Cose Nostre - Malavita

Creato il 24 ottobre 2013 da Mattia Allegrucci @Mattia_Alle
Una famiglia di ex-mafiosi si ritrova in Norvegia per nascondersi dai loro ex-compagni che li vogliono morti. Il capo famiglia è Robert De Niro, manco a dirlo, che sulla figura del gangster ci costruì mezza carriera. A produrre la pellicola c'è Martin Scorsese, così tanto perché si cita casualmente Quei Bravi Ragazzi nel bel mezzo del secondo tempo. A concludere il terzetto c'è, direttamente da Scarface, la femme fatale Michelle Pfeiffer, che ancora riesce a fare a gara con le ventenni fresche e giovani (leggi Dianna Argon, che interpreta la primogenita) per eleganza, attrazione e bravura. Il tridente principale funziona perfettamente, con inevitabili e voluti ammiccamenti al pubblico che assieme a De Niro e ai Goodfellas c'è cresciuto e che è andato al cinema tanto per ricordare i bei vecchi tempi in compagnia di questi tre bravi ragazzi dei tempi passati, dato che il "si stava meglio quando si stava peggio" va tanto di moda ai giorni nostri (La saga RED con Willis e Malkovich e i Mercenari di Stallone, tanto per citarne un paio). Tutto il comparto nostalgico, supportato da dialoghi spigliati e sostenuti da un buon ritmo e da tempi comici azzeccatissimi, funziona benissimo e ci si appassiona alla storia che l'improvvisato scrittore Fred Blake, al secolo Giovanni Manzoni (non a caso), vuole raccontare a tutto il mondo tanto perché si sappia la verità. C'è però un piccolo problema che inizia a subentrare e ad infastidire ad un certo punto della pellicola, che porta il nome di Luc Besson. Sceneggiatore assieme a Michael Caleo dello script ispirato al romanzo di Tonino Benacquista, come regista l'autore parigino non riesce ad ingranare sempre la marcia giusta e purtroppo appesantisce la fruizione del film utilizzando più e più volte le stesse idee di regia, facendo in modo che lo spettatore inizi a provare un leggero fastidio nel rivedere sempre gli stessi escamotage sullo schermo, che fanno ridere la prima, la seconda, e pure la terza volta, ma alla quarta stancato inevitabilmente. Quando poi il buon Besson smette di raccontare la nostalgia di Manzoni e inizia a inserire dei telefonatissimi cliché perché altrimenti l'azione non sarebbe mai partita, il pubblico inizia a muoversi sulla poltrona e l'attenzione comincia ad andarsene un po' altrove. Ed è un vero peccato che l'ultima parte, che dovrebbe essere la più emozionante e adrenalinica dell'intero film, venga appesantita da una regia fastidiosa e scontata, dalla quale l'enfasi del momento non viene mai catturata e che preferisce sfruttare il prevedibile gioco del ralenti, che non evidenzia l'emozione del momento ma che permette ad una cinquantacinquenne quale la Pfeiffer di gattonare con un coltellaccio in mano fino ad uno dei loro sicari. La Normandia, poi, dovrebbe fare causa al regista per la terribile rappresentazione che è stata fatta di lei: un popolo di contadinotti brutti (inteso sia per gli uomini che per le donne, non ce n'è uno che non abbia dei brufoli addosso o un paio di occhialoni da secchione o che so io) dove il più bello (o, se preferite, interessante) viene dipinto come un egoista insensibile. Se qualcuno di questi personaggi secondari rappresentanti della campagna nord-europea fosse stato esteticamente più attraente il risultato del divertimento non sarebbe cambiato e il messaggio pro-America si sarebbe potuto evitare senza passare per il solito paragone estetico "americano è meglio". Ma alla fine ci si diverte e tutta la prima parte scorre piacevolmente, prima di un lento calo di voglia di raccontare da parte di Besson e, di conseguenza, di interesse da parte dello spettatore.


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