di Beatrice Nicolini*
Una versione di questo articolo è stata pubblicata su ISPI
La Repubblica Unita dello Yemen, che comprende l’isola di Socotra nell’Oceano Indiano e gli arcipelaghi di Perim e Kamaran sul Mar Rosso, è uno dei Paesi più poveri del Medio Oriente e del mondo, mentre la percentuale di PIL destinata alle spese militari lo pone al settimo posto. Sia il territorio sia le isole possiedono importanti risorse: una flora ricchissima con proprietà medicamentose e antiossidanti (incluso il qat/kat, una droga leggera esportata in tutto il mondo), spezie preziose (l’incenso e la mirra delle terre della Regina di Saba), e una cultura e un’architettura che attraggono studiosi e turisti. Oltre a ciò, quattro milioni di barili di petrolio vengono trasportati ogni giorno nello stretto di Bab al-Mandeb (30 Km), tra lo Yemen e la Somalia.
La sua posizione strategica nell’angolo meridionale della penisola arabica (2000 chilometri di costa e solo 25 chilometri di distanza via mare da Gibuti nel Corno d’Africa), ai confini con il Sultanato dell’Oman e con il Regno dell’Arabia Saudita, con i quali condivide 1770 Km di frontiera, ne costituisce la sua importanza da millenni. Intensi furono sempre i legami tra la Penisola Arabica e le fasce costiere delle regioni est-africane e asiatiche, ove quest’ultime furono spesso sedi di reclutamento di truppe mercenarie destinate alla difesa dei potentati arabi e rifugi durante le alterne vicende politico-dinastiche. Qui i legami locali connessi al tribalismo e al regionalismo furono molto più potenti delle appartenenze ai gruppi etnici e delle affiliazioni religiose. Lungo i litorali dell’Africa Orientale gli scambi di merci e di spezie dell’Arabia Fortunata dei greci, poi Arabia Felix dei romani, del famoso incenso e della mirra, ma anche di avorio dall’Africa e, soprattutto, di schiavi destinati ai mercati e alle corti europee ed asiatiche, furono frequenti (ancora oggi i percorsi di human trafficking seguono le antiche piste dall’Africa verso l’Arabia di giovani destinate a lavori domestici e alla prostituzione nei Paesi arabi) [1]. Fu un mondo fortemente sinergico che poteva già definirsi secondo una terminologia contemporanea, globale, globale ma non globalizzato.
In ciò che si potrebbe definire un ‘chiostro interconnesso’ come l’Oceano Indiano occidentale le navigazioni furono molto più ampie di quanto si possa supporre: i porti dell’India occidentale furono sempre collegati con il Golfo Persico/Arabico, con la Penisola Arabica, con il Corno d’Africa e con le isole dell’Africa orientale sub-sahariana. Le prove si ritrovano nei rapporti archeologici, nei dati emersi dagli studi di cultura materiale e, appunto, dalle fortificazioni nello Yemen. Relazioni conflittuali furono presenti nella maggioranza dei litorali e nelle isole coinvolte. È anche vero che si sono frequentemente trasmesse immagini di una regione dedicata eminentemente a commerci marittimi e alle resistenze o alle collaborazioni con personaggi stranieri [2] e l’importanza di creare nuovi spazi, percezioni, e approcci metodologici nei confronti di quest’ampia area rappresenta una delle maggiori sfide sia per le analisi accademiche sia per quelle politico-strategiche.
Breve storia – In epoche contemporanee il nord divenne indipendente dall’Impero Ottomano nel 1919, mentre la parte meridionale, sotto protettorato britannico con il suo centro nel porto di Aden, cessò nel 1967 e divenne Yemen del Sud; tre anni dopo, tale entità statuale adottò il regime marxista. Ciò provocò massicce migrazioni dal sud verso il nord del Paese e una conflittualità permanente. I due Paesi si riunirono formalmente nel 1990 con il nome di Repubblica Unita dello Yemen. Una breve guerra civile, conclusasi nel 1994, lasciò il Paese in preda a forti tensioni interne e di confine che nel 2000 videro la stabilizzazione delle frontiere con l’Arabia Saudita. Gli scontri nel nord-est tra la minoranza degli Houthi, sciiti zaiditi, un terzo della popolazione, e le forze governative proseguono dal 2004.
Gli Houthi – Gli Houthi sono un gruppo ribelle nato nel 1992 e denominato Partigiani di Dio (Ansar Allah), il cui nome deriva dal loro capo, Hussein Badreddin al-Houthi (1956-2004), ucciso dall’esercito yemenita alla fine del 2004. Il gruppo diffuse slogan come “morte all’America” o gli “USA sono il grande Satana” d’iraniana rivoluzionaria memoria nella capitale e fuori dalle moschee. Nel settembre 2007 il governo annunciò il ripristino del servizio militare obbligatorio per fronteggiare la protesta Houthi. Dal 2004 al 2010 migliaia di combattenti salafiti provenienti da più parti si erano schierati con le truppe governative. E, dal 2009, lo Yemen e il terrorismo hanno rappresentato due entità molto legate: AQAP (al-Qaida fi Jazirat al-Arab) che ha rivendicato gli attentati di Parigi dello scorso gennaio, è oggi la minaccia maggiore anche a causa dei legami con gli al-Shabaab della Somalia. Nel 2010 le istanze secessioniste sulla scia delle rivoluzioni arabe si sono fatte più incisive.
