Penso che chi paragona il fenomeno Grillo al fascismo o a qualche altro regime totalitario del passato commetta un sacrilegio, non perchè sia diffamante nei confronti dell’invasato tribuno genovese, ma piuttosto perchè destoricizzare dei fenomeni che hanno una precisa connotazione temporale e strumentalizzarli ai fini della battaglia politica, è una banalizzazione che offende la memoria storica, grosso modo come la ventilata Norimberga dei politici, tanto cara al demagogo riccioluto, offende la memoria storica del nazismo e della shoah. Detto questo, bisogna comunque prendere in considerazione alcuni aspetti del fenomeno Grillo e analizzarli alla luce dell’insegnamento della più profonda indagatrice delle dinamiche e delle degenerazioni della politica nella società di massa, Hannah Arendt.
La filosofa tedesca, qui molti risulteranno sorpresi, non avrebbe avuto problemi nel riconoscere al movimento ideato da Grillo due aspetti positivi della politica contemporanea: la cittadinanza e la partecipazione, vale a dire la coscienza di essere parte e la volontà di prendere parte. Così come non avrebbe avuto problemi a riconoscervi quegli aspetti positivi tipici delle prime fasi della rivoluzione, prima che la riorganizzazione del potere non li spenga: la fede nell’utopia, nell’emancipazione, nella libertà, nell’uguaglianza; in un mondo migliore, in pratica.
Ma il compito della rivoluzione, secondo la Arendt, non è tanto quello di rovesciare la politica, ma quello di instaurarla o di reinstaurarla in una forma più evoluta in senso democratico, altrimenti la rivoluzione è destinata a degenerare, come avvenuto in Francia e in Russia, o a trasformarsi in quella sorta di salottino radical chic della rivoluzione permanente e dei suoi professionisti. E qui, credo, la grande pensatrice andrebbe giù duro nei confronti della banalizzazione che il movimento5stelle fa della politica: l’uno uguale uno, l’attesa messianica referendaria, l’esibizione muscolare della piazza, l’individuazione del nemico non più dal punto di vista etnico, ma categoriale; e ancora, il leaderismo parossistico, il settarismo, la dialettica rifiutata dall’alto di una supposta superiorità morale, l’utilizzo di una terminologia infarcita di zombie, contagio, untori, cadaveri e via di seguito, in un campionario che vorrebbe essere pulp, ma è invece violentemente escludente e generalizzante. Probabilmente Hannah Arendt non vi riconoscerebbe, se non in parte, i tratti tipici caratterizzanti la genesi del totalitarismo, ma certamente qualcosa di altrettanto abissale.