Lo scorso ottobre il Gruppo Espresso ha lanciato un nuovo sito 3nz.it pensato per “Video virali, trending topic, temi caldi social e contenuti popolari da condividere e commentare con gli amici” come si legge nella sua presentazione su Twitter. Va detto che in realtà il progetto non si prefigura come sito di informazione (giornalistica quantomeno) ed è stato avviato senza clamori, più come strumento – ci sembra di capire – per studiare modalità e strategie per la viralizzazione dei contenuti. [Qui comunque potete leggere una intervista responsabile del progetto Alessio Balbi sul sito inglese Journalism.co.uk: Why Gruppo Espresso built a publishing ‘playground
Quello che immediatamente possiamo notare è che 3nz.it è sotto più di un aspetto una “fotocopia” di Upworthy, sito che ha fatto molto parlare di sé in questi ultimi due anni per i numeri da capogiro ottenuti — 87 milioni di utenti unici il mese - sia per le critiche ricevute in merito all’uso spregiudicato dei click-bait. Cosa fa Upworthy? Ri-utilizza contenuti esistenti (molti da video presi su YouTube) e li “rimpacchetta” abilmente con nuovi titoli studiati ad hoc per la condivisione sui social media.
Ed è esattamente quello che fa, più o meno, anche 3nz.it, adottando del più celebre modello americano la stessa tecnica di titolazione (per dare un’idea confrontate ad esempio questo titolo di Upworthy “Questo bambino di 4 anni fa delle cose tenere. Ma il motivo per cui le fa spezza il cuore” con questo di 3nz.it “L’amore puro: se avete dimenticato cosa sia, sentite come lo raccontano i bambini”) la struttura del sito (con immagini/articolo disposte a scacchiera e gerarchia ridotta al minimo) e addirittura, anche lo stesso colore arancione che caratterizza per entrambe la grafica e il logo.
Va detto che l’abilità straordinaria dei curatori di Upworthy è quella di scovare anche contenuti poco visti capendone le potenzialità rendendoli virali a differenza — almeno per il momento — dell’esperimento italiano che si concentra unicamente sul cavalcare i trend topic già affermati (con una propensione, ci sembra, alla “pucciosità” melensa decisamente marcata).
Domanda: ma perché un gruppo editoriale come l’Espresso dovrebbe guardare a un sito così particolare e non propriamente di informazione giornalistica come Upworthy? Noi abbiamo provato a mettere insieme quattro punti che ci sembrano fondamentali per capire un’operazione del genere e, magari, per dare lo spunto per una riflessione più ampia.
#1 viralizzare è una cosa seria, sì possiamo storcere il naso quanto vogliamo su titoli in stile Upworthy grondanti melassa buonista, oppure sui listicle e gattini buffi di BuzzFeed ma il processo che c’è dietro a queste operazioni è stato messo a punto (e continuamente aggiornato) in anni di ricerche. Continui test A/B che portano a confrontare anche più di venti titoli diversi oltre che un’attenzione maniacale ai minimi dettagli (perfino la disposizione dei bottoni di condivisione non è casuale e varia a secondo dei contenuti). Per perfezionarle ed essere padroni di queste tecniche è necessario sviluppare internamente competenze specifiche con un approccio più da tech company che da media company. Tutte cose che non si improvvisano dall’oggi al domani. E che nella cultura dei vecchi editori non sono semplici da introdurre (è un aspetto che mette in risalto anche il famoso report interno del New York Times, per dire).
Certo, il problema poi è come questi modelli e strategie possano essere utilizzate anche su altri contenuti diversi da gattini buffi o “11 cani e un gatto per una coreografia: non riuscirete a smettere di ballare”. BuzzFeed strada facendo in questi anni sta sempre più cercando — non senza difficoltà — di far convivere sia contenuti di puro infotainment sia contenuti più impegnati (della doppia “anima” di BuzzFeed ho scritto qui). Lo stesso fa Upworthy trattando temi legati all’impegno civile e promuovendo raccolte fondi per campagne umanitarie (dalle quali Upworthy trattiene una parte dei proventi). Un problema che per il momento 3nz.it probabilmente non si pone ma che, se vorrà trasferire le competenze acquisite anche nel resto del suo gruppo editoriale dovrà prima o poi affrontare (a meno che non si abbia come obbiettivo solo quello di fare al progetto un po’ di buoni numeri).
#2 cura dei contenuti: Sulla necessità dei giornali di fare sempre più curation ( e di farla bene) si è scritto molto, su questo aspetto Upworthy ha sicuramente molto da insegnare. Ma fare cura dei contenuti crediamo significhi qualcosa di più che inventarsi titoli per farli funzionare su Facebook, o prendere contenuti altrui e riproporli con poche variazioni di testo come ad esempio fa questo articolo di 3nz.it che traduce e ripropone in larga parte questo pezzo di Brain Pickings, correttamente citato nell’incipit ma senza mettere, a meno che ci sia sfuggito, nemmeno un link alla fonte originale. Su questi aspetti un po’ più di etica non guasterebbe.
#3 Va dove stanno andando i tuoi lettori: 3ntz.it da qualche giorno ha attivato la possibilità di distribuire i propri contenuti anche attraverso Whatsapp, un operazione simile l’ha fatta BuzzFeed, sempre in questi giorni, con un’altra piattaforma WeChat. Le nuove piattaforme di messaggistica stanno avendo un notevole incremento di utenti soprattutto tra i giovanissimi. Ecco, rispetto alle testate tradizionali, gli all digital globali (molti di loro, quanto meno) sono stati molto bravi fino ad ora a capire per tempo dove i lettori stavano andando, facendosi trovare pronti ai cambiamenti con le quali le persone modificavano il loro modo di consumare i contenuti online. Anche su questo i giornali tradizionali hanno effettivamente assoluto bisogno di recuperare il (molto) tempo perso e sviluppare unità interne dedicate a queste strategie.
#4 native advertising le pubblicità native sono il formato che prospera proprio in siti come Upworthy e BuzzFeed pensati e strutturati per ospitarle all’interno delle loro griglie. Saperle renderle virali sui social (e in particolare oggi su Facebook) è assolutamente necessario per proporle agli investitori pubblicitari. Credo sia abbastanza chiaro che anche questo progetto del gruppo Espresso nasca con l’intenzione di perfezionare queste tecniche per utilizzarle non solo su 3nz.it ma su tutte le testate del gruppo.
update: Visto che ce ne siamo occupati ampiamente aggiungiamo una questione relativa al “doping” dei Dati Audiweb e alle aggregazioni dei dati di siti che niente hanno a che fare con l’informazione ai maggiori quotidiani italiani. Vogliamo sperare che i dati lusinghieri di 3nz.it non siano aggiunti in nessun modo a quelli della testata ammiraglia del Gruppo. Non abbiamo ragione di sospettare e, anzi, Repubblica ha la percentuale di incidenza di dati aggregati minore rispetto a tutte le altre testate italiane, ma una conferma in questo senso sarebbe comunque gradita.