22 agosto 2013 Lascia un commento
L’ex moglie che quindici anni dopo la scomparsa del celebre marito scrive un memoriale, mi puzza troppo di espediente per raccattare un po’ di soldi sfruttando il ricordo di chi non ha piu’ modo di difendersi e controbattere, senza considerare poi che e’ incredibile a quanti emeriti sconosciuti si lasci fare letteratura col solo titolo di avere un passato.
Il ghostwriter e’ sempre in agguato e trovo che usarlo sia un’infamia alla pari delle menzogna. Non penso che le cose siano andate cosi’ ma pur non escludendo affatto l’utilizzo di un soggetto esterno, almeno devo dire che e’ qualcuno che conosce bene il suo mestiere.
Debbie Curtis, moglie di Ian Curtis, suicida nel 1980 appena ventiquattrenne e per quei pochi che non lo sapessero, frontman dei Joy Division, gruppo seminale che con la loro musica seppero tra i primi traghettare punk, industrial e sonorita’ elettroniche verso i lidi new wave e dark del decennio successivo.
La loro importanza nell’imporre uno stile sonoro e non di meno letterario ed immaginifico grazie ai testi dello stesso Curtis, e’ innegabile e riconosciuta al punto che la memoria resta vigile ed intatta anzi rinvigorita da nuove pubblicazioni e celebrazioni quale fu "Control" lo straordinario film di Corbjin.
Parliamo quindi di un personaggio che deve comunque destare interesse, perche’ senza alcun dubbio ebbe una vita che merita di essere ricordata e raccontata. Chi meglio quindi della moglie, sua coetanea e giovane sposa appena diciannovenne, puo’ raccontare quale furono i trascorsi della loro storia che inevitabilmente si intreccia con gli esordi della band e l’evoluzione di una persona che troppo presto decise di togliersi la vita.
L’aspetto piu’ curioso e peculiare della vita di Curtis, e’ appunto una sorta di predestinazione al suicidio o meglio una ricerca della morte che fin da ragazzo si manifestava nelle sue scelte letterarie e nell’ammirazione nei confronti di giovani rockstar che a loro volta persero la vita molto presto. Annuncio’ la sua intenzione di non andare molto oltre i vent’anni con largo anticipo come del resto fu determinato a raggiungere il successo, una luminosa visione del futuro che lo attendeva. Fu un ragazzo fragile, insicuro eppure dotato e deciso, minato purtroppo da gravi problemi di salute, l’epilessia, che ebbe un peso importante per il gesto che in seguito ando’ a compiere.
La moglie lo racconta con straordinaria lucidita’ scevra da ogni retorica celebrativa anzi evidenziando difetti e manie che danno uno speciale spessore tridimensionale al personaggio complesso che fu.
Il difetto o meglio dire la mancanza piu’ evidente e’ proprio in quell’ultimo anno di vita di Curtis che coincise col veloce ascendere la scala del successo. In questo periodo il cantante aveva di fatto escluso la moglie dalla propria vita, anche per via della bambina piccola ma specialmente per l’intensificarsi del rapporto con Annik Honoré, suo nuovo e ultimo tormentato amore.
Alla fine si resta con ottimo libro per quanto incompleto e angolato nella visione. Aiutano molto i testi con traduzione e come accade in queste occasioni, fare luce sulla propria storia serve a fare luce anche su se stessi.