'Classico' è, nella sensibilità comune, un equivalente di 'tradizionale', 'canonico'. Quando si parla di un autore o di un testo del passato che ha avuto una grande risonanza in letteratura, nel pensiero o nella cultura generale, ci riferiamo in qualche modo ad un elemento sentito come autorevole. Etimologicamente, il termine ' classicus' si riferisce alla classe di cittadini più elevata; applicato agli autori, indica la percezione di un primato, di un ruolo-chiave nella storia letteraria. Nel tempo, 'classico' è diventato sinonimo di 'antico', 'tipico' e, nell'abbigliamento, di tendenze che sopravvivono a qualsiasi moda.
Ma quando ci riferiamo ad un libro, precisamente, cosa intendiamo definendolo un 'classico'?
Ebbene, nessuno avrebbe potuto rispondere in maniera più competente e brillante di Italo Calvino che, oltre che autore di primo piano nella narrativa italiana, è stato anche un critico e un teorico della letteratura. Il suo saggio Perché leggere i classici, una raccolta di articoli scritti separatamente, si apre con una premessa, anzi, con una proposta di definizione[1].
- I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: "Sto rileggendo..." e mai "Sto leggendo..."
- Si dicono classici quei libri che costituiscono una ricchezza per chi li ha letti e amati; ma costituiscono una ricchezza non minore per chi si riserba la fortuna di leggerli per la prima volta nelle condizioni migliori per gustarli.
- I classici sono libri che esercitano unʹinfluenza particolare sia quando sʹimpongono come indimenticabili, sia quando si nascondono nelle pieghe della memoria mimetizzandosi da inconscio collettivo o individuale.
- Dʹun classico ogni rilettura è una lettura di scoperta come la prima.
- Dʹun classico ogni prima lettura è in realtà una rilettura.
- Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quel che ha da dire.
- I classici sono quei libri che ci arrivano portando su di sé la traccia delle letture che hanno preceduto la nostra e dietro di sé la traccia che hanno lasciato nella cultura o nelle culture che hanno attraversato (o più semplicemente nel linguaggio o nel costume).
- Un classico è unʹopera che provoca incessantemente un pulviscolo di discorsi critici su di sé, ma continuamente se li scrolla di dosso.
- I classici sono libri che quanto più si crede di conoscerli per sentito dire, tanto più quando si leggono davvero si trovano nuovi, inaspettati, inediti
- Chiamasi classico un libro che si configura come equivalente dellʹuniverso, al pari degli antichi talismani.
- Il "tuo" classico è quello che non può esserti indifferente e che ti serve per definire te stesso in rapporto e magari in contrasto con lui.
- Un classico è un libro che viene prima di altri classici; ma chi ha letto prima gli altri e poi legge quello, riconosce subito il suo posto nella genealogia.
- È classico ciò che tende a relegare lʹattualità al rango di rumore di fondo, ma nello stesso tempo di questo rumore di fondo non può fare a meno.
- È classico ciò che persiste come rumore di fondo anche là dove lʹattualità più incompatibile fa da padrona.
Il dato di maggiore evidenza nelle definizioni di Calvino (inserite in una trattazione organica che vi invito a leggere) è, a mio avviso, la risonanza: un classico si riconosce in quanto persiste in un immaginario pregresso e, nel momento in cui viene conosciuto, si carica di nuovi significati che cambiano a seconda delle esperienze personali e del tempo in cui si colloca il lettore. Possiamo sorprenderci a riconoscere in un classico che leggiamo per la prima volta un pensiero che abitava giò nella nostra mente e sentirci come stupiti di questo nuovo incontro (che è un po'la sensazione del Sublime):
"Non necessariamente il classico ci insegna qualcosa che non sapevamo; alle volte vi scopriamo qualcosa che avevamo sempre saputo (o creduto di sapere) ma non sapevamo che lʹaveva detto lui per primo [...] E anche questa è una sorpresa che dà molta soddisfazione, come sempre la scoperta dʹuna origine, dʹuna relazione, dʹuna appartenenza" (cit. pag. 9).
Nel nostro dialogo con l'opera, possiamo individuare un senso che scaturisce dalla nostra sensibilità oppure che era già insito nelle intenzioni dell'autore. Nella rilettura possiamo scoprire particolari del tutto nuovi, che si svelano perché è cambiato il nostro punto di osservazione, la prospettiva attraverso la quale scorriamo le parole. Insomma, il classico è ciò che, anche se lontano del tempo, non smette mai di comunicare con noi, senza per questo imporsi prepotentemente rispetto al moderno e al contemporaneo, anzi, rimarcando quanto anche l'attualità e il progresso servano ad alimentare un rumore di fondo che non disturba ma arricchisce quella stessa comunicazione.
Questa comunicazione, tuttavia, deve avere come premessa una passione, una ricerca spontanea e disinteressata, perché la 'scintilla' deve scoccare da sola, non può essere forzata. Bando all'affanno del dover leggere, alla vergogna del non aver letto un determinato titolo: "È solo nelle letture disinteressate che può accadere dʹimbatterti nel libro che diventa il 'tuo' libro".
Leggere un classico, dunque, non è né indispensabile né imprescindibile, anzi, in chiusura al suo intervento, Calvino suggerisce che l'unica, vera ragione per leggere i classici vada oltre (perché, evidentemente, le riassume tutte) le sue quattordici note: "La sola ragione che si può addurre è che leggere i classici è meglio che non leggere i classici".
La comunicazione, la cultura, l'esperienza non sono mai eccessive, sceglierle non è una fatica vana, perché una conoscenza in più è sempre una dote, anche se non sfruttabile nella pratica, anche se non numericamente quantificabile. Ecco perché Calvino chiude la sua proposta di definizione citando Emil Cioran:
"Mentre veniva preparata la cicuta, Socrate stava imparando unʹaria sul flauto. "A cosa ti servirà?" gli fu chiesto. "A sapere questʹaria prima di morire"".
NOTE:
[1] Il capitolo di apertura del libro è costituito dall'articolo Italiani, vi esorto ai classici, pubblicato su L'Espresso il 28 giugno 1981 (pp. 58-68).