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Cosa ci insegnano i templi erotici di Khajuraho

Creato il 31 luglio 2013 da Milleorienti
Amplesso tantrico su un tempio di Khajuraho. foto di Marco Restelli.

Amplesso tantrico su un tempio di Khajuraho. Foto di Marco Restelli.

Morbide, sensuali, eleganti e provocanti insieme: le sculture erotiche dei templi di Khajuraho, in India, suscitano stupore e un innegabile brivido erotico in chi le guarda. Si resta ammirati perché osservando quelle coppie allacciate in vari amplessi ci si dimentica che sono statue di pietra: i corpi degli amanti sono così flessuosi, i loro abbracci così appassionati, da sembrare vivi e veri. Merito dell’abilità degli artisti che li scolpirono, negli anni fra il 950 e il 1050 dopo Cristo.

 

Khajuraho è un villaggio dell’India settentrionale ormai diventato una famosa meta turistica, proprio grazie a questi templi (perfettamente conservati) che hanno portato fino a noi l’essenza dell’arte erotica indiana. Perciò passeggiare nel bel giardino che circonda i templi e soffermarsi davanti alle loro sculture è un po’ come vedere “dal vivo” gli antichi trattati indiani sull’amore e il sesso, quali il celebre Kamasutra. La parola Kama, nelle lingue dell’India settentrionale, significa contemporaneamente “amore” e “desiderio sessuale” e già il fatto che gli indiani usassero una sola parola per i due concetti ci fa capire come li considerassero inscindibili, e quale importanza attribuissero al sesso, vera e propria arte da non trascurare mai per avere una felice vita di coppia.

Le sculture erotiche di Khajuraho raffigurano amanti in ogni genere di atto sessuale – anche con più partner, con al centro una donna o un uomo – e lasciano libero spazio alle fantasie sessuali. Fantasie che gli antichi indù consideravano del tutto legittime, proprio perché la sessualità era vissuta come fonte di estasi e anche di illuminazione interiore, priva di ogni nesso col peccato. In un antico testo il dio Shiva si rivolge così alla sua sposa Parvati: «Amata mia Signora, le fantasie erotiche stimolano le emozioni e aiutano a elevare i sentimenti al di sopra della mondanità. Sono d’aiuto per coloro che si sentono incatenati dalle cose del mondo. Esplorando la coscienza, la fantasia erotica può diventare un mezzo di Liberazione dai vincoli».

Le sculture di Khajuraho ci possono dunque insegnare a vedere le cose da un punto di vista indù: la sensualità intesa come base dell’amore, fonte di piacere ma anche di risveglio spirituale per la coppia, perché il corpo del partner è come un tempio, degno di adorazione. I libri tantrici indù insegnano che l’amplesso è uno strumento per superare la separatezza fra il principio cosmico femminile e quello maschile e raggiungere così, al culmine del piacere, l’Unità suprema. In sostanza, una via che conduce a un’esperienza  di estasi che è anche mistica. Un punto di vista piuttosto difficile per noi occidentali spesso animati da pregiudizi, come dimostra la reazione che ebbero i primi esploratori inglesi quando nell’Ottocento scoprirono i templi di Khajuraho: influenzati dalla propria morale puritana, gli inglesi scrissero rapporti scandalizzatissimi, in cui bollarono come “oscena” e “animalesca” quell’arte erotica.

Un’arte di cui è protagonista assoluta la donna, che a Khajuraho è raffigurata ovunque e in mille modi anche al di là della vita sessuale: ci sono sculture di donne che scrivono, che danzano, che si mettono il kajal sugli occhi o l’henné sui piedi, si specchiano, cantano, ecc. La donna è protagonista di una sensualità naturale, esibita con grazia e con malizia, ma sempre è “soggetto”, mai “oggetto” sessuale. L’uguaglianza fra uomo e donna, nel mondo del kama, era un fatto assodato; benché discriminata in altri aspetti della vita sociale, nel campo della sessualità e dell’amore la donna indù aveva i medesimi diritti dell’uomo, e dunque lo stesso diritto al piacere. Scrive infatti il Kamasutra: «Poiché la specie non è diversa, lo sposo e la sposa chiedono piacere uguale. Perciò la donna è da vezzeggiare in modo che raggiunga il piacere per prima».

Alcuni templi a Khajuraho, India. Foto di Marco Restelli

Alcuni templi a Khajuraho, India. Foto di Marco Restelli

Quindi dal punto di vista dell’antico induismo – così bene espresso nei templi di Khajuraho – l’atto sessuale non deve mai essere una cosa superficiale o affrettata (come invece accade troppo spesso in Occidente, con un atteggiamento “consumista”).  Nel Tantra l’unione sessuale è vista come un’esperienza totale, finalizzata all’espansione della coscienza degli amanti. L’eccitazione dei due partner, intrecciata alla forza emotiva dell’ amore, genera un’enorme energia che cancella dalla coscienza degli amanti ogni attività mentale estranea. L’unione fra uomo e donna insomma può essere uno strumento evolutivo della coscienza dei partner: può portarci a un punto dove maschile e femminile non sono più separati ma fusi in una unità più alta, dove l’ego individuale si dissolve. L’atto sessuale tantrico diventa così una forma di meditazione, come lo yoga. Ed è anche una celebrazione del Femminile. Perché – come dice il dio Shiva in un altro testo indù – «nemmeno noi Dei esisteremmo senza la Shakti, l’energia femminile che muove e sorregge il mondo».

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I baci che risvegliano il desiderio

Un antico testo d’amore indù, lo Ananga Ranga, enumera dieci tipi di baci, ciascuno con una funzione diversa. Il bacio Ghatika, per esempio, è consigliato alle donne per suscitare la passione maschile: «La donna, eccitata dal desiderio, ad occhi chiusi, coprendo con le mani gli occhi del marito gli introduce in bocca la lingua e la muove sinuosamente, in modo così dolce e cadenzato da dare subito l’idea di un altro e più completo godimento». Il bacio Pratibodha invece è consigliato all’uomo: «Quando il marito dopo un’assenza torna a casa e trova la moglie addormentata su un tappeto in una camera solitaria, appoggi le labbra sulla sua bocca aumentando a poco a poco la pressione fino a risvegliarla. E’ questo il bacio più gradito e che lascia il più dolce ricordo».
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Avvolta come una liana all’albero

Una posizione erotica raffigurata sui templi indiani di Khajuraho è la Vrikshadhirudha, l’abbraccio che imita il gesto di chi si arrampica su un albero. Si pratica così: l’uomo è in piedi e la donna pone un piede sul piede di lui, poi alza e preme l’altra gamba sulla coscia di lui e circondandogli la vita con le braccia lo stringe con forza, quindi lo bacia appassionatamente e poi lo conduce all’atto amoroso.

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(Quello che avete letto sopra è un mio articolo pubblicato tempo fa sul mensile Natural Style).


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