Liliana Adamo da Altrenotizie.org (un articolo del 26 aprile 2006).
Chernobyl, Ukraine, Ocober 1995.
The explosion at the Chernobyl Nuclear Power Plant on April 26 1986 was the worst nuclear accident in history.
Like many older residents Yelisavola Ryka has returned to live illegally in her home in the closed and radioactive zone surrounding Chernobyl.
Un cronista del “Guardian” ha voluto rintracciare i sopravvissuti di Chernobyl. Se da vent’anni a questa parte i dati del disastro sembrano interamente registrati e metabolizzati nella cognizione comune, il resoconto circostanziato di chi è scampato, emerge ancora come materia viva.
Adam Higginbotham ha cercato il pilota dell’elicottero che per mesi ha continuato a volare nella cenere radioattiva sopra il reattore numero 4, il tecnico che ha visto incenerirsi all’istante i suoi colleghi senza poter fare nulla, la famiglia costretta ad abbandonare la propria casa con un avviso d’evacuazione di appena 40 minuti…
Dal 26 aprile 1986, alle ore 1.23, dal momento in cui una serie d’esplosioni ha distrutto il reattore numero 4 della centrale nucleare di Chernobyl (con cinquanta tonnellate di combustibile d’uranio sprigionato), la città di Pripyat, in Ucraina, regione dell’ex Repubblica Sovietica, detiene il triste primato della città più radioattiva della terra.
Si entra nella zona d’esclusione a trenta chilometri dalla vecchia centrale e il mondo pare essersi fermato, ripudiato da tutti i suoi abitanti. Le cose inerti lasciate lì dalla fuga istantanea sembrano ossidate da tempo immemorabile, reliquie angoscianti che non rompono il silenzio, codificano soltanto ciò che è avvenuto: un vetro frantumato, cumuli di neve depositata sulla piattaforma scorrevole che nessuno guida più, le lancette dell’orologio della piscina comunale ferme alle ore dodici e sei minuti. Una spaventosa città vuota ha accolto il cronista inglese intanto che si alternavano i flashback del passato. Valeri Sluckij era giovane al tempo del disastro, ora ha 59 anni.”E’ duro…” dice: “Ho speso i miei anni migliori in questo posto, se conta qualcosa“. Il suo alloggio era una bassa costruzione in Via Stroytely, a Valeri, sua moglie Natalia e ai loro due bambini, sono stati concessi solo 40 minuti per raccogliere gli “effetti personali” e abbandonare la zona contaminata. Chissà perché, succede che nella fretta d’andartene non prendi su ciò che ti tornerebbe utile, ma gli oggetti più impensati, quelli che, in qualche modo, ti legano alla vita d’ogni giorno; Valeri e sua moglie hanno avuto appena il tempo di riempire cinque sacchetti di plastica con i loro documenti personali, i romanzi di fantascienza e alcune posate d’argento, dono di nozze più prezioso. La sera del 27 aprile 1986, Valeri ha chiuso piano la porta della sua casa, sperando di tornarvi presto e insieme ai suoi vicini si è avviato verso la miriade di torpedoni che lo avrebbero portato in un villaggio distante 70 chilometri. Quella notte furono evacuate 21.000 persone, con la promessa che sarebbero tornati indietro tre giorni dopo. Sono trascorsi vent’anni. Le strade di Pripyat sono ancora deserte nel cuore della zona d’esclusione in un raggio di trenta chilometri, perlustrata in tre punti dai check point militari.
Una tiepida mattina d’aprile di vent’anni fa.
In un attimo si nebulizzarono nell’atmosfera cinquanta tonnellate di combustibile d’uranio, novecento tonnellate di grafite al massimo grado di radioattività, si sparsero intorno al reattore, provocando più di trenta esplosioni. Le restanti ottocento tonnellate di grafite stipate nel nucleo, divamparono talmente in fretta, da mostrare l’inferno come nessuno avrebbe mai immaginato.
