Costantino e la sua conversione al cristianesimo

Creato il 19 gennaio 2013 da Uccronline

di Luigi Baldi*
*dottore di ricerca in Filosofia

Il nome di Costantino  il Grande (274-337) è indissolubilmente legato alla rivoluzione avvenuta all’inizio del IV secolo, quando il Cristianesimo, a lungo perseguitato o in certi momenti ignorato dall’impero romano, acquista definitivamente il riconoscimento della piena libertà (religio licita), fino a divenire con Teodosio I (Flavio Teodosio 347-395) religione ufficiale e unica dell’impero.

Le cause di questa trasformazione e le motivazioni che indussero Costantino a tale riconoscimento sono oggetto di un intenso dibattito storiografico. Il problema è alimentato dai dubbi degli storici sul valore e l’autenticità delle fonti documentarie, ovvero sia Lattanzio (De mortibus persecutorum) ed Eusebio di Cesarea (Storia Ecclesiastica e Vita di Costantino). Il punto più controverso è quello dell’Editto di Milano del 313 sulla libertà religiosa dei Cristiani. Nell’ambito del suo programma di rafforzamento dell’impero Diocleziano (244-305) aveva promulgato quattro editti (leggi generali, applicabili a tutti i sudditi sotto la sua sovranità) contro i cristiani (303-304),che ne prevedevano la rimozione dagli uffici pubblici, la tortura se ostinati,il divieto delle loro riunioni, la distruzione delle chiese e dei libri di culto, l’arresto del clero, l’obbligo del sacrificio agli dei pagani. Per assicurare una organizzazione efficiente dell’impero, aveva, poi, introdotto un meccanismo di successione per cooptazione, in modo da porre fine all’uso degli eserciti di acclamare di propria iniziativa gli imperatori con le ricorrenti situazioni di anarchia militare. A tal fine l’impero era stato diviso in quattro aree territoriali (la tetrarchia), affidate a due Augusti (lui stesso e Valerio Massimiano,sull’Occidente) e a due Cesari (Galerio per l’Oriente e Costanzo Cloro per l’Occidente), di ausilio dei primi due. Si trattava di una divisione di compiti nel quadro di un impero che doveva rimanere unitario, ma che poneva  le basi per sanguinose lotte di potere successive.

Il 30 aprile 311 Galerio, che era stato uno degli augusti più attivi nell’applicare, sia pure con intermittenza, i provvedimenti di Diocleziano , aveva emanato a Nicomedia (capitale delle provincie danubiane e balcaniche) un editto, che,prendendo atto del fallimento delle persecuzioni, riconosceva la nuova religione. Con l’abdicazione anticipata del 1 maggio 305 di Diocleziano e Massimiano divennero Augusti i loro due Cesari, Galerio in Oriente e Costanzo Cloro in Occidente, che nominarono a loro volta due Cesari, rispettivamente Massimino Daia e Flavio Severo. Il sistema cominciò a sfaldarsi con la morte di Costanzo Cloro, il cui, figlio illegittimo Costantino fu proclamato Augusto nel 306 dalle truppe al posto del legittimo ma debole erede Severo, mentre nello stesso anno fu acclamato Augusto dai suoi pretoriani  Massenzio, figlio di Massimiano. Il culmine della confusione si ebbe quando risultarono quattro augusti: per l’Oriente Licinio, subentrato al defunto Galerio sulle regioni danubiane (311) e Massimino Daia, per l’Occidente Costantino in Gallia e Spagna e Massenzio come usurpatore a Roma, in Italia e nel Nord-Africa. Co-firmatari dell’editto furono proprio Costantino, che aveva adottato un analogo provvedimento nella Gallia,e Licinio. Il 28 ottobre 312 Costantino sconfisse Massenzio, suo rivale sull’Occidente a Ponte Milvio e nel febbraio 313 stipulò con Licinio un accordo di alleanza a Milano per la spartizione concordata dell’impero tra Occidente e Oriente; Licinio, a sua volta, nell’aprile 313 vinse Massimino Daia e diventò il padrone unico dell’Oriente romano.

Proprio a proposito di tale accordo si è tradizionalmente parlato di “Editto di Milano” (per es. Anastos, Bowder, Christensen).  Altri storici (per es. Seeck, Grégoire, Bleicken, Jossa, Bringmann) hanno sostenuto che nel febbraio 313 non fu emanato a Milano alcun provvedimento formale di quel tipo. L’accordo sarebbe la base di una serie di disposizioni ai governatori delle provincie, con cui i due imperatori da Roma e da Nicomedia cercarono di imporre la tolleranza verso il Cristianesimo nelle aree sotto il loro controllo. Costantino tra il gennaio (quindi prima dell’accordo, a ulteriore sostegno del fatto che si trattò di una serie di atti più che di un atto singolo) e il febbraio 313 ordinò la restituzione alle Chiese dei beni confiscati durante le persecuzioni e concesse  al clero esenzioni, privilegi, favori. Licinio, dopo aver sconfitto Massimino Daia, al suo arrivo a Nicomedia il 13 giugno 313 emanò un rescritto (risposta dell’imperatore a un quesito), con cui, confermando il provvedimento di Galerio,  mostrava l’intento di attuare la medesima politica in Oriente.

