Alla fine la partita tra la Russia e il binomio Europa – Usa per l’influenza sull’Ucraina si è rivelata per quello che realmente era: un braccio di ferro tra le grandi potenze per il controllo del Mar Nero. Dalle manifestazioni di piazza di novembre, poi degenerate nei sanguinosi scontri di febbraio e culminati con la defenestrazione del presidente Yanukovich, siamo arrivati all’occupazione militare della Crimea da parte di Mosca, evento che ha scatenato le ire (e a breve anche le ritorsioni) delle cancellerie di Bruxelles e Washington. Con l’epicentro della crisi spostato dalla capitale ucraina alla sua penisola più a sud, per alcuni giorni si è parlato di una riedizione della Guerra Fredda, se non addirittura di una Terza guerra mondiale proprio nel centenario della Prima. La Russia ha infatti dimostrato le proprie capacità di effettuare operazioni militari veloci e coordinate oltre i suoi confini, come già avvenuto in occasione della guerra con la Georgia nel 2008.
Crimea, appunto. Più che una penisola, una quasi-isola, ponte fra Europa e Caucaso, protesa nel Mar Nero. E’ unita all’Ucraina attraverso l’istmo di Perekop, ma allo stesso tempo è vicinissima al territorio della Federazione russa, da cui la separa solo lo stretto di Kerch. In questi giorni si parla della possibile costruzione di un ponte che annulli tale distanza. Per gran parte della popolazione (il 58% è russofono), tra i due collegamenti con la terraferma sarebbe quest’ultimo quello naturale, e l’altro quello artificiale. Fu annessa dalla zarina Caterina II nel 1783 e divenne punto avanzato d’influenza su Balcani e Mediterraneo, cosa che è ancora oggi: qui ha sede la base navale di Sebastopoli, porta verso il Mediterraneo e i mari del Sud. Narra una leggenda che Nikita Krusciov, che nel 1954 decise di donarla a Kiev per commemorare i 300 anni del Trattato di Perislav (che formalizzava l’annessione dell’Ucraina all’impero zarista)compì tale gesto da ubriaco; oggi, invece, impressiona la lucidità con cui Vladimir Putin sta cercando di riprendersela. Ma come è avvenuta, in concreto, la campagna di Crimea?
Cronaca di un’invasione
Dai contractor della sicurezza privata che lavorano per la marina russa a unità di spetnaz, le forze speciali russe, o della flotta del Mar Nero o addirittura del Gru, i servizi segreti militari russi, l’intelligence più grande e misteriosa del Paese, sono diversi i mezzi non convenzionali utilizzati dal Cremlino per non sporcarsi le mani direttamente.
Quando il 1° marzo il Consiglio Federale russo ha approvato all’unanimità una richiesta del presidente russo di impiegare militari sul territorio ucraino “per difendere le popolazioni russofone”, in attesa della normalizzazione della situazione sociale e politica a Kiev, l’operazione era già in corso. Non dalla base di Sebastopoli e dai due aeroporti che ospitano navi e velivoli della flotta del Mar Nero, che comprendono una guarnigione di circa 26 mila militari ma i cui movimenti sono però ufficialmente limitati dagli accordi tra Mosca e Kiev ai dintorni delle basi. In realtà, si è trattata di un’occupazione militare strisciante, senza le colonne di carri armati e blindati, ma con la penetrazione di truppe scelte verso obiettivi strategici dal punto di vista politico e militare.
Il 27 febbraio, alcuni gruppi paramilitari che si autodefiniscono forze di autodifesa pro-russe, occupano la sede del governo ed il Palazzo del Parlamento della Repubblica autonoma di Crimea senza sparare un solo colpo. Da più parti si accusa Mosca del loro invio, eppure gli uomini armati, ripresi dai media di tutto il mondo, e che in poco tempo prendono possesso dei centri nevralgici della penisola, indossano uniformi differenti da quelle dell’esercito russo e soprattutto senza mostrine né gradi. Si tratta di forze speciali inquadrate nei reparti Spetsnaz, milizie esperte nel creare confusione e caos nel quadro di un’offensiva psicologica, anticamera dell’occupazione vera e propria.