some objects on the floor of the nursery school of Pripyat
The most terrible technological accident of human history knows: Chernobyl, once an unknown place in the rich land of the Ukraine. Now a single chilling word that still casts a dark shadow of death and contamination. Twenty years after the disaster that struck Europe, the tragedy continues. Many people live in villages close to the nuclear plant in conditions at the edge of human survival. The damage is still very much in evidence. Everywhere, in this area called THE ZONE, there is the burdensome heritage of disaster and everything still remain in total silence. The Chernobyl accident generated unknown victims by effects, it is impossible to know how many people dead for the consequences. The issue of long-term effects of Chernobyl disaster on civilians is controversial. Over 300,000 people were resettled because of the accident; millions lived and continue to live in the contaminated area. On the other hand, most of those affected received relativel
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Che fine hanno fatto gli uomini e le donne di Chernobyl? Quella notte il personale operativo era di 176 tecnici; l’età media non superava i 27 anni. Molti di loro sono stati esposti a dosi massicce di radiazioni, altri sono stati istantaneamente disintegrati, altri ancora sono morti dopo ore ed ore d’agonia nel reparto numero sei di un centro specializzato all’ospedale di Kiev. In alcun’occasione sono stati resi ufficiali i dati a proposito dei danni subiti da migliaia di riservisti, utilizzati per decontaminare gran parte dell’Ucraina e le zone limitrofe. Tutto ciò che è stato Chernobyl ha rasentato il mito, il black-out informativo, la disputa politica, ma, principalmente, si è ostentata la massima espressione d’ipocrisia e “ragion di stato” nel corso dello strapotere sovietico. Gli effetti sulla salute umana, di breve o di lunga durata sono stati manipolati dai governi, dagli scienziati, dai medici di tutto il mondo e, vent’anni dopo il disastro, i sopravvissuti di Chernobyl sono sparsi nell’ex Unione Sovietica cedendo poco a poco a cancro, leucemie, malattie cardiovascolari.
Progettata per accogliere la più grande centrale d’energia nucleare al mondo, peculiare di tale rilevanza, Pripyat era nata come una sorta di città modello, uno di quei luoghi dove si viveva bene, piena di parchi e bambini. Una città idilliaca, almeno così la ricordano i reduci. Adam Higginbotham ha incontrato il pilota pensionato Sergei Volodin, nel foyer di un hotel a Kiev, ed è rimasto subito colpito da una medaglia appuntata sul petto, assegnatagli dal presidente ucraino nel 1996; stesso riconoscimento che, dieci anni prima, è stato riservato ai vigili del fuoco, per l’opera di spegnimento successiva alle deflagrazioni, compiuta con enormi rischi. “Una medaglia per morire” ha affermato Volodin. ” E una medaglia perché sono qui, tranquillamente vivo“.La notte del 26 aprile l’ingegner Alexander Yuvchenko, avrebbe dovuto eseguire un controllo ai sistemi di sicurezza nel reattore numero 4, valutando le capacità di raffreddamento nel nucleo, in caso di mancata propulsione elettrica. Il reattore era una struttura colossale, un RBMK di 1.000 megawatt, imbottito di combustibile d’uranio e 1.700 tonnellate di grafite disposta in 2.488 fulcri. Il sistema d’alimentazione è stato alzato e riabbassato per modulare il tasso di reazione. A protezione dalla radioattività era installato uno schermo d’acciaio di ben 500 tonnellate. Il reattore RBMK era considerato un forziere blindato, si era detto che non sussisteva alcun pericolo di radiazioni anche in caso d’incidente grave. In realtà, l’ordigno a cielo aperto era provvisto di pesanti lacune: a bassa alimentazione il sistema di verifica diventava pericolosamente instabile e difficile da controllare. Durante il test, l’apparato di
regolazione avrebbe determinato un’impennata accidentale proprio nel sistema d’alimentazione. In normali circostanze ciò non poteva definirsi pericoloso, ma quella volta il reattore era andato ben oltre i limiti di cautela, al punto che sono stati vani ben cinque sistemi di sicurezza interni; anche se, alcuni sostennero, quattro di questi sistemi erano inabilitati. Sono bastati pochi secondi, i valori di pressione dei vapori e d’alimentazione sono schizzati fuori scala, gli involucri di zirconio pieni di combustibile all’idrogeno si sono sgretolati, quel “pyatachok” di 500 tonnellate d’acciaio a proteggere tecnici ed operai dalle radiazioni, è stato semplicemente lanciato in aria. Il primo a morire fu il macchinista Valeri Khodemchuk, davanti agli occhi dell’ingegner Alexander Yuvchenko che, da undici anni, vive in un appartamento al nono piano di un palazzone a Mosca e i suoi vicini non hanno mai saputo del suo compito nella centrale di Chernobyl…
Un monolite per una dura previsione.
