«Cous Cous ti amo». Filippo La Mantia torna al festival di San Vito Lo Capo per un laboratorio evento
Creato il 23 settembre 2012 da Mariellacaruso
Sono partiti entrambi da San Vito Lo Capo per
conquistare l’Italia. E se uno non se n’è mai allontanato, l’altro ci ritorna
dopo tanti anni d’assenza. L’uno è il cous cous, quella granella di semola così
saporita da avere conquistato palati sopraffini. L’altro è Filippo La Mantia,
chef che ama definirsi oste e cuoco la cui avventura lungo le strade lastricate
di successi dell’alta cucina che l’ha portato fino al ristorante dell’Hotel
Majestic di Roma, è partita da un cous cous bar nella cittadina del Trapanese.
Lì dove ogni anno si sublima il piatto principe della cultura siculo-magrebina
con un festival che quest’anno spegne 15 candeline. La Mantia torna al CousCous Fest e la sua ‘putia’, che sarà aperta giovedì 27 dalle 18.30, promette
sorprese. «Non cucinerò il cous cous ma le busiate trapanesi – rivela infatti
La Mantia -, pasta artigianale del territorio nata, come il cous cous, intorno
a un rito con le donne che impastavano acqua e farina per poi arrotolare
l’impasto intorno al buso (il ferro da calza, ndr). Condirò la pasta facendola
saltare in padella con una crema realizzata frullando e poi filtrando un brodo
vegetale di uva, capperi, basilico, polpa di limone, patata e finocchietto. L’ultimo
tocco sarà l’aggiunta a crudo di olio extravergine e caciocavallo ragusano».
La sua fortuna di cuoco, però, nasce col cous cous.
«Amo il cous cous perché è stata la mia
guida. Quando vidi per la prima volta le donne di San Vito incocciarlo ne restai
folgorato. Col tempo sono arrivate altre consapevolezze: come il cous cous,
simbolo di preghiera nel magreb, è riuscito a unire cuochi israeliani e
palestinesi. Nel mio ristorante ci sono sempre due piatti a base di cous cous:
uno dolce e uno salato. Lo porto dovunque anche negli eventi nei quali vengo
invitato a cucinare».
Cos’ha di diverso il suo cous cous?
«Intanto mi sono inventato condimenti
particolari: pesti a crudo con pomodoro, basilico, capperi, acciughe e mandorle
frullati ai quali aggiungo pesce fritto oppure quando le arance sono buone ne
frullo la polpa col basilico, acciughe e mandorle tostate».
Dopo 15 anni il Cous Cous Fest ha cambiato personalità…
«Io l’ho visto nascere e ci torno con molto
piacere. E’ cresciuto diventando un evento da 100.000 persone dal quale San
Vito ha ricavato tantissimo. Onore e merito a chi ha creduto e scommesso su
questo prodotto povero facendo diventare questo festival una riunione per
gourmet da tutto il mondo, un evento letterario e musicale».
Al di là dell’appuntamento di San Vito e di un cuoco come lei che
lo mette al centro della sua cucina che potenzialità può avere?
«In questi ultimi 15 anni c’è stata
l’evoluzione della semola. Prima il cous cous, oltre che nel Trapanese, veniva
utilizzato soltanto nei ristoranti marocchini e magrebini. Oggi si vende anche
il cous cous precotto, di mais, di grano duro. Si è aperto un mondo incredibile
intorno a questo alimento entrato nelle cucine di molti cuochi che lo
utilizzano come contorno».
Ma la creatività col cous cous è un’altra cosa…
«Diciamo che da quando me ne sono andato da
San Vito nessuno ha mai più riproposto il gelato al cous cous che preparavo con con zucchero e
acqua al gelsomino».
(Pubblicato su Eventi, allegato del quotidiano La Sicilia venerdì 21 settembre)
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