Nel 2010 lo Yemen ha ricevuto 20 milioni di dollari per lo sviluppo e 82 milioni in aiuti militari dagli Stati Uniti [3]. Dal 2011 il GCC (Gulf Cooperation Council) insieme al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ha fronteggiato numerose crisi, incluso il passaggio di poteri (nel 2012) dal Presidente Ali Abdullah Saleh al vice Presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi.
Il processo di transizione inaugurato con le elezioni del febbraio 2012 avrebbe dovuto proseguire verso un percorso di riforme e di diminuzione della corruzione, della cronica assenza di servizi, degli aumenti dei prezzi dei generi alimentari (vi sono circa 10 milioni di persone ad alto rischio di malnutrizione) e della disoccupazione. Il Presidente Hadi, nel luglio del 2012, ha denunciato la scoperta di una rete di cellule iraniane creata per finanziare, sostenere e armare il movimento separatista degli Houthi. Concentrati nelle aree montuose del nord e nelle aride pianure dell’est del Paese con economie pastorali, gli Houthi si sono organizzati secondo modelli tribali espandendosi verso Amran, vicino a Sana’a. In seguito alla presenza americana nel Golfo e all’invasione dell’Iraq, gli Houthi hanno canalizzato l’ostilità verso l’Occidente e l’opposizione al governo di Saleh (egli stesso uno sciita zaidita), trasformandosi da movimento sociale in una forza militante. I sunniti shafiti costituiscono la maggioranza del Paese e vivono a sud, sugli altopiani meridionali, e lungo le coste. Tale localizzazione ha sempre favorito l’agricoltura, gli scambi e i commerci, e dall’Hadramaut proviene la famiglia di Osama bin Laden che lasciò lo Yemen costiero per l’Arabia Saudita.
La svolta politica si è verificata nel febbraio del 2014 quando il Presidente Hadi ha accettato di dividere il Paese in un’unione di sei regioni federali. Il processo di transizione doveva infatti tener conto delle rivendicazioni di autonomia da parte delle province meridionali. Nondimeno, tale proposta è subito fallita a causa delle forti opposizioni sia da parte delle aree tribali del nord sia per forti conflittualità interne al sud. I movimenti militanti hanno quindi innalzato il livello della violenza e degli attacchi, prendendo dapprima il controllo della capitale e puntando a sud verso Aden, inducendo lo stesso Hadi ad una presunta fuga e alla richiesta di intervento del GCC e delle Nazioni Unite.
Le radici profonde delle violenze – Esse non risiedono tanto nelle antiche rivalità sunnite/sciite delle discordie teologiche, quanto in una serie di elementi quali le interazioni dinamiche di politiche di sopravvivenza di regime in uno stato in autodissoluzione, le rivalità regionali tra Iran e Arabia Saudita e la mutata scena geopolitica dal 2001 a oggi [4]. Ciò che si è verificato è un’implosione per l’intrinseca debolezza politica dello Stato con un’autorità priva e privata di consenso e di legittimazione; ciò anche a causa delle pressioni rappresentate dal rafforzamento dei legami transnazionali dei gruppi Hadrami nel mondo – la diaspora yemenita –, delle forti resistenze tribali del nord e ai confini, e dalle politiche d’innalzamento e dilatazione delle rivalità interne con lo scopo di rafforzare i regimi dittatoriali e corrotti.
L’internazionalizzazione dei conflitti in regioni più volte definite come strategiche, la cui stabilità è ritenuta fondamentale, in realtà spesso conduce a una tanto concreta quanto drammatica irrilevanza di queste aree, proclamate come esiziali per gli equilibri globali, sostanzialmente occupate da “vuoti” presto divenuti essi stessi minacce. Non si dovrebbe dunque scivolare in fragili categorizzazioni come le definizioni di ‘guerre per procura’ troppo semplificate e semplificanti nel caso del caleidoscopico Yemen.
* Beatrice Nicolini, membro del Comitato Scientifico dell’Osservatorio di Politica Internazionale (OPI) – BloGlobal, è Docente di Storia e Istituzioni dell’Africa e di Storia delle Relazioni Internazionali, delle Società e delle Istituzioni Extraeuropee (Università Cattolica Sacro Cuore, Milano). Field Editor per E. Mellen Press, New York, USA. Vincitrice del Premio della Society for Arabian Studies di Londra per il volume Makran, Oman and Zanzibar. [vedi profilo]
[1] CIA Wordlfactbook – Yemen
[2] L. Potter (a cura di), The Persian Gulf in History, New York, Palgrave, 2009, p. 3.
[3] L. Carlino, Yemen: verrà da qui la sconfitta del Jihadismo?, Dossier Europe and Asia Strategies, 75, 2011, pp. 72-76, academia.edu.
[4] K. Fattah, Yemen. Sectarianism and the Politics of Regime Survival, in L. Potter (a cura di), Sectarian Politics in the Persian Gulf, Hurst & Co, London, 2014, pp. 207-228
Photo credits: Voice of America (VOA)
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