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La legge italiana non consente la diagnosi genetica preimpianto. Due coniugi reggiani hanno dovuto sottoporsi a una lunga prova per procreare il secondogenito che (grazie alle staminali) ha salvato la vita al primogenito.
Reggio Emilia, 4 luglio 2010. CARLO oggi ha 13 anni e sta bene. Carlo (è un nome di fantasia, ndr) non deve più sottoporsi a trasfusioni ogni tre settimane, nè tenere un ago nel braccio ogni notte per far sì che un farmaco abbassi il ferro nel suo organismo, nè prendere la terapia anti-rigetto.
E’ un bambino più maturo dei suoi coetanei, con una normale aspettativa di vita e che adora Francesca (anche questo è nome di fantasia, ndr), la sua sorellina di due anni e mezzo. Le vuole bene e basta, indipendentemente dal fatto che è grazie a lei e alla perseveranza dei suoi genitori che oggi può fare programmi per il futuro.
SÌ, perché nonostante la legge 40, che nel 2004 ha vietato la diagnosi genetica preimpianto, sua madre e suo padre sono riusciti a dar vita a un altro bambino che non avesse la sua stessa rarissima malattia e usarne il cordone ombelicale per ricavare cellule staminali per fargli il trapianto di midollo. A raccontare quest’odissea, lunga 13 anni e sette cicli di procreazione assistita, è suo padre, C. P.
«VIVIAMO vicino Reggio Emilia. Nostro figlio è nato — spiega — con l’anemia di Diamond-Blackfan, rarissima malattia genetica per cui il midollo osseo non produce globuli rossi. Patologia per cui le uniche terapie sono o delle cure cortisoniche, rivelatesi efficaci su Federico, o continue trasfusioni di sangue, che però portano ad un sovraccarico di ferro, che negli anni può uccidere o danneggiare gli organi».
«Visto che il trapianto di midollo non era possibile, perché non era stato trovato un donatore compatibile, neanche in famiglia, abbiamo deciso di procedere con le trasfusioni, pur sapendo che la situazione sarebbe comunque peggiorata».
QUESTO finchè un giorno C. non sente per radio di una coppia inglese, in una situazione simile, che ha dato alla luce un altro figlio per salvare il fratello malato. Così lui e sua moglie iniziano tutta la procedura a Bologna, «ma a metà del ciclo viene approvata la legge 40 in Italia — aggiunge — e quindi il medico interrompe tutto».
I DUE non si arrendono, e si rivolgono prima a una clinica di Istanbul, dove tutti e tre i cicli falliscono. Poi provano a Bruxelles, con altri due cicli, e poi di nuovo a Istanbul con altri due. L’ultimo ha finalmente successo, e così nasce Francesca. «Il suo cordone ombelicale è stato congelato — continua il padre — per ricavare staminali. Sei mesi dopo le è stato espiantato un poco di midollo, per integrarlo alle cellule del cordone, dopo di che si è fatto il trapianto a mio figlio, che oggi sta bene».
IN QUESTA lunga odissea, conclude C. P., «abbiamo conosciuto tante persone con problemi analoghi. Chi aveva i soldi andava all’estero, ma la massa non poteva far altro che aspettare la morte del proprio figlio. E questo per colpa di chi fa credere alla gente che la diagnosi preimpianto serva a scegliere il figlio con gli occhi azzurri».
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