“Più bravi di Boskov sono quelli che stanno sopra di lui in classifica”
V. Boskov
Epico allenatore che guidò l’incredibile Sampdoria di Vialli e Mancini fra gli anni ottanta e novanta facendole vincere tutto quello che i genovesi non avevano mai vinto nella loro storia, pochi giorni fa, il 27 aprile 2014 ad 82 anni, ci ha lasciati Vujadin Boskov (classe 1931) e tutto il calcio europeo ne piange le gesta. Gesta immense di un uomo che prima di diventare la leggenda che è giocò da ragazzo per tutti gli anni ‘50 come mezzala nelle file bianco- rosse del Vojvodina, squadra serba di Novi Sad, città nel quale crebbe come calciatore facendosi le ossa per lo più in un campionato di medio-basso livello come quello jugoslavo, dominato principalmente da Stella Rossa e Partizan Belgrado. Fiutò però l’occasione di uscire dalla stretta Novi Sad ed andare a giocarsi la faccia in Italia, con la Sampdoria nella stagione 1961-62 senza però trovare il consenso del caldo pubblico italiano, concludendo poi la sua avventura calcistica con gli svizzeri dello Young Boys. E’ il 1964 e alle spalle una carriera senza troppe glorie in cui spicca però una medaglia d’argento alle Olimpiadi di Helsinki del ’52 dove la sua Jugoslavia venne sconfitta in finale dall’Ungheria di Puskas (clicca qui per leggere la sua storia) e due competizioni mondiali, quelle di Svizzera ’54 e Svezia ’58. In entrambe le edizioni la sua nazionale venne fermata ai quarti dalla Germania Ovest. La sua carriera da allenatore iniziò proprio con il club svizzero nel quale giocò pochi mesi prima, per poi passare dal ’64 al ’71 ad allenare un’altra ex squadra, la sua Vojvodina, legato profondamente alla sua amata Novi Sad che lo formò nel calcio giocato. Dopo un paio d’anni alle redini della nazionale jugoslava ecco il primo successo da tecnico: la Coppa d’Olanda del 1975 vinta contro il Twente per 1-0 quando guidava i cigni del Den Haag. “Squadra che vince non si cambia”.
Ed invece si perché molti furono i club in cui il grande Boskov sedette in panchina. Dal Feyenoord al Real Saragozza, dal Real Saragozza al Real Madrid. E proprio con i blancos Vujadin anellò una serie di conquiste ed anche delusioni, a cominciare da una Coppa di Spagna nel 1979 (6-1 al Castilla), una Liga nel 1980 (la ventesima nella storia del Real) e un’altra coppa nel 1982 (2-1 allo Sporting Gijon, squadra che allenerà successivamente). Nel mezzo di questi successi una finale di Coppa Campioni persa nel 1981 a Parigi contro un irripetibile Liverpool, poco prima che le squadre inglesi dovettero lasciare le competizioni europee per qualche anno a seguito della storica decisione del ministro Thatcher. Il merito di Boskov nei 3 anni a Madrid fu quello di aver valorizzato ottimi giocatori quali Camacho, Santillana ed il grande Del Bosque che poi, da allenatore, superò il maestro Boskov in termini di vittorie con due Coppe dei Campioni, un Mondiale ed un Europeo in cassaforte. “L’allenatore deve essere allo stesso tempo maestro, amico e poliziotto”. Con l’uscita di scena alla guida dello Sporting Gijon, Boskov lasciò la Spagna e partì come un conquistatore per l’Italia. Fu l’Ascoli a chiamarlo per ritrovare, dopo la retrocessione dell’anno prima, la Serie A nella stagione ’85-‘86. Ed il serbo ci riuscì alla grande perché i bianconeri arrivarono al primo posto in B. La cavalcata selvaggia ad Ascoli convinse il patron Mantovani della Sampdoria a chiamarlo sotto le sue braccia e i suoi assegni, pronto a fare dei suoi giovani giocatori una squadra che potesse tener testa alla Juve, alla Roma, all’Inter, al Milan e al sempre più forte Napoli di Maradona. Con giovani campioni quali Mancini, Vialli, Pari e Mannini ed innesti straordinari come Cerezo e Briegel la Sampdoria vinse nel 1988 la Coppa Italia battendo in finale il Torino di Radice, successo italiano bissato anche l’anno seguente con la sconfitta del Napoli di Maradona e Careca. Poi fu il 1990 l’anno mirabile del calcio italiano. Al Milan di Sacchi andò la Coppa Campioni, alla Juventus la Coppa Uefa e alla Samp del grande Boskov la Coppa delle Coppe a Goteborg contro l’Anderlecht, vinta ai tempi supplementari 2-0 con doppietta di Vialli (“Un 2-0 è un 2-0 e quando fai 2-0 vinci”), rifacendosi alla grande della sconfitta subita un anno prima nella finale a Berna della medesima competizione contro il Barcellona di Cruijff.
Ma fu l’anno dopo, il ’91, il momento più bello dei tifosi genovesi: lo storico e sensazionale Scudetto che, prima o poi, sarebbe arrivato. Mancini e Vialli erano sempre più Pulici e Graziani, in difesa un muro con Vierchwood e poi grandi professionisti come Katanec, Lombardo, Pagliuca. Insomma una vera squadra d’acciaio che superò il Milan degli olandesi e l’Inter dei tedeschi.
Vujadin era ormai diventato il Cristoforo Colombo dei doriani, colui che portò la caravella doriana verso approdi paradisiaci. E ci arrivò per poco al alla Rosa Dantesca l’anno dopo, nel 1992 quando perse sfortunatamente la finale di Coppa Campioni contro i blaugrana, ancora una seconda volta dopo la gara di Coppa delle Coppe tre anni prima. Una punizione luciferina di Koeman allo scadere del secondo tempo supplementare portò il Barcellona di Laudrup (clicca qui per leggere la sua storia) e compagni sul tetto d’Europa. “Chi non tira in porta non segna” fu il suo ipse dixit. Alla Samp la magra consolazione di averci provato. Boskov concluse così la sua carriera a Genova, con una grande delusione alle cui spalle però c’è l’affetto ancora oggi dimostrato dagli striscioni che in tutti gli stadi vengono appesi in suo onore, l’onore di aver fatto vincere fra gli anni ottanta e novanta una squadra neanche cinquantenne come quella doriana Successivamente fu la volta di altre formazioni: la Roma nel quale fece esordire un giovanissimo Totti nella stagione 1992-93, il Napoli, il Servette. Poi un ritorno a Genova 5 anni dopo per una sola stagione, quella del ’97-’98 in cui militava lo scoppiettante Montella. Il Perugia di Gaucci e la nazionale jugoslava i suoi ultimi approdi.“Se mettessi in fila tutte le panchine che ho occupato, potrei camminare chilometri senza toccare terra”. Ed ora il grande Boskov sulla terra non ci cammina più, ha deciso di lasciarci dopo una lunga malattia. Il 16 maggio avrebbe compiuto 83 anni, anni straordinari, anni bellissimi, anni che hanno lasciato tracce indelebili nel calcio, soprattutto quello nostro italiano. Genova gli deve una riconoscenza senza fine e se, come diceva Boskov, si perché Vujadin sembrava che allenasse i giocatori suoi per aforismi anziché per consigli tattici, “Rigore è quando arbitro fischia” questa volta, Vujadin, l’arbitro ha fischiato ed è il tuo momento. Alzati dalla panchina, togliti la giacca scura da allenatore, mettiti i tacchetti e calcialo, segnalo e facci vincere di nuovo come hai sempre fatto per tutta la vita.