Licinio ricorda che Costantino e lui stesso avevano precedentemente riconosciuto ai Cristiani la libertà di culto sulla base del diritto di ogni uomo alla ricerca della verità su Dio, ma prende  atto che in alcuni casi tale diritto non era stato rispettato. Valutato come prioritario per “la tranquillità comune e pubblica”  l’interesse alla pace religiosa, entrambi a Milano avevano confermato l’obbligo che “fosse assicurato il rispetto e la venerazione della Divinità” qualunque essa sia, per tutti e in particolare per i cristiani, “in modo che qualunque potenza divina e celeste esistente possa essere propizia a noi e a tutti coloro che vivono sotto la nostra autorità”. Alla base è l’idea per cui la libertà religiosa, come divieto di alcun impedimento in materia di coscienza, è funzionale al mantenimento della pace religiosa; quest’ultima, a sua volta, è condizione  necessaria della pace politica e della conservazione dell’unità dello stato, che è il fine ultimo e supremo. Il Cristianesimo aveva, ormai, assunto un tale rilievo nella società, nell’esercito, nella stessa corte, soprattutto in Oriente, che non era più concepibile realisticamente un ritorno integrale al paganesimo, se non a costo di un conflitto che avrebbe minato inevitabilmente l’unità dell’impero, già scossa da rivalità e lotte  di potere. Il riferimento al Cristianesimo appare insistentemente inserito nel contesto più generale della libertà religiosa per tutti . Con specifico riferimento ai cristiani, invece,  il provvedimento impone la restituzione  “senza denaro né esigere prezzo, senza cercare pretesti o sollevare discussioni” degli edifici di culto anche legittimamente acquistati o, eventualmente, ricevuti in donazione, riservando all’imperatore la decisione circa la corresponsione di un indennizzo con denaro pubblico su domanda degli interessati, da rivolgere al vescovo diocesano. Le chiese ottenevano un riconoscimento esplicito e formale e si vedevano restituire edifici loro sottratti anni prima, in modo tale, però, da danneggiare coloro che in buona fede ne fossero venuti in possesso successivamente, profilandosi, così, accanto alla raggiunta parità con il paganesimo, una posizione di privilegio della nuova religione. Più che di un editto di Milano si deve parlare propriamente di svolta o pace costantiniana, in quanto Costantino aveva avviato la nuova politica religiosa prima di Licinio e in maniera più ampia, completa e convinta.

Secondo una tesi diffusa nella tradizione ecclesiastica Costantino si sarebbe improvvisamente convertito al Cristianesimo in seguito ad avvenimenti meravigliosi e sovrannaturali e avrebbe attribuito la vittoria di Ponte Milvio al Dio dei cristiani. Eusebio afferma che Costantino si sarebbe mosso contro Massenzio dopo aver pregato il Dio di Gesù Cristo e dopo la vittoria, in ringraziamento, avrebbe fatto erigere nel centro di Roma una statua a lui dedicata con la croce in mano. Egli parla, poi, della visione di una scritta in hoc signo vinces (in questo segno vincerai) che l’imperatore avrebbe avuto in Gallia, mentre tornava a Roma nelle settimane precedenti la battaglia. In una successiva versione, dice che Costantino avrebbe visto, questa volta insieme a tutto il suo esercito, le medesime parole accanto a una croce luminosa sovrimpressa sul sole e in base a un sogno successivo, avrebbe fatto redigere uno stendardo (labarum) con la riproduzione del segno, Anche Lattanzio parla di un sogno, in seguito al quale Costantino avrebbe ordinato di incidere sugli scudi dei suoi soldati un “segno celeste di Dio” prima della battaglia. Il simbolo è composto da due lettere sovrapposte, ‘X’ e ‘P’, che corrispondono, rispettivamente, alla lettera greca ‘χ’ (‘chi’) e ‘ρ’ (‘rho’) e sono le iniziali della parola Χριστός, in greco “unto” (in ebraico “messia”). Le difficoltà testuali riscontrate in queste testimonianze e l’inverosimiglianza, per mancanza di tempo e di artisti competenti, del confezionamento di uno stendardo di tal genere hanno indotto numerosi studiosi (per es. Burckhardt, Brieger, Harnack, Gregoire) a negare la storicità e, in ogni caso, la sincerità, della conversione di Costantino, parlando di quest’ultimo come fondamentalmente disinteressato alla religione ma interessato a utilizzarla per la conservazione e il consolidamento del potere, in coerenza con la tradizione romana. Alcuni osservano come la sincerità della conversione sarebbe confermata dal fatto che comunque un decimo soltanto della popolazione in Occidente sarebbe stata cristiana, per cui Costantino non avrebbe avuto alcun interesse ad aderire alla nuova fede (per es. Boissier, Seek, Veyne, Marcone). Altri storici (per es. Piganiol, Riffel, Keim, Salvatorelli) vedono in Costantino l’interprete di una posizione religiosa sincretistica, volta cioè, a fondere Cristianesimo e paganesimo. Anche dopo il 312 monete, iscrizioni, formule dei Panegirici mantengono un carattere pagano, egli stesso rimane Pontifex Maximus e riceve il battesimo solo alla vigilia della morte. Il differimento del battesimo può essere  un indizio del carattere strumentale della sua conversione ma non contraddice la sincerità di un cammino di fede, che è sempre progressivo approfondimento di un insondabile dialogo con Dio.