Le forze sul campo (16 mila uomini in tutto) lanciano allora un’operazione di acquisizione coordinata di siti alcuni chiave, compresi gli aeroporti, gli uffici pubblici, le stazioni televisive e le due rotte terrestri che collegano Crimea al resto dell’Ucraina, tanto che il presidente ad interim ucraino Oleksander Turchinov ha affermato che il Paese è stato invaso dalla Russia. Nel contempo, qualcuno provvede a sabotare le centrali dell’Ukrtelecom, l’operatore telefonico e internet della penisola. Secondo il quotidiano inglese Daily Beast, le truppe apparterrebbero all’agenzia di sicurezza Vnevedomstvenaya Okhrana, una società privata che opera per conto del ministero dell’Interno russo. Con gli aeroporti sotto il controllo delle unità, Mosca può inviare rinforzi per via aerea. Il 28 febbraio, infatti, il portavoce della presidenza ucraina Sergey Kunitsyn denuncia che 13 aerei da trasporto, atterrano nella base di Gvardeyskoye, vicino Sinferopoli, sbarcando circa 2.000 soldati russi, e le autorità di controllo aereo ucraine segnalano l’atterraggio in Crimea di otto aerei da trasporto.
La presenza militare russa comincia a farsi palese. Nella giornata del 7 marzo, la Russia avvia alcune esercitazioni militari aeree su larga scala a Kapustin Yar, a circa 450 chilometri dal confine con l’Ucraina. I militari russi avviano l’installazione in Crimea di sistemi di difesa aerea. In serata, unità russe fanno irruzione in una base dell’esercito ucraino a Sebastopoli, sede dell’unità A2355; si ritireranno poche ore dopo. Intanto, gli osservatori dell’Osce vengono ripetutamente respinti al posto di frontiera con la Crimea da uomini armati non identificati.
Il giorno seguente, il Servizio delle Guardie di Frontiera dell’Ucraina denuncia che truppe russe hanno assalito nella notte una delle postazioni di vigilanza in Crimea, mettendo in fuga le guardie. In mattinata, una colonna motorizzata formata da una cinquantina di camion pesanti, con a bordo centinaia di soldati russi, entra in una base militare a Zuya, a una decina di chilometri da Simferopoli. Un giornalista di Associated Press in Crimea segue un altro convoglio militare da 40 chilometri a ovest di Feodosia sino a una base aerea militare a Gvardeiskoe, a nord di Simferopoli, su cui sventolava una bandiera russa. Alcune targhe dei mezzi sono russe. Sarà Alcune migliaia di filorussi hanno manifestato oggi a Donetsk e Kharkiv, nella russofona Ucraina orientale, chiedendo l’annessione a Mosca.
Il 9 marzo, la tensione sale alle stelle davanti alla caserma della Marina ucraina in viale Karl Marx a Simferopoli, dove è in corso un lungo braccio di ferro tra soldati filo-ucraini, che rifiutano di consegnare le armi, e i miliziani filo-russi. Prosegue intanto l’avanzata di questi ultimi: con l’occupazione della base di Chornomorske, le basi militari controllate dall’esercito russo in Crimea salgono a undici. Occupati anche l’aeroporto militare di Saki e la strada che porta alla base di Novofedorovce, azioni che consentono alle forze russe di assicurarsi l’invio e il posizionamento di ulteriori truppe nella penisola. Nella serata del 10 marzo, un gruppo di uomini armati penetra nella torre di controllo dell’aeroporto di Sinferopoli. L’occupazione della Crimea è pressoché totale.
Dove vuole arrivare Putin
La prospettiva di un avvicinamento di Kiev all’Occidente, dopo il recente cambio di governo in Ucraina, ha convinto la Russia a gettarsi nella mischia. La tattica è stata sottile, e si è dispiegata attraverso l’ausilio di forze “anonime”, senza insegne né mostrine che le riconducessero a Mosca, in attesa che il Parlamento russo concedesse il via libera all’invio di quelle regolari. Il cui compito era tenere la Crimea “in caldo” fino alla data del referendum (inizialmente prevista per maggio, poi anticipata al 30 marzo e infine ulteriormente avvicinata a due settimane prima, al 16) che ne ha ratificato il distacco da Kiev.
