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Cosa succede in Europa?

Creato il 21 settembre 2010 da Andima
In Olanda il partito della libertà di Wilders, spudoratamente intollerante verso gli immigrati, macina consensi in un paese dove la presenza di comunità musulmane raggiunge il 5.6%. In Belgio il partito nazionalista ha vinto le ultime elezioni e gioca un ruolo chiave nella lenta formazione del nuovo governo in un paese in cui le masse migratorie hanno già creato più di uno squilibrio e la società spesso reagisce in modo abbastanza simile alla nostra Lega, basti pensare al recentissimo caso di discriminazione nella scuola di Lokeren in cui si son divisi gli studenti belgi da quelli stranieri, in qualcosa già etichettata come nuova apartheid. In Svezia il partito nazionalista del giovane Akesson è entrato per la prima volta a far parte del governo e basta guardare uno degli spot elettorali per capire gli umori che ne hanno sostenuto l'ascesa: il capitale statale destinato al welfare diminuisce senza sosta mentre lo sportello dedicato alle pensioni e quello dedicato agli immigrati ne contano le spese fin quando rimane un ultimo budget ed ecco una signora anziana svedese camminare lenta per ottenerlo mentre donne musulmane (in burqa) corrono veloci per assicurarsi gli aiuti. In Finlandia, Danimarca, Ungheria e Romania partiti nazionalisti acquistano potere forti di propagande populiste, anticipando quello che altrove è già una realtà governativa. In Italia la destra maggioritaria è da anni costretta ad allearsi con la Lega per mantenere una stabilità governante e basta ascoltare qualche comizio di Bossi, Borghezio e Maroni per riassumere le volontà razziste e xenofobe del partito. Cosa succede in Europa?

Le parti politiche incamerano da sempre umori della gente che esprime la propria approvazione attraverso il voto ma che si lascia soprattutto ammaliare da propagande e parole quando si gioca con paure, incertezze e statistiche spesso abilmente pubblicizzate. Così flussi migratori vengono facilmente associati ad aumenti di criminalità, disoccupazione, degrado sociale, riassumibili nel timore del diverso, dello straniero, a maggior ragione quando sono tante le caratteristiche differenti, come la religione, l'apparenza, il colore della pelle. E se magari non è esattamente una fotografia della realtà ma giochi propagandistici di pochi per raccogliere consensi e ottenere maggior potere, è sicuramente una fotografia delle paure della gente, del bisogno di stabilità che mal si accosta alla venuta di grosse comunità straniere (specialmente quando i media hanno reso comuni associazioni tanto banali quanto imbarazzanti come quelle con il terrorismo).
Quello che certamente non si può negare è la presenza di un cambiamento, in grossa scala, della società europea. Le ondate migratorie possono sicuramente cambiare gli equilibri interni di un paese (o di un continente) ma la bravura di un governo dovrebbe essere nel trovare nuovi equilibri, nell'adattarsi ai cambiamenti aggiornando il sistema e gli approcci e non nell'opporsi a tutti i costi cercando di mantenere le logiche preesistenti congelandosi nel tempo e rifiutando mutamenti sociali che inevitabilmente dovranno affrontare ad ogni modo nel futuro prossimo. Chiudere gli occhi di fronte alla realtà e cercare di isolarsi o quanto meno rifiutare le evoluzioni del proprio paese andrebbe contro una delle proprietà basiche della natura: la dinamicità. E se quel bisogno di stabilità diviene la forza di questi nuovi movimenti politici, le conseguenza non sembrano affatto felici, perché rifiuto e proibizionismo, discriminazione e isolamento non aiutano certamente il cambiamento, non favoriscono la integrazione degli ultimi arrivati e fomentano quegli umori in molti assopiti (ma di facile risveglio) d'odio e razzismo, scacciando uno dei principali elementi nella crescita e nel miglioramento di una società: la diversità.

Insomma, l'Europa sta cambiando ed è qualcosa di storicamente normale. Vogliamo chiuderci, preservare la nostra razza e proteggerci da contaminazioni e cambiamenti, erigere mura intorno ai nostri confini e pretendere che chiunque entri si adatti di colpo, indiscutibilmente, fin a cambiare il colore dei capelli? Non sarebbe meglio prender coscienza del cambiamento, favorire l'integrazione ma contemporaneamente adattarci anche noi (e non soltanto pretendere), senza degenerare in sentimenti razzismi e xenofobi? Ci vorrà tempo, sicuramente, e magari non sarà qualcosa di semplice ma insieme si può. Accusare, gridare ed odiare è davvero facile e inconcludente, sappiamo fare di meglio.

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