A Mosca, Yuvchenko cerca di recuperare le stagioni perdute e vivere giorno per giorno il tempo che gli resta. Quella notte del 26 aprile 1986 lo hanno messo su un aereo per il reparto numero sei all’ospedale di Kiev. Credeva di rimanervi per tre giorni, invece è durato un anno e “il resto della mia vita“. Fu trascinato dal suo collega verso l’uscita d’emergenza con i vestiti impregnati di vapore ed acqua di refrigerazione, mentre spalla e fianco sinistro toccavano un portello del reattore, ricoperto di polvere radioattiva. E’ stato sottoposto a sette anni di cure per le ustioni riportate, subendo vari innesti cutanei di cui ha perso il conto; braccia e spalla ora, hanno un colore rosso-violaceo. Yuvchenko ha trovato un altro lavoro presso l’Istituto Sperimentale di Fisica Teorica a Mosca; insieme alla sua compagna, ha deciso di non avere altri bambini per possibili danni al DNA. Ogni anno si sottopone a due settimane di snervanti controlli.
CHERNOBYL, UKRAINE – MARCH 24: A visitor takes photographs of a toy in an abandoned kindergarten in Chernobyl, Ukraine, on Thursday, March 24, 2011. Occasional tours give visitors a glimpse into the life that existed a quarter of a century ago.
" data-orig-size="1600,1065" title="Chernobyl: A Bleak Landscape, 25 years later" data-image-title="Chernobyl: A Bleak Landscape, 25 years later" align="left" data-orig-file="http://ilbuiooltrelasiepe.files.wordpress.com/2014/04/chernobyl_07-11.jpg" height="93" width="139" data-medium-file="http://ilbuiooltrelasiepe.files.wordpress.com/2014/04/chernobyl_07-11.jpg?w=300" alt="" data-image-meta="{"aperture":"2.8","credit":"Nikki Kahn","camera":"NIKON D700","caption":"CHERNOBYL, UKRAINE - MARCH 24: A visitor takes photographs of a toy in an abandoned kindergarten in Chernobyl, Ukraine, on Thursday, March 24, 2011. Occasional tours give visitors a glimpse into the life that existed a quarter of a century ago.","created_timestamp":"1300916396","copyright":"\u00a9 Nikki Kahn\/The Washington Post","focal_length":"20","iso":"500","shutter_speed":"0.0125","title":"Chernobyl: A Bleak Landscape, 25 years later"}" data-large-file="http://ilbuiooltrelasiepe.files.wordpress.com/2014/04/chernobyl_07-11.jpg?w=474" />Secondo un rapporto effettuato e tenuto segreto dalle autorità ucraine, delle 600.000 persone esposte ad elevati livelli radioattivi ne perirebbero circa 400.000. Alexander Yuvchenko la pensava diversamente fino a quando non è tornato a Pripyat e lì hanno cominciato a stilargli il triste elenco delle perdite. “Quelle morti sono dovute alle radiazioni?” Gli ha chiesto Adam Higginbotham. “Pur essendo un fisico non capisco nulla di statistiche, dico ai miei amici: meno penserete a quanto è accaduto, più a lungo vivrete…“
Nella città deserta nei pressi della centrale nucleare di Chernobyl, c’è una colonna sepolcrale a memoria dei caduti della seconda guerra mondiale e degli eroi dell’ex Unione Sovietica che hanno combattuto contro i Tedeschi nel 1944. Accanto si leva una strana lapide monumentale, un grande monolite, simbolo di un’umanità per metà morta e metà dimenticata, completata da tre piastre d’acciaio con lunghe iscrizioni di nomi e date. Duecento nomi sono stati aggiunti nel 2001. Poco distante i fabbricanti hanno lasciato altre lastre d’acciaio con uno spazio lungo e vuoto.
Le morti di Chernobyl hanno strane statistiche.