Sono essenzialmente tre le ragioni che hanno spinto i russi a questo colpo di mano. La prima, e più immediata, è la conservazione della base navale di Sebastopoli. Per dimensioni e infrastrutture, questa non sarebbe rimpiazzabile in breve tempo da altri porti russi sul Mar Nero (Sochi o Novorossysk) che richiederebbero lunghi e costosi lavori per poter essere attrezzati come la base in Crimea. Sebastopoli è l’unica porta d’accesso alle acque del Sud e l’unico collegamento possibile col porto di Tartus, in Siria, unico avamposto della flotta russa nel Mediterraneo nonché canale di rifornimento per le truppe fedeli ad Assad.
Il secondo è di carattere interno: la Crimea è carica di valori simbolici per il nazionalismo russo. Fu infatti il luogo dove si combattè la famosa guerra che nel 1850 impegnò Mosca contro la Francia e gli imperi Ottomano e Britannico. Sebbene la Russia perse la battaglia, il coraggio dei suoi soldati è ancora motivo di orgoglio per il suo popolo. Salvo imprevisti, possiamo aspettarci che Putin ritrovi una grande popolarità nel suo Paese.
Il terzo è che la Russia si sente libera di agire perché non ha più paura dell’Occidente: non lo considera più un alleato chiave – con tutto il carico di ambiguità che questo legame comporta – e, in più i “successi” collezionati da Putin nel corso del 2013, come l’accordo per il disarmo dell’arsenale chimico della Siria, hanno apparentemente incrementato il suo prestigio nei grandi consessi internazionali. In realtà, la forza di Putin nasconde le fragilità della Russia. Inoltre, la rottura con l’Occidente spingerà la Russia nelle mani della Cina, un alleato molto ingombrante che potrebbe danneggiare gli stessi interessi russi, soprattutto in Siberia.
Da che parte andrà la Crimea
I recenti fatti di Crimea devono essere collegati al lungo, difficile e spesso incoerente processo di transizione di Kiev. Fin dall’indipendenza nel 1991 fu chiaro che la stabilità politica della neonata repubblica postsovietica sarebbe passata dalla ridefinizione dei rapporti tra centro e periferia, con particolare attenzione alle regioni sudorientali. Bisognava dare un’identità comune a tutti coloro che abitavano in Ucraina: russi, ucraini o tatari che fossero. Ed è principalmente attorno alle identità che le polarizzazioni messe in campo dai vari soggetti geopolitici, talvolta alimentate sottotraccia da ingerenze straniere, si son sviluppate infiammando le tensioni etniche nella penisola e i rapporti col governo di Kiev. Per questo e per tutta un’altra serie di motivi – la posizione strategica, lo status di Repubblica Autonoma – la Crimea è sempre stata la realtà regionale più turbolenta all’interno della fragile nazione ucraina.
E’ difficile che si arrivi ad un confronto armato vero e proprio. La guerra avrebbe dei costi umani molto alti, e le tutte le potenze in gioco, Russia compresa, sono consapevoli dei rischi che si corre a non agire in direzione della concreta risoluzione delle tensioni. Uno dei motivi dell’ottimismo è che le parti in causa sono in stretto contatto tra di loro sin dall’inizio della crisi, pur continuando a scambiarsi pesanti accuse e duri moniti. Aver mantenuto bassa l’intensità del conflitto ed aver smorzato il rischio di una guerra civile è indubbiamente un grande merito dei vari attori coinvolti nella questione.
Quello che sembra profilarsi è tuttavia una balcanizzazione dell’Ucraina con lo smembramento dei suoi territori lungo le direttrici della composizione etnico linguistiche e culturali della sua popolazione. Come sta avvenendo questo processo, è motivo di inquietudine per tutte le diplomazie occidentali; come si concluderà, è l’argomento del braccio di ferro, in questa nuova Guerra Fredda, mai come oggi così calda.
* Articolo originariamente comparso su The Fielder