’ un grattacielo eccelso, ma con le fondamenta sull’orlo di un dirupo.
La profondità dell’idea ha il suo scotto: l’esplorazione dell’abisso. Tuttavia essa intravede gli spazi invisibili, congiunge le distanze e dirime i paradossi.
Ogni azione ed ogni avvenimento gettano la loro ombra: non osiamo pensare quali tetre proiezioni creeranno i gesti di chi ha eretto l’errore a sistema, invece di viverlo come aberrazione.
La violenza, soprattutto quella gratuita, è una scheggia affilata che si configge nel cuore dell’universo. Il cuore si spacca, ma la sua potente diastole è destinata a demolire i poderosi pilastri delle tenebre.
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