La revisione di una storia (o meglio: di raccolta di racconti), come si fa? Riconoscendo i propri errori, che razza di domande!
Che cos’è l’esperienza, in fondo? Considerare gli errori come le unghie dei piedi (o delle mani, se preferisci): fanno parte di noi.
Tornare a rileggere i miei racconti dopo così tanti mesi mi ha insegnato un mucchio di cose.
Le cose buone dei miei racconti
Non mi ricordavo molto delle storie, di cosa combinavano i personaggi. Certo, forse è l’età, ma di sicuro quando si scopre il racconto mentre si legge, vuol dire che almeno si è riusciti a far passare abbastanza tempo. Si è messo da parte la grande favola dell’urgenza. Tutti hanno questo urgente bisogno di pubblicare. Il mondo sembra non attendere che le loro parole.
Io so che il mondo con o senza le mie parole girerà comunque. Questo non significa che quanto scrivo non vale niente. Proprio perché non cambierà il corso della storia, quello che scrivo deve essere il meglio che posso. Nonostante limiti e difetti, devo produrre arte. Che significa: scrivere qualcosa efficace e di valore (come scriveva Flannery O’Connor).
Altra cosa buona dei miei nuovi racconti? Di certo rappresentano un passo in avanti rispetto a “Non hai mai capito niente”. C’è un argomento che lega tutti i racconti (lo si capisce anche dal titolo, un po’ particolare: però sembra piacere…).
Sono racconti che urtano (spero): non perché ci sia dentro chissà cosa. Ma perché hanno quella natura efficiente e cattiva che la realtà merita.
Siccome la gente pensa così, tu fai la linguaccia e fai cosà.
Fai la linguaccia!
Per esempio: la gente pensa che l’amore risolva ogni cosa? Racconta una storia dove è un compromesso tra 2 persone sole.
L’amore migliora le persone? Tu racconta una storia dove si finisce per pianificare un reato.
L’amore cambia la vita? Chiudi una storia con un bel morto ammazzato.
La tua linguaccia è di parte!
Certo, qualcuno potrebbe affermare che questa è una posizione di parte. Che al di là delle chiacchiere che faccio, ho preso un’idea e ho cercato di dimostrarla.
Al contrario: io evito il manicheismo e illustro le sfumature (almeno ci provo). La vita è troppo complessa per chiuderla in uno slogan o in una definizione. Chi lo fa ha un problema: l’odio.
Le cose brutte dei miei racconti
E le cose brutte? Be’, refusi, ripetizioni imbarazzanti… Ma questo fa parte del gioco. Non importa la cura che ci metti: trovi sempre qualcosa fuori posto. Non se ne esce.
Metto troppa roba? Vale a dire dettagli inutili? Sì, tuoni e fulmini.
Benché mi piaccia Raymond Carver, spesso esagero senza rendermene conto. Troppi dettagli. L’ascia è una fedele alleata, ma devo convincermi che è appunto l’unica vera amica di chi scrive. Se non si usa con sufficiente perizia e ferocia, esiste il rischio di distrarre, o addirittura annoiare il lettore. Questo è il pericolo più grave di ogni cosa che scrivo: l’eccesso di particolari che finisce con lo spostare l’attenzione del lettore.
Devo fare mia questa semplice regola: