In Thailandia sta accadendo uno scontro civile tra i sostenitori dell’ex premier politico Thaksin Shinawatra e l’attuale governo in carica rappresentato dal Partito Democratico. Chi è o chi era Thaksin Shinawatra? La sua figura oscilla tra un ricco e corrotto imprenditore che si è arricchito sembra anche grazie al suo potere politico ed un benefattore che ha dato con il suo modo di porsi e la sua capacità comunicativa speranza a una parte del popolo, quella meno istruita e preparata, di potere vedere la trasformazione dell’attuale sistema politico vigente in Thailandia e che effettivamente comincia ad essere visto come troppo restrittivo ed antiquato.
L’originario populismo di Thaksin si è in altre parole evoluto oltre le probabili intenzioni iniziali dello stesso leader, ora in esilio e verso il quale sta per essere emanato un bando di cattura con l’accusa di terrorismo e di incitazione alla ribellione in patria.
Attualmente la Thailandia, che significa la terra degli uomini liberi, anticamente denominata Siam, è sorretta da un regime monarchico di tipo costituzionale con una forte presenza dinastica che una parte sempre più considerevole del popolo vorrebbe vedere trasformato in una monarchia di tipo maggiormente rappresentativa e democratica, più conforme alla cultura dei paesi occidentali. Essa confina con il Laos, la Birmania, la Cambogia e la Malaysia, ma con questi paesi non ha mai condiviso la loro partecipata influenza occidentale durante il periodo della colonizzazione europea.
Il governo tailandese ha svalutato il baht del 20 percento, “dopo dieci anni segnati da un deficit di conto corrente in crescita e dal totale esaurimento delle riserve ufficiali. Questa data può essere considerata come l’inizio dello scompiglio in Asia. Il rapido deprezzamento causato dal panico degli investitori incrementerà il peso delle passività in valuta estera per le istituzioni finanziarie e ad agosto ben 56 andranno in bancarotta, anche se va sottolineato che molte di esse erano in condizioni insostenibili ben prima della tempesta valutaria.” (articolo ansa)
E’ questa la premessa che va posta in essere se si vuole comprendere quello che sta accadendo in questa parte dell’Asia, così vicina alla Cina eppure così diversa nel comune sentire, soprattutto a causa della sua religione dominante, il Buddismo, fortemente osteggiata proprio in quanto religione dal regime cinese e che non per nulla è causa di incompatibilità tra la Cina stessa e il Tibet, con cui invece la Thailandia ha grandi affinità. La rivolta delle camicie rosse , ossia il movimento favorevole al ritorno dell’antico premier che fu rovesciato nel 2006 con un colpo di stato da parte delle forze armate guidate dall’opposizione, ormai sta volgendo per ora al termine; oltre 80 morti dall’inizio degli scontri (numero ancora da confermare), un numero impreciso di feriti (comunque varie centinaia), numerosi edifici dati alle fiamme nel centro di Bangkok, innumerevoli gli arresti….ed una situazione di piazza ancora critica e di non facile riassestamento.
Sia l’attuale governo che quello precedente di Thaksin sono stati accusati di corruzione e di brogli elettorali…
E’ in questi accadimenti che ha trovato improvvisamente la morte il nostro fotoreporter Fabio Polenghi, milanese, quarantacinque anni ed ormai stabilitosi in Thailandia negli ultimi anni di lavoro. Ottima persona, reporter fotografico nei luoghi di guerra di grande rispetto, si è trovato, come si suol dire, nel posto sbagliato al momento sbagliato e a nulla è valso l’intervento immediato che ha cercato di condurlo in ospedale dove purtroppo è arrivato già privo di vita.
Alla fonte di tutto questo disagio che rischia di travolgere l’economia di tutto l’est asiatico e non solo (vedasi lo stesso problema costituito dalla crisi greca nello scenario europeo) sta una banale questione di cattiva politica, come si diceva di corruzione e di conflitti di interesse mai risolti; la questione etica ritorna come sempre alla ribalta, vuoi per gli scandali di varia natura in cui inceppano come burattini mal coordinati e poco autonomi i nostri leaders politici, vuoi per l’effettiva incapacità del tessuto sociale e della varie rappresentanze politiche di imporre un proprio vigoroso e credibile stile d’azione e di intervento riformatore…