Consiglio a chi non avesse ancora fatto rientro di non avventurarsi tra queste righe: il mood non è dei più roseei. Tornare in città dalle vacanze è nota dolente sin dalle scuole elementari. L’ansia di non essere in pari è la stessa: niente compiti delle vacanze, ma in generale si tende a lavorare distrattamente fin da inizio luglio, passando all’incirca un mese a immaginare i dettagli estivi fregandosene altamente di quello che accade in ufficio. Il decadimento del mio rendimento prima delle vacanze è tale che a fine agosto non si tratta solo di ricominciare, ma di recuperare un mese di lavori fatti col culo.
Anche la voglia di incrociare i soliti volti tra i corridoi è la stessa che si nutre all’idea di rivedere i miei compagni di classe. Allora come adesso, il mantra è “fottesega delle tue vacanze”. Non ci interessa dove sei stato, con chi, se in villaggio si mangiava bene o male, se a Sharm si stava benissimo nonostante a 100 km fosse in corso una guerra civile, se sei abbronzato perché hai mangiato tante carote e pomodori o se il tuo road-trip ti ha fatto dimagrire. L’apice del fottesega arriva quando i colleghi accennano anche a mostrarti qualche foto – di cibo o bambini, ovviamente – e tu sei lì che annuisci mentre non puoi fare a meno di notare che il fritto misto si è inevitabilmente depositato sulle cosce della tua collega.
Almeno, a scuola si aveva la certezza che per il primo paio di settimane il ritmo sarebbe stato lento come quello di una canzone degli XX. Al lavoro, invece, inspiegabilmente c’è gente che ritorna carica come una miccia pronta a esplodere e pretende che tu viaggi alla stessa velocità. Ora, non so voi, ma io vacanza sono abituata a svegliarmi non prima di mezzogiorno, a passare in posizione orizzontale le restanti ore trascorse in spiaggia, a fare docce chilometriche e cene interminabili e ricominciare da capo il giorno dopo. Quindi, se ritorno leggermente rincoglionita al lavoro non è questione di pigrizia, ma di metabolismo, di bioritmo, di deficit, proprio come quel fatto che la cellulite è una malattia. Non se ne può farsene una colpa.
Ma quest’anno, grazie al cielo, ho avuto qualche giorno per ripigliarmi e essere l’unica in ufficio: una volta fatta la figa a luglio, squagliandomela prima di tutti, sono rientrata anche in anticipo rispetto a tutti gli altri colleghi. Ora immaginatevi un ufficio enorme, solitamente abitato da svariate decine di persone, completamente vuoto. Immaginatevi tutto questo quando il giorno prima eravate al mare. Immaginatevi anche di dover cambiare da soli il boccione dell’acqua, di dipendere per le chiavi dal padre del portinaio (perché anche il portinaio è in ferie) e di essere, in sostanza, l’unica in tutto il palazzo fatta eccezione per qualche dog-sitter filippina.
Tutto sommato, comunque, sospetto sia meglio che arrivare la prima mattina in ufficio e da subito essere risucchiata nel tunnel sopra citato delle gare all’abbronzatura più intensa, del luogo meglio scelto, delle febbri dei bambini a Ferragosto e dei rimorchi al Blu Bay a San Lorenzo. Non so voi, ma sono rientrata da una settimana e mi sembra già un anno.
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Il post Cose che non avremmo mai dovuto affrontare: il rientro dalle vacanze, scritto da Chiara Ferraglia, appartiene al blog Così è (se vi pare).