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Non sono mai riuscito a farmi prendere dal pathos che allo stesso tempo nutre e divora chi tifa per questa o quella squadra di calcio, ma devo ammettere che forse non mi sono mai impegnato come sarebbe stato necessario. Non è che ne abbia sentito la mancanza, devo dire. Al contrario, le folle che si esaltano o si disperano per un pallone che entra in rete o meno mi hanno sempre procurato un misto di fastidio e pena, che peraltro non ho mai dissimulato bene, nemmeno quando a consigliarlo era la buona creanza. È che certe manie fanno fatica ad attecchire, se non si pigliano in tenera età. Te le attaccano gli adulti che ti si offrono come modelli, e a me è mancato quello del tifoso: nonni, genitori, zii, insegnanti, non ne ho mai visto uno scaldarsi a un goal di Sivori o Mazzola, tiepidi perfino alle vittorie e alle sconfitte della Nazionale. Tutti malati di politica, invece, ma malati di brutto.Tutti comunisti, per giunta, o comunque di sinistra, ma d’una sinistra seria, tosta, per nulla incline al sentimentalismo, anzi anche troppo pragmatica, dunque perfino un po’ cinica. Lares familiares che più a sinistra di Ingrao c’erano solo velleitari e più a destra di Amendola solo fascisti o criptofascisti. Per dare un’idea: ho imparato a leggere a quattro anni sillabando con mio padre i titoli degli articoli su l’Unità. Mio nonno – ricordo come fosse ieri – mi portava a passeggiare, ma si finiva sempre al tavolino di un bar, io a leccare un gelato e lui a battibeccare col primo democristiano che gli capitasse a tiro. Un pranzo di Natale, un picnic di Pasquetta, un Ferragosto sotto l’ombrellone, di regola, erano occasione per discutere di politica, ma si legga il discutere come eufemismo. Così tutta l’infanzia, poi lezioni di letteratura, storia e filosofia che sembrava di stare alle Frattocchie: sarà stato un caso, ma fatta eccezione per un fascistissimo prof di matematica alle medie, una prof di italiano che al liceo ci indorava Benedetto Croce e le ridicole macchiette dell’ora di religione, ho avuto solo insegnanti che dell’insegnamento avevano un’idea militante, e suppongo sia superfluo dire di quale milizia. Tra tutti giganteggiava il mitico Salzano, baffi spioventi, lieve strabismo divergente che gli dava un’area perennemente assorta in cose alte, d’un marxismo tanto scientifico che potevi saggiarlo all’oscilloscopio. Il calcio? Per tutti, senza appello: l’oppio dei popoli. «Roba da sottoproletariato o da piccola borghesia». E allora perché queste primarie mi sembrano una partita di pallone? Non si tratta – quest’è il giudizio unanime – di una prova di «buona politica»? Perché non riesco a vedere altro che polpacci e urla? Perché tanta brava gente in fila per votare Renzi o Bersani mi sembra in tutto uguale a quella in fila per entrare allo stadio e tifare Milan o Inter? Com’è che tutto questo gran discutere mi lascia indifferente? Il nuovo che ci voleva proprio, l’usato sicuro che certo non si può buttar via – l’uno o l’altro, anzi no, l’uno e l’altro, perché i muscoli freschi, sì, ma pure l’esperienza conta – com’è che questa Tribuna Politica mi sembra una Domenica Sportiva? Li guardavo l’altra sera, su Raiuno. Si stringevano la mano e sorridevano: mi sembravano in pantaloncini e coi gagliardetti in mano, pochi istanti prima del lancio della monetina. Chi accidenti ha ridotto a derby quello che un tempo avrei seguito come uno scontro politico? Ripenso ai congressi del Pci e della Dc e questa qui mi pare una partita tra le Coop e la Compagnia delle Opere. Lì il fair play era un obbligo pesante e non se ne dissimulava il peso, qui sembra quasi faccia punteggio.D’istinto mi domando: cosa è successo? Prima la politica era merda e sangue, poi è diventata solo merda, vorranno mica farla diventare pubblicità comparativa tra marche di carta igienica che si contendono il primato del rotolo più lungo e più morbido? Subito arrossisco e umilmente mi correggo: cosa mi è successo?
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