E’ impossibile rispondere definitivamente alla domanda se Costantino si sia convertito sinceramente o per calcolo politico. Innanzitutto è impossibile scandagliare la coscienza nella sua intimità, rimanendo comunque sempre un margine di oscurità e dubbio nel cuore umano. Egli, poi, visse, e ne fu inevitabilmente influenzato, in un’età (quella tardo antica) segnata da un diffuso senso religioso composto da superstizione e fanatismo, che riempiva il vuoto lasciato dalla tradizione politeistica romana. Dotato di personalità complessa, era superstizioso, quindi timoroso di perdere il favore delle diverse “possibili” divinità e alla ricerca inquieta di quella più potente al fine di salvaguardare l’unità e la potenza dell’impero. Animato da sfrenata ambizione e vanità, passionale, e impulsivo fino alla temerarietà, egli si sentiva rappresentante di forze divine superiori e aveva un altissimo senso della dignità imperiale e dei suoi doveri. Il suo sincretismo, del resto, per influenza del padre Costanzo Cloro, sostituì presto il culto a Giove ed Ercole con quello al Sol invictus, che gli appariva l’incarnazione e il simbolo dello spirito divino che governa il mondo. Dopo il 312 Costantino rinnegò progressivamente cerimonie e processioni tradizionali pagane anche se l’abbandono del politeismo appare avvicinamento al monoteismo solare prima ancora che a quello cristiano, che, comunque, risultano a lungo intrecciati; Cristo, è l’inviato di quel Dio superiore che egli adorava già sotto l’emblema del sole. Costantino, del resto, ascoltava tra i suoi consiglieri il vescovo Osio di Cordova e educò i figli nella nuova religione. Chiamò addirittura dall’Oriente lo scrittore cristiano Lattanzio come precettore del figlio primogenito Crispo; non esiterà, però, a fare uccidere quest’ultimo, falsamente accusato dalla sua seconda moglie Fausta, anch’essa poi fatta morire, di averla insidiata e il rimorso per tale gesto può anche aver influito sul suo avvicinamento alla fede.

Il favore per il Cristianesimo si tradusse in appoggio alla Chiesa e alla sua organizzazione ecclesiastica e in sfavore e persecuzione verso eretici e scismatici: per es. i donatisti, che subordinavano l’efficacia del battesimo e dell’ordine sacro alla dignità di chi li amministra o i seguaci di Ario, che negavano la divinità di Cristo, contro i quali convocò e presiedette il Concilio di Nicea (325). Anche la creazione di un’altra capitale dell’impero a Bisanzio, ribattezzata Costantinopoli, ebbe una finalità religiosa, cioè l’erezione di una seconda Roma cristiana, in contrapposizione alla prima Roma pagana,anche se finì per accentuare una divisione culturale tra Occidente latino e Oriente greco, che si sarebbe tradotta in una divisione religiosa con lo scisma d’Oriente del 1054. Il movente era, però, anche politico, ovverosia un avvicinamento alle frontiere orientali del Danubio e dell’Eufrate, che apparivano le più impegnative per l’impero, tanto è vero che la morte lo colse, presso Nicomedia dopo la vittoria sui Goti del 332, durante i preparativi di una grande spedizione contro i Persiani (337).

Certamente la politica religiosa di Costantino appare ispirata all’idea della religione come instrumentum regni e della Chiesa come garante e fondamento dell’ordine sociale e politico, che caratterizzerà tutta la storia dell’Occidente. Sostituendo gli dei dell’Olimpo con il Dio di Gesù Cristo la svolta costantiniana ha in sé le premesse di una riduzione della fede cristiana a legge morale e, quindi, a religione civile, che inaugura una ambigua contaminazione tra croce e spada. Se, però, “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Benedetto XVI), si può dire che Costantino abbia vissuto proprio nella sua esperienza un tale incontro, che ha cambiato il corso della sua vita, pur tra incertezze e contraddizioni. I dubbi sulla sincerità della sua conversione e le capziose polemiche recenti sul cd. Editto di Milano, al di là degli obiettivi problemi storiografici, appaiono viziati da un pregiudizio retrostante, che negando la dimensione reale e storica della fede, pretende di vedere necessariamente nella motivazione religiosa dell’agire umano una apparenza illusoria, che nasconde le vere motivazioni, ovviamente economiche, politiche, di interesse, di calcolo etc. Costantino è uomo del suo tempo e come tale vive la fede cristiana: la sua intuizione, inaccettabile per la cultura laicista, è che essa non possa viversi come un fatto privato ma debba tradursi in vita, cultura, storia, anche in strutture e organizzazioni politiche.


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